Quattro milioni di euro netti all’anno di stipendio, oltre settanta spesi sul mercato, aria e reputazione da grande maestro di calcio internazionale. Tutto per presentarsi nel derby d’Italia contro la Juventus come un Castori o uno Stellone qualsiasi. Con tutto il rispetto per gli allenatori di Carpi e Frosinone, perché dietro i loro catenacci c’è il sudore e la fatica di chi fa i salti mortali per stare in Serie A. Mentre l’Inter vista a Torino è soltanto una soluzione di comodo, di chi non ha idee. E forse neppure la personalità che tutti, da sempre, gli riconoscono. Il dopo Juve-Inter è un processo a Roberto Mancini. Non tanto per il risultato, un 2-0 senza storia che rispecchia fedelmente l’attuale divario fra le due squadre. Ma per l’atteggiamento: nella serata più importante l’Inter si è presentata con cinque difensori in linea, più tre centrocampisti muscolari (di cui uno, Medel, che in nazionale gioca praticamente da libero).
Undici giocatori dietro la linea della palla, nessuna ambizione offensiva, unico obiettivo lo 0-0. Fallito, perché i bianconeri hanno vinto facilmente, senza troppo sforzo, sfruttando gli errori e le amnesie di una squadra allo sbando. La deriva è tattica e psicologica al contempo, e ha un unico responsabile. D’accordo che il valore della rosa non è eccelso, che certi giocatori stanno rendendo sotto le aspettative, che alcuni errori individuali (vedi D’Ambrosio sul gol del vantaggio) sono macroscopici. Mancini, però, ha chiuso la parabola della sua stagione (sì, chiuso, perché il campionato nerazzurro a questo punto è praticamente finito) con sette difensori in campo e i vari Jovetic, Ljaijc, Perisic e Eder (tutti da lui pretesi ed ottenuti) seduti in panchina.
Il piano era non prenderle, o prenderle il meno possibile. Come l’ultima delle provinciali contro una squadra superiore. Peccato si trattasse dell’Inter e del derby d’Italia contro la Juventus (anche se ormai si fa fatica a definirlo tale). Con le sue scelte il tecnico nerazzurro ha lanciato un segnale ai giocatori, che non a caso sono entrati male in campo nel primo tempo, malissimo nella ripresa quando si sono fatti gol praticamente da soli. Con la sconfitta di Torino svanisce definitivamente l’illusione di un’Inter se non grande almeno dignitosa, se non da scudetto almeno da Champions. Il terzo posto dista cinque punti ma pare ormai irraggiungibile vista la rinascita della Roma, il Milan sbeffeggiato ad inizio stagione è pronto al sorpasso, sarà Europa League solo perché non ci sono altre avversarie. Disastro totale, sportivo e anche economico, visti i mancati introiti della Champions e il deprezzamento di tanti giocatori comprati a peso d’oro su specifica richiesta dell’allenatore (l’ultimo della lista, Eder, è di pochi giorni fa e già quasi cestinato).
Eppure Mancini è ben saldo al suo posto. Qualche critica dai giornalisti, solo apprezzamenti dalla società: “Ci soddisfa pienamente – ha detto il ds Piero Ausilio –, speriamo di poter costruire insieme il futuro”. Quasi fosse il mister ad essere deluso ed incerto sul futuro. Già, perché per i suoi ‘grandi risultati’, potrebbe addirittura ricevere un premio a fine stagione: se Conte come pare andrà al Chelsea, Mancini potrebbe diventare il nuovo ct della nazionale. È uno dei principali candidati sulla lista di Tavecchio. Insieme proprio a chi ieri sera gli ha dato lezioni di tecnica e di tattica: quell’Allegri lanciato verso il secondo scudetto consecutivo, terzo in carriera, che guadagna meno di lui e ha fatto tutta la trafila dalla C2 alla Serie A, prima di arrivare al vertice. Eppure il grande nome per la panchina dell’Italia sarebbe quello di Mancini.
Twitter: @lVendemiale
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Roberto Mancini, come far spendere 70 milioni alla società per un catenaccio da provinciale. Inter: progetto fallito – Video
FATTO FOOTBALL CLUB - Il tecnico dei nerazzurri si presenta a Torino con cinque difensori, tre mediani di rottura, Icardi abbandonato a se stesso e Palacio a dannarsi per collegare centrocampo e attacco. Risultato: la Beneamata - che fino a qualche mese fa guidava la classifica - ora sembra una squadra che lotta per non retrocedere. Eppure è costata tantissimo
Quattro milioni di euro netti all’anno di stipendio, oltre settanta spesi sul mercato, aria e reputazione da grande maestro di calcio internazionale. Tutto per presentarsi nel derby d’Italia contro la Juventus come un Castori o uno Stellone qualsiasi. Con tutto il rispetto per gli allenatori di Carpi e Frosinone, perché dietro i loro catenacci c’è il sudore e la fatica di chi fa i salti mortali per stare in Serie A. Mentre l’Inter vista a Torino è soltanto una soluzione di comodo, di chi non ha idee. E forse neppure la personalità che tutti, da sempre, gli riconoscono. Il dopo Juve-Inter è un processo a Roberto Mancini. Non tanto per il risultato, un 2-0 senza storia che rispecchia fedelmente l’attuale divario fra le due squadre. Ma per l’atteggiamento: nella serata più importante l’Inter si è presentata con cinque difensori in linea, più tre centrocampisti muscolari (di cui uno, Medel, che in nazionale gioca praticamente da libero).
Undici giocatori dietro la linea della palla, nessuna ambizione offensiva, unico obiettivo lo 0-0. Fallito, perché i bianconeri hanno vinto facilmente, senza troppo sforzo, sfruttando gli errori e le amnesie di una squadra allo sbando. La deriva è tattica e psicologica al contempo, e ha un unico responsabile. D’accordo che il valore della rosa non è eccelso, che certi giocatori stanno rendendo sotto le aspettative, che alcuni errori individuali (vedi D’Ambrosio sul gol del vantaggio) sono macroscopici. Mancini, però, ha chiuso la parabola della sua stagione (sì, chiuso, perché il campionato nerazzurro a questo punto è praticamente finito) con sette difensori in campo e i vari Jovetic, Ljaijc, Perisic e Eder (tutti da lui pretesi ed ottenuti) seduti in panchina.
Il piano era non prenderle, o prenderle il meno possibile. Come l’ultima delle provinciali contro una squadra superiore. Peccato si trattasse dell’Inter e del derby d’Italia contro la Juventus (anche se ormai si fa fatica a definirlo tale). Con le sue scelte il tecnico nerazzurro ha lanciato un segnale ai giocatori, che non a caso sono entrati male in campo nel primo tempo, malissimo nella ripresa quando si sono fatti gol praticamente da soli. Con la sconfitta di Torino svanisce definitivamente l’illusione di un’Inter se non grande almeno dignitosa, se non da scudetto almeno da Champions. Il terzo posto dista cinque punti ma pare ormai irraggiungibile vista la rinascita della Roma, il Milan sbeffeggiato ad inizio stagione è pronto al sorpasso, sarà Europa League solo perché non ci sono altre avversarie. Disastro totale, sportivo e anche economico, visti i mancati introiti della Champions e il deprezzamento di tanti giocatori comprati a peso d’oro su specifica richiesta dell’allenatore (l’ultimo della lista, Eder, è di pochi giorni fa e già quasi cestinato).
Eppure Mancini è ben saldo al suo posto. Qualche critica dai giornalisti, solo apprezzamenti dalla società: “Ci soddisfa pienamente – ha detto il ds Piero Ausilio –, speriamo di poter costruire insieme il futuro”. Quasi fosse il mister ad essere deluso ed incerto sul futuro. Già, perché per i suoi ‘grandi risultati’, potrebbe addirittura ricevere un premio a fine stagione: se Conte come pare andrà al Chelsea, Mancini potrebbe diventare il nuovo ct della nazionale. È uno dei principali candidati sulla lista di Tavecchio. Insieme proprio a chi ieri sera gli ha dato lezioni di tecnica e di tattica: quell’Allegri lanciato verso il secondo scudetto consecutivo, terzo in carriera, che guadagna meno di lui e ha fatto tutta la trafila dalla C2 alla Serie A, prima di arrivare al vertice. Eppure il grande nome per la panchina dell’Italia sarebbe quello di Mancini.
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Juventus-Inter 2-0: Bonucci e Morata disinnescano il catenaccio di Roberto Mancini – Video
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Roma, 19 mar (Adnkronos) - "Giorgia Meloni è fuggita di nuovo, non la vedevamo dal dicembre scorso e le volte che si è palesata in aula si contano sulle dita di una mano. Si è chiusa per mesi nel silenzio imbarazzato di chi non sa cosa dire o non vuole dire cosa pensa". Lo ha detto Elly Schlein alla Camera.
Roma, 19 mar (Adnkronos) - La Lega "ha sostanzialmente commissariato la presidente Meloni dicendo che non ha mandato per esprimersi al Consiglio Ue". Lo ha detto Elly Schlein alla Camera.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Nessun impegno, nessun nuovo modello e nessuna certezza su occupazione e investimenti. Oltre i modi garbati di Joh Elkann non c’è nulla di nuovo". Lo affermano Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Alleanza Verdi Sinistra.
"Abbiamo chiesto - proseguono i due leader di Avs - a John Elkann di fare davvero il Presidente e il Ceo dell’azienda che dirige. Solo lui potrebbe e dovrebbe dare garanzie concrete su investimenti e occupazione in Italia. Dal 2014 ad oggi il settore ha perso 15mila lavoratori, con un danno sociale ed economico enorme per il paese. Vogliamo riportare le produzioni delocalizzate in Italia, come quella della grande Panda in Serbia, interrompendo il trasferimento degli stabilimenti all’estero. È inaccettabile che Stellantis continui a produrre modelli di grande diffusione lontano dal nostro Paese utilizzando l’immagine made in Italy solo per gli spot".
"Chiediamo un progetto industriale chiaro, che preveda investimenti definiti, nuovi modelli da realizzare in Italia e precise garanzie sul fronte produttivo e occupazionale. Tocca costatare che anche oggi non è arrivata nessuna risposta sulla Gigafactory di Termoli, sul reshoring delle produzioni trasferite all’estero, così come la fine della spinta alle delocalizzazioni, che impoveriscono il nostro tessuto industriale. L’audizione di oggi evidenzia anche - concludono Bonelli e Fratoianni - l’inadeguatezza del governo Meloni, più impegnato a fare la guerra alla transizione ecologica che a investire seriamente nelle infrastrutture necessarie, come le stazioni di ricarica e le Gigafactory. La destra non capisce che, se l’Europa non procederà con determinazione verso l’elettrico, sarà schiacciata dai colossi globali come l’americana Tesla e la cinese Byd. Serve una politica industriale lungimirante, non la difesa di modelli ormai superati".
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Oplà! L’ennesima giravolta di Giorgia l’Influencer è servita". Lo scrive Matteo Renzi sui social postando una dichiarazione del 2016 della premier Giorgia Meloni. "Sull'Europa avevano le idee più chiare nel 1941 i firmatari del Manifesto di Ventotene, detenuti in carcere", disse Meloni parlando di Renzi, Hollande e Merkel.
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Criticare un Manifesto è legittimo. Non rispettare la storia di ha dato la propria vita è un errore, ma questo non è accaduto". Lo ha detto in aula Maurizio Lupi di Noi Moderati nelle dichiarazioni di voto dopo le comunicazioni delle premier Giorgia Meloni. "Rispettare la storia non vuol dire non avere la libertà o la legittimità di criticare contenuti e idee diverse dalla propria storia, questo è il sale delle forza della democrazia".
Roma, 19 mar. (Adnkronos) - “La presidente del Consiglio che rinnega i valori della Costituzione sulla quale pure ha giurato: come si può? Come si possono insultare i padri non solo dell’Europa ma anche della nostra patria? Non è solo un’anti europeista che getta la maschera, e su questo avevamo pochi dubbi visto che la sua idea di Europa è più quella di Orban che la nostra ,il fatto più grave è che Meloni, con il suo discorso sul manifesto di Ventotene, insulta la storia e la memoria del nostro Paese". Così in una nota l’eurodeputata del Pd, Irene Tinagli.
"Mi voglio augurare che i vertici delle istituzioni, i presidenti di Camera e Senato in primis, vogliamo intervenire a tutela della democrazia, duramente contestata da chi dovrebbe governare l’Italia ed invece la oltraggia. La verità è fin troppo banale: all'Europa libera e unita, la Meloni preferisce l’autoritarismo di Orban e la sudditanza a Trump”.
Roma, 19 mar (Adnkronos) - "Abbiamo assistito all'ennesimo show della influencer Meloni, dopo un intervento scialbo, il grande colpo finale, l'attacco al Manifesto di Ventotene, preparato da giorni con giornalisti amici e le Tv, che serve per stare sui giornali per il Manifesto di Ventotene anzichè per le divisioni della maggioranza o la mancanza di una linea chiara di questo governo". Lo ha detto Maria Elena Boschi in aula alla Camera.
"Penso che abbia mandato di traverso il pranzo al presidente Mattarella, che ha anche ricordato che il Manifesto di Ventotene è un punto di riferimento nella costruzione europea", ha aggiunto la capogruppo di Iv a Montecitorio, che tra le altre cose ha sottolineato: "La Lega ha linea chiara, e l'ha detto: lei no ha mandato per andare al Consiglio Ue".