Se dal voto del Senato sulla legge Cirinnà è uscita un’unione di ferro è quella tra il Pd e il gruppo Ala, quello dei verdiniani, i nuovi responsabili. Qualche pezzo del Partito democratico si agita, ma il matrimonio è fatto, il giuramento è per sempre. Lo dice il capogruppo di Ala a Palazzo Madama, Lucio Barani: “E’ chiaro – dice in un’intervista al Qn – che d’ora in poi voteremo sempre la fiducia al governo”. Sempre. Da ora in avanti, quindi, il presidente del Consiglio Matteo Renzi potrà contare sui 19 voti dei senatori guidati da Denis Verdini. Anzi, diceva Barani a Palazzo Madama poco prima del voto di fiducia che ha festeggiato l’ingresso in maggioranza, il gruppo è destinato a aumentare fino a 22-23. “La matematica non è un’opinione: senza di noi il governo non ha la maggioranza – rivendica Barani – Ma non chiediamo niente in cambio, non chiediamo posti”. Barani dice che Ala si intesta il merito dell’approvazione di una legge per il quale “sarà la storia” a ringraziare: “Noi vogliamo dire la nostra perché sulla Cirinnà non è stato solo un voto tecnico, sulla legge, ma anche politico – spiega l’ex forzista – E’ un voto di fiducia al governo e questo ha un peso che non sfugge a nessuno”.

Verdini “neutralizza” Alfano e la minoranza Pd
Non sfugge a nessuno soprattutto all’interno della maggioranza. Con questo pacchetto che blinda per sempre la stabilità del governo. Svuotando di senso le pretese e eventualmente le minacce delle “ali” della coalizione che sostiene Renzi: da una parte Area Popolare, dall’altra la sinistra del Pd. Lo stesso ministro della Giustizia Andrea Orlando ha definito Ala “a sinistra di Ncd”. Forse è per questo che Angelino Alfano ha deciso di alzare un po’ la voce per pronunciare a un microfono quella svirgolata sulla “rivoluzione contronatura. Forse è per questo che Monica Cirinnà si è sentita libera di dirgli, oggi, che è un alleato “retrivo”, che parla “a un Paese medievale“, che spera di non governarci più insieme. Forse è per questo, infine, che il più grande sostenitore delle intese, il presidente emerito Giorgio Napolitano, ha benedetto l’arrivo dei verdiniani a rinsaldare la maggioranza. “Il problema è quando la minoranza diventa sostitutiva. E’ fondamentale che la maggioranza di governo sia rimasta coerente con la scelta di stare insieme”, ha detto, quello che arriva in più sono solo “voti aggiuntivi”.

Speranza: “Ora basta, serve congresso Pd anticipato”
Il tema entrerà nella campagna elettorale in vista del congresso del Pd nel quale Renzi avrà come avversari il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e probabilmente il capo della corrente bersaniana Roberto Speranza. Proprio quest’ultimo, all’indomani del voto del Senato, interviene: “Non si può più stare zitti ed è il momento che si faccia una discussione vera sull’identità del Partito Democratico. L’identità del Partito Democratico si può decidere solo in un congresso anticipato“. Il sostegno del gruppo Ala, dice l’ex capogruppo democratico, è “molto grave”. “Il Pd non deve avere nulla a che fare con Verdini e con chi è stato protagonista in prima linea della stagione berlusconiana – aggiunge – Qui si sta scambiando la prospettiva di un accordo su alcune questioni con una prospettiva politica che, giorno dopo giorno, snatura il Partito Democratico. Penso che sia giusto immaginare che questo venga finalmente fermato. Il nostro popolo finisce per non capirci e, se continua così, ci troveremo con Verdini e company sempre più vicini ma il grosso del nostro popolo sempre più distante”. Il voto di fiducia, sottolinea l’ex capogruppo, “costruisce il perimetro della maggioranza. Penso che sia un fatto molto grave e sia una scelta assolutamente sbagliata che non condivido e che tocca l’identità profonda del Partito Democratico. Il Pd è nato per esser cardine del centro-sinistra; giorno dopo giorno rischia di diventare altro. Questo per me non è accettabile”. 

Serracchiani: “Insegue fantasmi, Verdini non è nel Pd”
La risposta arriva dalla vicesegretaria del Partito democratico, Debora Serracchiani: “A Speranza ricordo che Verdini ha votato la fiducia al governo Monti e l’ha votata al governo Letta, oltre ad aver votato ieri per le unioni civili, passaggio storico atteso da anni. Il gruppo di Verdini non c’entra nulla con il Pd, non fa parte del nostro partito e mai ne farà parte. L’unico a tenere quotidianamente insieme il Pd e Verdini è proprio Speranza, che insegue i propri fantasmi o forse più semplicemente le dichiarazioni dei Cinque Stelle e di Forza Italia”. Speranza, secondo la presidente del Friuli Venezia Giulia, “forse, più che al congresso del Pd vuole candidarsi a segretario di Ala. Sicuramente avrebbe più chance. Se invece vuole candidarsi segretario del Pd si accomodi, ci metta la faccia al prossimo congresso. Vedremo chi vincerà e chi perderà”.

Richetti: “Verdini in maggioranza è troppo”
Ma a protestare è anche uno che ha sostenuto a lungo Matteo Renzi, cioè il deputato emiliano Matteo Richetti. A lui l’ingresso in maggioranza di Verdini e dei suoi “pare oggettivamente troppo”. “Il segretario domenica ha detto: volete le riforme? Servono i numeri – dice alla Stampa – Ed io ho sempre difeso il varo di riforme costituzionali o legge elettorale con le maggioranze che erano necessarie, Verdini compreso. Ma la fiducia è un’altra cosa. Qui stiamo parlando di governo, di ingresso in maggioranza…” perché, osserva, “la fiducia è il pieno inserimento in un progetto di governo che presuppone una visione comune di paese e di società”. Il Pd che sognavano i renziani, aggiunge, non doveva poggiare su “elettori che avevano fatto opzioni diverse, ma non con ceto politico riciclato”. Quanto alla possibilità di nuovi rimpasti, Richetti risponde: “Sinceramente mi è bastato l’ultimo. Perché rappresenta la resa ad un politicismo che non ha nulla a che vedere con le porte spalancate della prima Leopolda“.

Torna l’ipotesi di modifiche all’Italicum
Ma le conseguenze di questa alleanza si intravedono soprattutto sulla legge elettorale. Il presidente del Consiglio ha ribadito più volte che l’Italicum è legge dello Stato e non sarà modificata. Ma le richieste di modifica si sono moltiplicate dopo l’approvazione, da parte dei centristi di governo, innanzitutto. In più resta ancora nell’aria quella sorta di intervento di “moral suasion” che il senatore a vita Giorgio Napolitano fece subito dopo l’ok del Senato alla riforma elettorale. Ma soprattutto, ora, il fatto nuovo è che della legge si occuperà la Corte costituzionale, alla quale il tribunale di Messina ha rinviato il testo accogliendo 6 dei 13 rilievi di presunta incostituzionalità sollevati dal pool di avvocati guidato da Felice Besostri (il legale “anti-Porcellum”). La Consulta, ha detto il nuovo presidente Paolo Grossi, si pronuncerà “in un tempo breve”.

Da una parte i centristi di governo vogliono modificare la legge perché sia tolto il premio di maggioranza alla lista vincente e sia reintrodotto il premio alla coalizione. Una modifica che sarebbe utile, naturalmente, anche ad Ala, che potrebbe cedere il proprio contributo a una delle alleanze che parteciperanno alle elezioni.  Vista, invece, dalla prospettiva della sinistra Pd c’è un altro punto a rischio “censura” da parte della Consulta (nel senso che il dubbio di costituzionalità è stato accolto dai giudici siciliani) e cioè quello sui capilista bloccati. Detto con le parole del ricorso la libertà dell’elettore di scegliere chi votare. Infine, sullo sfondo, i sondaggi che confermano da mesi l’effetto Parma e Livorno al ballottaggio: la possibilità che il Pd venga sconfitto al secondo turno dai Cinquestelle che attirerebbero i voti di parte dell’elettorato del centrodestra. Tutti elementi che potrebbero spingere a un ripensamento sull’Italicum.

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