Alla vigilia del 140esimo anniversario dalla sua fondazione, Il Corriere della Sera cambia ancora padrone. Anzi, praticamente resta senza padrone. In uno dei suoi momenti più bui e mentre la concorrenza del gruppo Espresso si rafforza fino ad arrivare a controllare più del 20% del mercato. A muovere i fili delle sorti di entrambe le case editrici è la Fiat. Finito il tempo dei salotti, arrivati al capolinea causa resa dei conti in senso economico, il fuggi fuggi generale da via Solferino registra oggi il suo più illustre addio. Quello appunto degli Agnelli. A sette mesi dall’acquisizione della maggioranza relativa del blasonato settimanale britannico Economist, la famiglia torinese ha trovato la quadra per un drastico ridimensionamento delle sue partecipazioni editoriali italiane, da sempre sgradite all’amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne. Ma impossibili da vendere senza mettere in bilancio una perdita considerevole. Una questione non da poco, che ha richiesto tempo e denaro e che si risolverà nel modo più indolore possibile per le casse della casa automobilistica italoamericana.
Quest’ultima si libera in un colpo solo sia del polo La Stampa–Secolo XIX, che ha poco più di un anno di età, sia del Corriere della Sera. Il primo verrà traghettato nelle braccia della famiglia De Benedetti, che pagherà i due giornali in azioni Espresso e manterrà la maggioranza seppur relativa (43% circa) del gruppo, mentre a Fiat spetterà un 16% circa destinato a durare poco. La partecipazione sarà infatti regalata pro quota agli azionisti della casa automobilistica, a partire dalla cassaforte degli Agnelli, Exor, cui arriverà in dono un 5 per cento circa del gruppo editoriale di Repubblica e l’Espresso. I rapporti tra i due nuovi soci, lascia intendere una nota degli Agnelli, saranno regolamentati da un patto di sindacato.
Quello che è riuscito per La Stampa e il Secolo, non è evidentemente stato possibile per l’editrice del Corriere, Rcs, di cui Fiat è al momento il primo socio con il 16,67 per cento. Una posizione che il presidente di Fiat, John Elkann, si era conquistato a sorpresa nel 2013 investendo 94 milioni di euro nella ricapitalizzazione dell’editrice dopo mesi di schermaglie con il socio Diego Della Valle. Un anno e mezzo dopo l’intera partecipazione valeva 81 milioni, valore che il 31 dicembre scorso era sceso a 54 milioni. E che nei primi due mesi dell’anno si è ridotto di altri 5 milioni, galleggiando al ribasso in attesa di lumi sulla ricapitalizzazione da 200 milioni di euro e, più in generale, sul futuro del gruppo ormai ridotto all’osso dopo la chiusura di molti periodici, la vendita della storica sede milanese di via Solferino e la cessione dei Libri alla Mondadori. Operazioni portate avanti con decisione dal capoazienda scelto dalla Fiat, Pietro Jovane, che avrebbero dovuto riparare i guai fatti dal predecessore sempre di emanazione torinese, Antonello Perricone (per citare solo gli anni più recenti) ma che non hanno dato gli esiti sperati rispetto alla posizione debitoria dell’editrice che ormai da vendere ha ben poco, eccetto i suoi asset principali: Corriere e Gazzetta dello Sport. E’ a questo punto che gli Agnelli lasciano la plancia di comando della nave che affonda: la partecipazione sarà distribuita gratuitamente ai soci della Fiat e ad Exor andrà il 4,88% che però sarà ceduto entro la primavera del 2017. Il cerino, quindi, resta paradossalmente nelle mani di Della Valle che corona il sogno di diventare primo socio con il 7,32 per cento. Seguono Mediobanca (6,25%), Cairo (4,6%), Unipol (4,6%) e un’Intesa quasi orfana di Giovanni Bazoli (4,1%), oltre a un paio di fondi d’investimento.
A conti fatti, quindi, chi ha da guadagnarci è invece il gruppo Espresso, come ben ha intuito la Borsa che già in scia alle indiscrezioni sull’affare ha comprato a piene mani i titoli dell’editrice, facendogli guadagnare il 15,9% (+2,4% Fiat e +7,21% Rcs sulle attese di una vendita che non ci sarà). Del resto la galassia De Benedetti, senza alcun esborso di denaro contante potrà portare nuova linfa (oltre 1,5 milioni di lettori) al suo gruppo che già conta su 5,8 milioni di lettori (dati Audipress), sommando quelli di Repubblica, L’Espresso e i giornali locali della Finegil, 18 testate che vanno dal Piccolo di Trieste al Centro passando per Il Mattino di Padova, Il Trentino e La Tribuna di Treviso. Oltre alla corazzata online che conta in tutto 2,5 milioni di utenti unici al giorno. Il gruppo porta poi in edicola i mensili National Geographic Italia, Le Scienze, Mente e cervello, Limes e il bimestrale Micromega. E controlla Radio Deejay, Radio Capital e m20. Il tutto, in termini di bilancio nel 2015 si è tradotto in un fatturato di 605,1 milioni (-5,97% sul 2014), un utile di 17 milioni (+100%) spinto dalla vendita di All Music e un indebitamento finanziario di 10,7 milioni. Secondo le prime stime, le nozze con La Stampa e il Secolo porteranno il fatturato del gruppo a 750 milioni mentre la quota di mercato in termini di tiratura sarà al 22%, due punti sopra la soglia rilevante del 20 per cento.
Non a caso il presidente dell’Espresso, Carlo De Benedetti, parla di “una svolta importante per il Gruppo Espresso che avvia oggi un nuovo percorso di sviluppo, garanzia di un solido futuro in un mercato difficile. La missione di questa casa è sempre stata l’editoria, al servizio di una crescita civile del Paese. Con questa operazione l’impegno viene riconfermato e accresciuto”. Il nipote di Gianni Agnelli, dal canto suo, ha sottolineato ai dipendenti di Stampa e Secolo che l’intesa siglata con i De Benedetti è ”una novità destinata a aprire grandi prospettive per La Stampa e il Secolo XIX”, assicurando loro che “il rispetto dei valori di integrità e indipendenza che ha guidato fino ad oggi le nostre testate resterà immutato, perché sono gli stessi principi che la famiglia De Benedetti segue da ormai quasi 40 anni nel sostenere e sviluppare il Gruppo Espresso”. Più secco l’addio di Fiat al Corriere e alla Rcs: “Con questa operazione giunge a compimento il ruolo svolto, prima da Fiat e poi da Fca, per senso di responsabilità nel corso di oltre quarant’anni, che ha permesso di salvare il Gruppo editoriale in tre diverse occasioni, assicurando le risorse finanziarie necessarie a garantirne l’indipendenza e quindi a preservarne l’autorevolezza. In seguito al rinnovo del proprio Consiglio di Amministrazione, oggi Rcs Mediagroup dispone di una leadership chiara e di un Piano Industriale che stabilisce gli obiettivi al 2018, la cui realizzazione è già iniziata con buone evidenze sull’andamento dell’anno in corso”.
Aggiornato da redazione web il 3 marzo 2016 alle ore 20.00