Venerdì 26 febbraio la Fifa sceglie il suo nuovo presidente, l’erede di Joseph Blatter. L’ultima volta che si votò, nel maggio 2015, fu l’inizio della fine di un’era: dopo il blitz dell’Fbi e gli arresti nella sede di Zurigo, Sepp fu rieletto per il quinto mandato, ma decise dopo due giorni di dimettersi. Il cerchio giudiziario aveva cominciato a stringersi intorno all’uomo che ha comandato il pallone mondiale per 17 anni. Dopo mesi di transizione e scandali, si volta ufficialmente pagina. Ma le elezioni, salvo sorprese clamorose, non saranno una rivoluzione. Alla fine i candidati sono cinque, e fra questi non c’è quello che avrebbe dovuto essere il successore designato, il presidente dell’Uefa Michel Platini, che Blatter ha trascinato a fondo con sé nello scandalo.
I due favoriti, lo sceicco del Bahrein Al Khalifa e l’italo-svizzero Infantino, non sono certo uomini nuovi della politica del pallone. Il principe giordano Ali Hussein sembra avere poche chance, Jerome Champagne e Tokyo Sexwale, personaggi fuori dagli schemi, praticamente nessuna. A scegliere saranno i 209 Paesi membri della Fifa, un voto per ogni Federazione (54 per l’Africa, 53 l’Europa, 46 l’Asia, 35 il Centro-Nord America, 11 l’Oceania, 10 il Sudamerica): come già successo in passato, saranno decisive le nazioni più piccole (e più veicolabili). Per vincere al primo turno serve la maggioranza dei 2/3, 140 preferenze. Probabile il ballottaggio. E a quel punto potrebbero formarsi alleanze. Ecco chi sono i cinque candidati.
SALMAN BIN AL KHALIFA, SOLDI E POTERE – Gode dell’appoggio (anche se non compatto) di Africa e Asia (di cui è presidente). Membro della famiglia reale del Bahrein, già numero uno della federazione calcistica (sotto di lui la nazionale sfiorò una storica qualificazione ai Mondiali e arrivò in semifinale di Coppa d’Asia), ha un patrimonio personale di miliardi di dollari. È un uomo ricco, di successo e di potere. E come tale, non privo di ombre: ha sempre appoggiato Blatter e ricoperto diversi ruoli apicali in Fifa (è ancora adesso uno dei vicepresidenti), ed è stato accusato di violazioni dei diritti umani durante la rivolta del Bahrein nel 2011. Ciononostante, è il grande favorito di queste elezioni: con lui, gli equilibri politici del pallone penderebbero sempre più verso Oriente.
GIANNI INFANTINO, SCUDIERO DI “LE ROI MICHEL” – Segretario generale dell’Uefa, di fatto è il candidato di riserva dell’Europa, dopo che Platini è finito travolto dallo scandalo tangenti. Molti lo conoscono come l'”uomo dei sorteggi”, ma è una vera e propria eminenza grigia del calcio europeo. I Paesi Uefa (tra cui l’Italia) lo appoggiano praticamente in blocco, come anche il Sudamerica. Va a caccia di voti nella Concacaf, a lungo bacino paludoso di Blatter. Forse proprio per attirare il consenso dei piccoli, ha promesso di allargare i Mondiali a 40 squadre.
ALI BIN AL HUSSEIN, ETERNO SCONFITTO – Era lo sfidante alle ultime presidenziali, dove prese 73 voti e si ritirò dopo il primo turno. Il principe di Giordania sembrava il successore naturale di Blatter dopo il grande scandalo, poi la sua candidatura è stata offuscata da quella di Al Khalifa. L’Asia, infatti, voterà per lo sceicco; con lui dovrebbero restare alcuni Paesi mediorientali, più qualche fedelissimo da pescare nelle varie confederazioni. Anche il tentativo dell’ultimo minuto di far rinviare il voto e chiedere più trasparenza anti-brogli è stato respinto. Per questo, con un’eventuale alleanza, potrà essere al massimo l’ago della bilancia. L’eterno sconfitto, neanche secondo (come nel 2015): questa volta dovrebbe arrivare terzo.
JEROME CHAMPAGNE, CANDIDATO DI PELÈ E WEAH – È stato il primo a rompere gli indugi, scendendo in campo a inizio 2014, ma la sua candidatura non è mai stata presa sul serio. Francese, 55 anni, in passato anche consigliere di Blatter ma poi indipendente, sempre lontano dagli scandali. Il suo manifesto, “Hope for football“, parla di ridistribuzione della ricchezza, tecnologia in campo e costruzione di stadi nei Paesi più poveri. Forse per questo è praticamente solo: ha il supporto di Pelè e George Weah, ma le vecchie glorie non votano. Neppure la Francia, federazione del suo Paese, lo appoggia.
TOKYO SEXWALE, COMPAGNO DI CELLA DI MANDELA – Sudafricano, famoso per la sua lotta all’apartheid ed essere stato per tredici anni prigioniero a Robben Island insieme a Nelson Mandela, il suo passato d’attivista ha fatto scivolare in secondo piano qualche dubbio su giri d’affari non del tutto trasparenti. Ha un’idea imprenditoriale della Fifa e del pallone (vorrebbe ad esempio autorizzare gli sponsor sulle maglie nazionali). Figura difficile da valutare, fra tante luci e tante ombre (anche il suo ruolo da protagonista nell’assegnazione truccata dei Mondiali 2010 al Sudafrica). Il problema comunque non si pone: non sarà il prossimo presidente Fifa. La sua Africa gli ha voltato le spalle, appoggiando lo sceicco Al Khalifa. È lui l’uomo da battere nell’urna di Zurigo.