Danger. Luce rossa. Sirena. E’ il momento di intervenire. Nell’aria suonano le Valchirie di Wagner, in mezzo alla bufera, ecco il soccorso azzurrino. Come folgore dal cielo, come nembo in tempesta, ecco i paracadutisti indispensabili. Quando comincia a piovere, piombano loro. Alzati sulla testa gli occhiali da aviatore, si riconoscono di nuovo il berlusconiano, il craxiano e il demo-cosentiniano. Verdini, Barani, D’Anna. A loro devono dire grazie le coppie omosessuali a cui piacciono le unioni civili del patto Renzi-Alfano, se ce ne sono. A loro deve dire grazie il presidente del Consiglio perché il suo piano bim bum bam per sbloccare il Parlamento in tilt sulla legge fu Cirinnà senza di loro avrebbe avuto momenti di affanno, perché Sacconi e ad altri di unioni civili non vuole nemmeno sentir parlare, altro che stralcetti, tavoli, “punti di caduta”. Il Senato dà il primo timbro alla legge con 173 sì e 71 no: senza i verdiniani il governo sarebbe stato sotto quota 161. “Io sono un facilitatore: risolvo i problemi come Wolf, sono rapido” disse Verdini al processo P3, uno di quelli in cui è imputato.

E’ stata dura; il viaggio lungo, faticoso, molti amici persi, molti tradimenti durante la traversata dal piccolo esercito ormai in rotta dell’opposizione all’invincibile armata della maggioranza sempre più larga, veloce, esplosiva, lanciata verso il futuro “del fare”. Ma alla fine, dopo tante sofferenze e privazioni, i parà dell’appoggio esterno ce l’hanno fatta: prima le riforme istituzionali, poi le riforme in generale, poi le vicepresidenze in commissione e poi chissà. “Siamo il paracadute di emergenza di una maggioranza che si deve aprire quando quello di ordinanza è in difficoltà – dice il craxiano, Lucio Barani – Da luglio ci siamo aperti troppe volte perché quello di ordinanza aveva troppe falle“. Un’analisi tecnico-militare. I combattenti per i diritti civili, i liberali senza macchia hanno messo la cintura di sicurezza a una legge che non poteva avere tutti i voti dei partiti della maggioranza del governo Renzi.

Erano solo 10 quando il 29 luglio presentarono il nuovo gruppo lungo come come la lista dei partiti con cui sono stati eletti: Alleanza Liberalpopolare e Autonomie. Oggi, 7 mesi dopo, sono 19 e non finisce qui. “Arriveremo a 20-21 senatori nel breve tempo”. Nella legione straniera di Denis Verdini, Sandro Bondi e degli altri 17 semi-sconosciuti c’è di tutto: ex dc, ex socialisti, ex Ccd, ex berlusconiani innamoratissimi, ex alfaniani, ex fittiani, ex grillini friendzonati e poi mollati. Diciannove senatori e 11 processi: 5 ne ha il top player Denis, 3 ne ha lo stesso Barani, uno a testa – in fasi diverse – vedono imputati Riccardo Conti, Domenico Auricchio e Antonio Scavone.

Il primo amore fu davanti al panorama delle riforme istituzionali. “Vogliamo essere liberi di completare la legislatura costituente come avevamo iniziato” disse Verdini, un minuto dopo aver fondato i Responsabili 2.0 del mini-Nazareno. Bastava un occhio meno disattento per ricordare che in realtà su 13 solo 5 avevano votato sì alle riforme ai tempi del patto Pd-Fi, altro che missione riformista. Ma al voto decisivo, sulla legge Boschi, furono il gruppo più compatto del Senato: 13 su 13, cento per cento. Non furono determinanti, ma senza di loro la maggioranza sarebbe stata di 5 voti, un po’ risicatina per cambiare la Costituzione. Ma c’erano loro a rassicurare, i garanti della rassicurazione di Palazzo Chigi.

Certo, Verdini come ogni colonnello ha il suo bel da fare per tenere a freno le intemperanze dei suoi ragazzi. C’è Barani, il capogruppo, che una volta ha fatto il gesto di una fellatio a una senatrice dei Cinquestelle, c’è D’Anna, il portavoce retore, che ha indicato i suoi gioielli a un’altra parlamentare grillina. E poi anche sul piano politico: D’Anna parla tanto, tanto, tanto, pure troppo, anticipa sempre le mosse. Da mesi dice che Ala (la sigla dei paracadutisti salva-Renzi) dev’essere premiata, che “in maggioranza no però dai sì forse vediamo Renzi ci ascolti sappia che ci siamo”. E infatti il passetto in avanti poi c’è stato: tre vicepresidenze di commissione in quota maggioranza. Dissero che non era vero nulla, che erano le solite ricostruzioni disoneste: “Le opposizioni ci hanno fatto fuori dagli accordi (di spartizione delle poltrone, ndr), ma avevamo diritto a quegli incarichi e quindi è stato solo un modo per riparare alla situazione”.

Infine l’anticamera della fiducia: la non sfiducia e anche la Crusca risponderebbe a Matteo (quello di 40 anni che sta a Palazzo Chigi) che una doppia negazione è quello che sanno tutti. I marines verdiniani c’erano anche allora: bombardarono la mozione contro il ministro Boschi sulla questione delle banche. “La posizione del ministro” disse Manuela Repetti, la signora Bondi, a nome del gruppo, è “risultata ineccepibile” e quella era una sfiducia “costruita sul nulla con il solo unico scopo di delegittimare Renzi e il suo governo per nasconderne gli oggettivi meriti”, senza contare che “il Pd con Renzi segretario è cambiato, non si può negare”. Quanto sia cambiata la maggioranza, invece, lo ha detto lo scrutinio del Senato.

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