“Torturato più volte in sette giorni”. Non lo dicono solo gli inquirenti italiani, ma anche chi indaga al Cairo. Anche se anonimamente in un articolo pubblicato sul sito dell’agenzia Reuters. Giulio Regeni, il 28enne ricercatore, trovato senza vita il 3 febbraio e con il corpo che portava i segni inequivocabili di torture prolungate, è stato interrogato “per sette giorni” prima di essere ucciso. Le ferite ritrovate sul suo corpo dimostrano che le torture sarebbero “avvenute ad intervalli di 10-14 ore”. “Questo significa che chiunque sia accusato di averlo ucciso, lo stava interrogando per ottenere informazioni”.
Le fonti giudiziarie hanno rivelato che Hisham Abdel Hamid, direttore del Dipartimento di medicina legale del Cairo che ha eseguito l’autopsia in Egitto, è stato sentito dall’autorità giudiziaria. In procura il medico sarebbe stato accompagnato da due collaboratori. Anche una terza fonte, interna al Dipartimento di Medicina legale, ha confermato all’agenzia che Hamid era stato interrogato. Quest’ultimo però interpellato non ha smentito, ma non ha voluto rilasciare alcun commento giornalista che ha redatto l’articolo.
“Queste rivelazioni sono, secondo le associazioni dei diritti umani, l’indicazione finora più chiara che” Regeni, scomparso la sera del 25 gennaio, “sia stato torturato dai servizi di sicurezza egiziani. Le tecniche usate, come le bruciature di sigarette, ad intervalli di diversi giorni sono proprio il loro marchio di fabbrica”. Solo sei giorni fa il governo egiziano aveva ventilato l’ipotesi che il giovane dottorando fosse stato ucciso da criminali comuni o per una vendetta personale. Una ipotesi rispedita al mittente dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.
“Il referto dell’autopsia mostra che c’è un certo numero di ferite provocate nello stesso momento, altre provocate in un secondo momento e altre ancora provocate successivamente”, hanno rivelato le fonti a Reuters. “Le ferite e le fratture riscontrare, insomma, si sono verificate in tempi diversi durante un periodo di circa 5-7 giorni”.
Il ministero della Giustizia egiziano ha smentito, definendole “destituite di qualsiasi fondamento” le informazioni diffuse dall’agenzia britannica. Che aveva comunque già chiesto un commento ricevendo la smentita che Hamid fosse stato sentito. Intanto prosegue la campagna per screditare il ricercatore il quotidiano filogovernativo egiziano Al Akhbar scrive che “una fonte della sicurezza di alto rango” ha “evocato la possibilità” che il dottorando di Cambridge “sia stato tradito da uno dei responsabili delle sue attività” presso il think tank anglo-americano Oxford Analytica. Qualcuno “che avrebbe deciso di sbarazzarsi di lui dopo aver profittato delle informazioni”.
Il caso Regeni ha spinto Wind a ritirare lo spot in cui si ritraevano due personaggi che per non rivelare le tariffe venivano sottoposti a un’ironica tortura. La compagnia telefonica all’Ansa ha specificato che la registrazione dello spot era avvenuta prima della scomparsa di Giulio Regeni.