La notizia dell’uccisione dei due ostaggi italiani in Libia arriva dopo la decisione del governo – presa quasi un mese fa – di inviare nei prossimi giorni un contingente di forze speciali nell’ex colonia africana, forze dirette dai servizi segreti con Palazzo Chigi a coordinare le operazioni. Una decisione dettata dalla necessità di non essere messi fuori gioco dall’interventismo interessato dei nostri “alleati” e che, come spiegano i generali Leonardo Tricarico e Vincenzo Camporini a IlFattoQuotidiano.it, contrasta palesemente con la linea fin qui prudentemente tenuta dall’Italia, che così si trova sul fronte opposto a quello sostenuto da Francia e Gran Bretagna.
“Dopo aver giustamente ribadito per mesi che non avremmo mai mandato soldati in Libia senza l’invito di un governo di unità nazionale – dice Leonardo Tricarico, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica – la situazione di stallo diplomatico e l’evoluzione della situazione militare sul terreno costringono il governo a cambiare idea e a decidere di intervenire senza richiesta di intervento da parte di un esecutivo libico, accordandosi con le tribù e le milizie dell’area di tradizionale interesse energetico italiano, ovvero la Tripolitania in cui si trova il terminal Eni di Mellitah, mentre le forze speciali francesi e inglesi sono schierate in Cirenaica a sostegno delle forze del governo di Tobruk. Una scelta di divisione del territorio per aree di influenza dal sapore neocolonialistico”.
Per l’ex capo di stato maggiore della Difesa Vincenzo Camporini, la notizia dell’invio delle “Fiamme Nere” del 9 reggimento incursori “Col Moschin”, che nei prossimi giorni si dovrebbero unire ai quaranta agenti dell’Aise – i servizi segreti per la sicurezza esterna – già presenti da mesi a Tripoli e Sabrata, è una sorpresa. “Se veramente il governo avesse preso una simile decisione, sarebbe non solo in aperta contraddizione con la saggia linea tenuta fin qui dal nostro Paese, cioè aspettare la formazione e l’invito di un governo libico unitario, ma ci metterebbe anche, per forza di cose, nella peculiare posizione di schierarci dalla parte del governo islamico di Tripoli che oggi controlla l’ovest della Libia in cui si trovano gli impianti Eni, e che è avverso a quello di Tobruk sostenuto dai nostri alleati”.
A spingere il governo italiano verso la decisione, che secondo indiscrezioni di stampa sarebbe stata presa da Matteo Renzi lo scorso 10 febbraio, è stata l’urgenza di reagire all’interventismo di Francia e Gran Bretagna, di accordarsi per non rimanere tagliati fuori dai giochi. Una scena già vista nel 2011. Come allora, i nostri “alleati” hanno scelto di tutelare i propri interessi energetici intervenendo subito con le loro forze speciali a fianco delle milizie di Tobruk del generale Khalifa Haftar sostenute da Egitto e Arabia Saudita, impegnate a combattere non solo l’Isis ma anche il governo della Fratellanza Musulmana di Tripoli sostenuto da Turchia e Qatar e molto ambiguo con l’Isis. Quello con il quale ora si schiererebbe l’Italia.