Cinema

Leonardo Sciascia ad Elio Petri: “Io scrivo solo per fare politica”. Così nacque ‘A ciascuno il suo’

Uno scrittore e un regista. Due grandi talenti che volevano collaborare e che era diventati amici. C'è la passione e l'impegno politico diversamente intesi, l'amore per la cultura, ma anche sconforto e rammarico nell’inedito scambio epistolare tra lo scrittore siciliano e il regista romano

di F. Q.

Uno scrittore e un regista. Due grandi talenti che volevano collaborare e che erano diventati amici. C’è la passione e l’impegno politico diversamente intesi, l’amore per la cultura, ma anche sconforto e rammarico nell’inedito scambio epistolare tra Leonardo Sciascia ed Elio Petri, conservato nell’Archivio della Bibliomediateca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, e pubblicato, informa l’AdnKronos, a cura di Gabriele Rigola dell’Università di Torino sul nuovo fascicolo della rivista internazionale di studi sciasciani “Todomodo” (Olschki editore). Sciascia confessava: “Io scrivo solo per fare politica” e Petri rispondeva parlando di A ciascuno il suo: “Volevo fare un film politico non didascalico”

“Caro Elio, ho già pronto il racconto”
“Caro Elio, sono quasi tentato di buttare giù, come soggetto, la mia storia dell’uomo che ammazza i giudici” scriveva lo scrittore siciliano l’11 giugno 1967 al regista romano esprimendo il desiderio di scrivere una precisa “storia”. Sciascia si riferiva a “Il contesto. Una parodia”, che sarà pubblicato nel 1971 e adattato per il cinema qualche tempo dopo dal regista Francesco Rosi (“Cadaveri eccellenti”, 1976).

Come si fa a convincere un produttore che una storia è bella, se non dopo averla realizzata?

Negli scambi successivi, quando non si tratta semplicemente di brevi biglietti o lettere di saluto, iniziò a profilarsi l’idea di un’eventuale collaborazione, riguardante la stesura di un racconto che Sciascia sottopose a Petri, nelle sue linee generali, in una lettera del 9 agosto 1967 e che andava trasformato in un film. Il 10 ottobre, da Palermo, Sciascia informava l’amico regista dei suoi futuri spostamenti (e in particolare del suo arrivo a Roma di lì a pochi giorni) e lo avvertiva che il lavoro di scrittura era già terminato (“Ho già pronto il racconto“). I problemi con il produttore cinematografico, però, e i rallentamenti, soltanto presagiti nelle lettere precedenti, vennero a quel punto esplicitati. In particolare nella lettera successiva, non datata ma presumibilmente scritta negli ultimi mesi del 1967, tra altri discorsi, Elio Petri esprimeva tutto il suo sconforto: “Così è il cinema. Mi viene un grande sconforto se penso che a 50 o 60 anni mi troverò a dover affrontare sempre i medesimi problemi. Come si fa a convincere un produttore che una storia è bella, se non dopo averla realizzata?”

La missiva faceva riferimento alla specifica difficoltà di convincere il produttore ad acquistare i diritti della storia scritta da Sciascia, preliminarmente battezzata “Un delitto“. Si tratta del racconto “Gioco di società”, che Sciascia pubblicò poi sulla rivista “La Fiera letteraria” nel dicembre 1967, e in modo definitivo nella raccolta “Il mare colore del vino” (Einaudi, 1973). In una lettera del 19 dicembre 1967 Sciascia rincuorava così l’amico Petri: “So bene come vanno le cose nel cinema, e dunque non devi avere nessuna preoccupazione nei miei riguardi”.

“Io scrivo solo per fare politica…”
L’8 settembre 1966 Petri che stava per iniziare le riprese del film tratto dal romanzo “A ciascuno il suo” riceveva parole di incoraggiamento, ma anche di rimprovero.”Ho fiducia che farai un buon film, ma sarà in ogni caso, un film che non avrà niente a che fare col racconto. Il mio personale rammarico (che tu ha già avvertito e dichiarato: e mi riferisco all’intervista pubblicata sul Popolo) riguarda soprattutto la tua intenzione di non fare un film politico. Io scrivo soltanto per fare politica: e la notizia che il mio racconto servirà da pretesto a non farne non può, tu capisci bene, riempirmi di gioia”.

Ho fiducia che farai un buon film, ma sarà in ogni caso, un film che non avrà niente a che fare col racconto

Il regista rispose dopo due giorni (10 settembre 1966), mentre si trovava già in Sicilia per le riprese del film. Nella prima parte della lettera, scritta da Cefalù, il regista riferiva il suo forte interesse per il protagonista di “A ciascuno il suo”, Paolo Laurana, e per la sua “natura”. E commentava Petri: “Nella scelta di un personaggio si parte sempre – e comunque – da un processo di identificazione: riderai, se ti dico che io mi sento un poco come Laurana?”

Petri: “Io, per politico, intendo ogni film che si presenti apertamente, massicciamente come libello”
A rispondere direttamente alle questioni sollevate da Sciascia nella sua precedente è la parte centrale della lettera di Petri, che entra anche nel merito del dibattito sul cinema politico che via via si sviluppava in quegli anni: “Potrei rovesciare il discorso così: volevo fare un film politico non didascalico. Tu credi che quando sullo schermo appariranno i preti, Rosello, i notabili, l’Osservatore Romano, tu credi che il film non sarà politico? Intendiamoci sulle parole, forse faremo prima: io, per politico, intendo ogni film che si presenti apertamente, massicciamente come libello, o come teorema politico, come un’opera sulla cui materia di ricerca, prevalga – incomba – una tesi politica, che in questo senso, è propagandistica”.

La mia previsione che avresti fatto un ottimo film, ma diverso dal libro, si è avverata

Nella lettera del 2 ottobre 1966, scritta a Petri, Sciascia tornava sulla distinzione tra i ruoli di scrittore e regista: “Nel mio atteggiamento nei tuoi riguardi non c’è stata altra ragione che quella dell’autore di un libro che ritiene di dover lasciare all’autore del film ogni possibile libertà ma evitando accuratamente di diventarne complice”. Il 22 febbraio 1967 il film di Petri usciva nelle sale cinematografiche. Meno di un mese dopo (10 marzo 1967) Sciascia prese carta e penna e scrisse a Petri: “La mia previsione che avresti fatto un ottimo film, ma diverso dal libro, si è avverata. E mi piace riconfermare, in tutta sincerità, che non c’è stato tra noi alcun malinteso, né io ho avuto delusione o amarezza dal fatto di scoprire, nella sceneggiatura e ora nel film, che tu hai fatto un’altra cosa”.

Sciascia: “La mia storia dell’uomo che ammazza i giudici”
Il rapporto tra due proseguì e anche gli scambi epistolari. “Caro Elio, sono quasi tentato di buttare giù, come soggetto, la mia storia dell’uomo che ammazza i giudici” scriveva lo scrittore siciliano l’11 giugno 1967 al regista romano esprimendo il desiderio di scrivere una precisa “storia”. Sciascia si riferiva a “Il contesto. Una parodia”, che sarà pubblicato nel 1971 e adattato per il cinema qualche tempo dopo dal regista Francesco Rosi (“Cadaveri eccellenti”, 1976).

Negli scambi successivi, quando non si tratta semplicemente di brevi biglietti o lettere di saluto, iniziò a profilarsi l’idea di un’eventuale collaborazione, riguardante la stesura di un racconto che Sciascia sottopose a Petri, nelle sue linee generali, in una lettera del 9 agosto 1967 e che andava trasformato in un film.

Petri: “Mi viene un grande sconforto se penso che a 50 o 60 anni mi troverò a diver affrontare sempre i medesimi problemi”

Il 10 ottobre, da Palermo, Sciascia informava l’amico regista dei suoi futuri spostamenti (e in particolare del suo arrivo a Roma di lì a pochi giorni) e lo avvertiva che il lavoro di scrittura era già terminato (“Ho già pronto il racconto”). I problemi con il produttore cinematografico, però, e i rallentamenti, soltanto presagiti nelle lettere precedenti, vennero a quel punto esplicitati. In particolare nella lettera successiva, non datata ma presumibilmente scritta negli ultimi mesi del 1967, tra altri discorsi, Elio Petri esprimeva tutto il suo sconforto: “Così è il cinema. Mi viene un grande sconforto se penso che a 50 o 60 anni mi troverò a diver affrontare sempre i medesimi problemi. Come si fa a convincere un produttore che una storia è bella, se non dopo averla realizzata?”

“So bene come vanno le cose nel cinema”
La missiva faceva riferimento alla specifica difficoltà di convincere il produttore ad acquistare i diritti della storia scritta da Sciascia, preliminarmente battezzata “Un delitto”. Si tratta del racconto “Gioco di società”, che Sciascia pubblicò poi sulla rivista “La Fiera letteraria” nel dicembre 1967, e in modo definitivo nella raccolta “Il mare colore del vino” (Einaudi, 1973). In una lettera del 19 dicembre 1967 Sciascia rincuorava così l’amico Petri: “So bene come vanno le cose nel cinema, e dunque non devi avere nessuna preoccupazione nei miei riguardi”.

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