Dopo tre anni di silenzio dall’ultima splendida apparizione, rotto soltanto dalle sceneggiature di “Unbroken” e “Il ponte delle spie”, i fratelli terribili sono tornati immancabilmente a colpire e ancora una volta non avrebbero potuto farlo se non in puro stile Coen.
L’attesa per un nuovo progetto tutto loro iniziava a farsi già frenetica; come si potrebbe, infatti, anche solo immaginare un cinema privo di Ethan e Joel o parlare di loro senza spendere parole di totale stima e ammirazione per quello che hanno saputo regalare a quest’arte?!? Trent’anni di carriera folgorante, innovativa, originale ed intelligente. Hanno attraversato generi, tematiche ed intere generazioni sempre riadattandosi in maniera pregnante e infinitamente malleabile alla società e alla contemporaneità. Hanno saputo dar forma e dimensione al cinema postmoderno da precursori assoluti attraverso uno stile unico, personalissimo e sempre riconoscibile, in grado di sublimarsi in un
mix perfetto di raffinatezza ed ironia, di intellettualismo e cinismo impietoso, di serietà e senso del
grottesco; sono stati capaci di costruire un universo cinematografico articolato e sfaccettato riuscendo sempre ad imporre il proprio sguardo stimolante.
Il viaggio nel loro mondo non potrebbe mai concludersi con un solo titolo proprio perché in ogni singolo film è presente almeno un elemento memorabile in grado di segnare l’immaginario collettivo. È infatti un cinema che si snoda in un compendio di continue trovate narrative incastonate all’interno di una grande forma visiva; una creatività di scrittura e di messa in scena insaziabile che permette di dar vita ad un fiorire florido e fantasioso di situazioni dissacranti e pungenti, animate da personaggi assurdi e taglienti.
Si passa dall’istrionismo del Drugo nel Grande Lebowski e di McDunnoug in Arizona Junior all’eleganza raffinata di A proposito di Devis, dai noir spietati Blood Simple e Crocevia della morte al bianco Fargo e ancora dall’Odissea in chiave moderna di Fratello dove sei alla commedia acre ed esistenzialista in salsa yiddish A serious man, per arrivare all’apice formale ed espressivo di due capolavori assoluti come L’uomo che non c’era e Non è un paese per vecchi, non tralasciando comunque film più leggeri e scanzonati o addirittura una vera e propria rivisitazione del western.
Si potrebbe parlare per giornate intere di questi grandiosi cineasti ma il diciassettesimo capitolo di questa scintillante storia aspetta di essere scoperto. Il titolo Ave,Cesare! parte già dalla rappresentazione di un film nel film che in mano ai fratelli di St. Louis Park si trasfigura in un omaggio metacinematografico ed irriverente alla Hollywood d’oro degli anni ’50, quella dei musical e dei colossal leggendari come Un giorno a New York e Quo Vadis.
Sin dal primo fotogramma si respira il tipico profumo coeniano dettato da quell’inconfondibile contaminazione di generi e di caratteri mossi all’interno delle proprie idiosincrasie. Ancora una volta lo sguardo dei due registi non è indulgente nei confronti dei propri personaggi, eppure dimostra un’abilità unica nel trovare note profonde di umanità ed empatia anche attraverso un occhio così apparentemente freddo e distaccato. A scandire direttamente lo scorrere del tempo questa volta è l’inquadratura ripetuta dell’orologio da polso di Josh Brolin, un produttore cinematografico intorno al quale si avvicendano una mescolanza densa ed intricata di episodi e situazioni rocambolesche, tutte legate in maniera diretta alla grande giostra dello star system.
Sembra di assistere ad uno spettacolo circense tale è la maestria con la quale veniamo catapultati da un microcosmo all’altro; si canta, si balla, ci si diverte in quella che è una dichiarazione d’amore per il cinema, articolata in una girandola di citazioni e rimandi da Ben Hur e Un americano a Parigi, fino al più recente Trumbo. L’abito, disegnato splendidamente dallo storico direttore della fotografia Roger Deakins, è quello coloratissimo, eccentrico ed eccessivo della commedia, abbinato al solito velo leggero e trasparente di humour nero.
Qui però la penna del regista a due teste si svuota un po’ dell’acido pungente a cui siamo abituati; tuttavia, nonostante l’approccio meno impegnato e sofisticato, permane comunque la sagace capacità di ironizzare sulla politica, sul maccartismo e sul cinismo di un’industria che manovra tutto e tutti per il proprio tornaconto economico anche a dispetto del talento e della qualità. L’assurdità del destino beffardo e l’accettazione del caso nelle sue varie declinazioni inoltre, continuano ad essere il fulcro della filosofia che anima il cinema dei Coen. “Questo film non contiene nessuna rappresentazione visiva di Dio”; basterebbe la sarcastica frase finale per rendere palpabile lo spirito di quest’ultimo lungometraggio. Infatti anche se il tema sembrerebbe richiamare un film intellettualmente più profondo ed appagante come Burton Fink, in realtà in Ave, Cesare! i registi del Minnesota decidono di navigare acque più quiete, offrendoci un divertissement di una perizia cinematografica meticolosa; un banchetto gustoso impreziosito da un cast stellare (tra gli altri George Clooney, Tilda Swinton, Ralphes Fiennes, Scarlett Johansson, Channing Tatum e Jonah Hill), ricco di sapori sfiziosi e retrogusti piccanti, una leccornia per ogni palato cinefilo.