Tre anni dopo l’elezione più che domandarsi a che punto è il Papa bisogna chiedersi dove sta la Chiesa cattolica. I cantieri aperti da Bergoglio sono sotto gli occhi di tutti e hanno avuto l’effetto di scuotere equilibri centenari. Francesco costruisce una Chiesa meno monarchica e più collegiale, creando il “consiglio della corona” di 9 cardinali, che deve assisterlo nel governo, di cui fanno parte esponenti di tutte le tendenze ecclesiali (dai riformisti, ai centristi, ai conservatori). Un esempio di pluralismo e inclusività. E ha dato libertà di parola e reale potere di fare proposte a quel parlamento sui generis, che è il Sinodo dei vescovi.
Francesco ha iniziato un’opera di pulizia nello Ior, chiudendo migliaia di conti, stabilendo regole precise per l’apertura e il monitoraggio dei conti correnti, creando un comitato antiriciclaggio, firmando accordi di cooperazione giudiziaria con molti stati, lasciando che agenzie internazionali indipendenti passassero al setaccio le finanze vaticane, istituendo un Segretariato per l’Economia incaricato di controllare gli appalti (fonte eterna di corruzione) e di monitorare i bilanci delle singole amministrazioni della Santa Sede.
Francesco è il primo pontefice ad avere processato per pedofilia un arcivescovo-diplomatico vaticano (Jozef Wesolowski), mettendolo agli arresti, e ad aver istituito un tribunale speciale per i vescovi negligenti nel perseguire gli abusi sessuali nelle loro diocesi.
Francesco ha iniziato una riforma della Curia. Ha proposto un nuovo approccio pastorale nella tematica sessuale – dal superamento del veto alla comunione ai divorziati risposati al rispetto delle scelte di vita degli omosessuali – ricevendo persino in Vaticano un transessuale con la sua fidanzata. Francesco ha lanciato l’idea di mettere le donne in posti di responsabilità nella Chiesa, là dove “si decide e si esercita autorità”. Francesco dialoga con i non credenti ed è il primo pontefice ad aver scritto un enciclica (sull’ecologia) partendo dai dati scientifici per arrivare alle scelte che un cristiano deve fare in nome del Vangelo invece di mettere in cattedra la “dottrina” predicando alla scienza come comportarsi.
Francesco ha iniziato a nominare vescovi, scegliendoli tra persone non carrieriste, immerse nella vita parrocchiale di ogni giorno. Pungolando i preti a non essere burocrati dei sacramenti e i vescovi a non credersi principi. E fustigando i mali che affliggono parte del personale di Curia: narcisismo, autoreferenzialità, Alzheimer spirituale. Francesco ha sganciato la Santa Sede dalla politica italiana, ha rilanciato la presenza internazionale del Vaticano sulla scena internazionale, ha aperto un dialogo con gli ortodossi russi e con i protestanti nel 500. anniversario della Riforma di Lutero. Ha mediato tra Stati Uniti e Cuba, ha scongiurato nel 2013 una invasione occidentale in Siria (che oggi Obama riconosce sarebbe stata un tragico errore). Ha invitato a Roma il presidente cinese Xi Jinping. Questi sono fatti.
Ma il fatto che salta agli occhi mentre inizia il quarto anno del suo pontificato è l’enorme resistenza che l’apparato ecclesiastico gli oppone non solo nella Curia romana, ma nella massa degli episcopati sparsi per il mondo. E’ una resistenza che nasce dal tradizionalismo, dal conservatorismo più angusto, dalla paura del nuovo, dal comodo attaccamento alla routine, da una visione dottrinaria del cristianesimo, dal rifiuto della maggioranza di preti e vescovi di assumere uno stile di vita povero, abbandonando quello di funzionari del sacro. Nuovi indecenti scandali finanziari esplodono come ha mostrato Vatileaks2.
La maggioranza dei vescovi non ha appoggiato Francesco nei due Sinodi sulla famiglia affinchè ci fossero regole chiare per la riammissione all’eucaristia dei divorziati risposati e venisse riconosciuto il valore positivo delle unioni omosessuali. La maggioranza dei vescovi non muove un dito per far sì che le donne assumano ruoli guida nei tantissimi organismi ecclesiastici (dove non sono in gioco poteri sacramentali). La maggioranza dei vescovi si rifiuta di appoggiare la regola che un presule ha l’obbligo di denunciare all’autorità giudiziaria un prete predatore di minorenni. Molti cardinali elettori – a partire dagli Stati Uniti e non solo – non voterebbero più per Bergoglio in un conclave.
La Chiesa è un organismo enorme composto da oltre un miliardo e duecento milioni di fedeli. Un corpaccione istituzionale, innervato da migliaia di vescovi, centinaia di migliaia di preti, suore, frati, centinaia e centinaia di migliaia di appartenenti ad associazioni, movimenti, istituzioni di vario genere. Muovere questo corpo in direzione di una riforma radicale, che scuota dalle strutture e dalle pratiche della Chiesa “duecento anni di polvere” – come disse il cardinale Martini prima di morire – è un’operazione faticosissima. Con la lucidità del giullare Benigni ha detto che Francesco “cerca di trascinare la Chiesa verso Gesù Cristo”. In questo sforzo Bergoglio è sostanzialmente solo, nel senso che solo una minoranza nella Chiesa lo sostiene concretamente. La stragrande maggioranza dei fedeli lo applaude, ma resta a guardare.
Manca dal basso un forte movimento di vescovi, preti, teologi, fedeli impegnati. Come invece è accaduto durante il concilio Vaticano II, quando in molte parti della Chiesa si manifestavano iniziative di sostegno attivo alla svolta riformatrice. Al contrario si è scatenata nella rete una campagna anti-Bergoglio estremamente aggressiva. Francesco, gli rimproverano alcuni suoi sostenitori, ha fatto due errori: non cambiare tutti i capi della Curia e non trasformare le sue esortazioni in istruzioni da seguire. Non sembra essere nel suo temperamento. Solo il 40 p.c. dei cattolici praticanti italiani (Swg agosto 2015) pensa che ce la farà a cambiare Chiesa e Curia. Così prosegue la sua corsa nella solitudine del maratoneta. E il tempo del pontificato, per sua dichiarazione, non è molto.