Sempre più simili a società immobiliari e meno a istituti di credito. Le banche italiane cambiano pelle e con l’aiuto del governo Renzi cercano di fare cassa a partire dalla ricchezza italiana per eccellenza: la casa. E puntano a farlo evitando le lungaggini dei tribunali civili e fallimentari, coinvolti ogni volta che un debitore ipoteca casa e finisce col perderla. Così, dopo l’operazione “leasing immobiliare”, ecco che viene messo in campo un altro prodotto finanziario che ruota attorno al mattone e offre notevoli vantaggi per il finanziatore: l’ultima versione del prestito ipotecario vitalizio.
Questa volta, però, il target non sono i giovani, che pur di avere un’abitazione sono pronti indebitarsi, ma al contrario gli anziani, che pur di avere denaro per sostenere il proprio reddito o quello di figli e nipoti, l’abitazione sono disposti a ipotecarla cioè a darla in garanzia. La partita è molto interessante. In ballo c’è un patrimonio immobiliare da 3 miliardi di euro: il valore delle case dei 13 milioni di proprietari over 60. Dal prossimo 2 marzo, chi ha almeno 60 anni, un’abitazione intestata e bisogno di liquidità, avrà a disposizione un nuovo strumento finanziario. La scorsa settimana, infatti, è stato pubblicato il Regolamento del ministero dello Sviluppo economico che rende operativo il prestito ipotecario vitalizio così come è stato approvato dal Parlamento circa un anno fa.
Il vantaggio per chi vorrà accedere al prestito è che potrà farlo senza dare particolari garanzie, a parte la casa, e senza avere necessariamente l’obbligo di pagare rate nel corso della sua vita. In caso di morte il costo finale per gli eredi potrebbe essere molto alto. Per esempio la perdita della casa di famiglia. La cifra che si può chiedere alla banca oscilla tra il 10 e il 50% del valore di mercato dell’immobile su cui si intende iscrivere l’ipoteca e cresce con il crescere dell’età del proprietario di casa.
Più si è giovani e più basso sarà l’importo erogato, ovviamente, perché più lunga sarà la durata della vita e quindi del finanziamento. Cliente e istituto di credito, poi, potranno decidere insieme se prevedere il pagamento di una o più rate all’anno, per abbattere interessi e oneri accessori (le spese per perizia, istruttoria, assicurazione incendio/scoppio) e lasciare agli eredi la possibilità di riscattare l’immobile versando solo il valore del capitale prestato.
Tutt’altro percorso, invece, per chi accede al prestito senza pagare rate: con questa soluzione la banca si prende la casa quando il titolare muore. In questo caso il peso degli interessi cresce in modo esponenziale. Basta pensare che con un tasso fisso tra il 6 e il 7% il debito finisce col raddoppiare il suo valore in soli 10 anni. Il prestito ipotecario vitalizio, infatti, reintroduce una forma di anatocismo, ovvero gli interessi sugli interessi, vietato da più di un anno. Così per chi lo sceglie, alla fine dell’anno, gli interessi vengono calcolati sul debito maturato l’anno precedente, che già comprende altri interessi, e non sul capitale di partenza.
Non solo. La norma nasconde altri due grandi regali per le banche. L’istituto che ha concesso il prestito è esonerato dalla normale procedura esecutiva che si applica quando, in caso di mancato pagamento del mutuo, la banca avvia il pignoramento dell’immobile. Normalmente il procedimento è molto lungo, può durare anni, viene gestito da un Tribunale e mette sullo stesso piano tutti gli eventuali creditori: dalla banca al condominio, dalla finanziaria a un privato. Nel caso del prestito ipotecario vitalizio, invece, la legge prevede che, trascorsi i 12 mesi concessi agli eredi per decidere se pagare il debito o vendere la casa, sia lo stesso finanziatore a gestire in autonomia l’immobile, come fosse di sua proprietà, e a restituire soltanto agli eredi parte del guadagno eventualmente dovuto. Colpisce, oltretutto, che a stabilire la cifra a cui vendere la casa sia un perito “indipendente” identificato dalla stessa banca, anziché da un soggetto terzo come il presidente di un Tribunale.
Insomma, l’unica garanzia per chi resta è che, qualora il debito ereditato sia maggiore del valore dell’abitazione venduta, non sarà mai tenuto a pagare nient’altro che la tassa di successione. Cosa deve sapere, invece, chi volesse sottoscrivere un finanziamento del genere? Innanzitutto se è sposato o convive da 5 anni con una persona deve ottenere anche la firma del coniuge. Inoltre, dopo la sottoscrizione del prestito nessun altro può risiedere in casa, a parte figli e badanti. Neppure i nipoti. Pena l’obbligo immediato di ripianare il debito o vendere l’immobile. Chi offre il prestito deve farlo in modo trasparente. Deve presentare due simulazioni del piano di ammortamento, evidenziando anno per anno capitale e interessi: il primo applicando il tasso al momento della stipula e l’altro simulando uno scenario di rialzo di tassi.
di Barbara Cataldo
da Il Fatto Quotidiano del 22 febbraio 2016