A casa il sindaco che delude o tradisce i cittadini che lo hanno eletto. A chiedere che anche in Italia, come già accade in altri paesi europei ma anche negli Usa e in America Latina, vi sia per l’elettore la possibilità di revocare il mandato di rappresentanza, è il presidente del gruppo Misto della Camera Pino Pisicchio (nella foto) con una proposta di legge che vuole introdurre nel nostro ordinamento costituzionale l’istituto del ‘recall’, l”elezione di richiamo’ per rimuovere il politico prima del termine del suo mandato.
Gli elettori che vogliono ‘licenziare’ il primo cittadino possono farlo, secondo il testo appena depositata a Montecitorio, attraverso un referendum da tenere non prima che siano trascorsi diciotto mesi dal voto. E questo per evitare che la petizione di revoca sia strumentalmente utilizzata come rivalsa dalle liste e i partiti che hanno perso le elezioni.
A chiedere il referendum deve essere almeno il 15 per cento dei votanti all’ultima tornata elettorale. Inoltre, devono trascorrere non meno di otto settimane tra la petizione e il referendum. Questo per consentire all’’accusa’ e alla ‘difesa’ di prepararsi adeguatamente al ‘processo’ che vede sul banco degli imputati il primo cittadino. E non è necessario un quorum: se le firme sono sufficienti a mettere in moto la macchina referendaria, si va alle urne. A sostenere i costi della consultazione è lo stesso comune.
Ma perché prevedere una consultazione popolare per revocare il mandato solo al sindaco e non già anche al parlamentare? Perché, spiega Pisicchio, se il recall è difficilmente compatibile con le Costituzioni europee di civil law in riferimento alla rappresentanza parlamentare (in Italia l’articolo 67 della Costituzione stabilisce che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”) non sembra avere ragioni di contrasto con i mandati locali, dove non di rado si incrina il rapporto di fiducia tra capo dell’amministrazione locale, investito nel ruolo monocratico dal voto popolare, e il corpo elettorale. “Un sano principio –argomenta Pisicchio- di democrazia diretta: diretta è l’investitura, diretta potrà essere la revoca”
In molti casi, insiste il presidente del gruppo Misto della Camera, la rottura del rapporto fiduciario tra eletto ed elettore non riesce a risolversi con il naturale ricorso anticipato alle urne “per la resistenza da parte delle assemblee che finiscono, in una logica di autoconservazione, per creare condizioni paradossali di tutela al sindaco”. E quanto diffusa sia questa situazione, che concorre a dipingere con tinte fosche la classe politica italiana, lo confermano i casi di Roma e di Quarto, solo per citare i più recenti.
Per risalire alle origini del recall bisogna andare indietro nei secoli fino alla polis ateniese, che ha fissato alcune delle regole su cui nei secoli a venire si sarebbero basate molte democrazie occidentali. L’istituto del recall, ha ricordato in un suo intervento in materia il costituzionalista Michele Ainis, è in vigore in sei cantoni svizzeri, nella provincia canadese della Columbia Britannica (dove dal 1995, anno di entrata in vigore nell’ordinamento, 24 proposte di recall sono state lanciate ma ben 23 non hanno raggiunto il numero di firme necessario, mentre in un caso il politico in oggetto ha preferito dimettersi prima del voto) , in Venezuela e, soprattutto, in numerosi stati degli Usa.
Il caso più clamoroso, per gli States, quello del 2003 quando il governatore della California Gray Davis è stato cacciato perché giudicato responsabile del dissesto finanziario del più ricco stato d’America (a succedergli fu l’attore Arnold Schwarzenegger). In Venezuela, l’istituto del recall è previsto per tutte le cariche elettive dall’articolo 72 della Costituzione ‘Bolivariana’ del 1999, e nel 2004 l’allora presidente della repubblica, Hugo Chavez, superò un tentativo di destituzione.
Camera
Sindaci, a casa chi tradisce l’elettore: proposta di legge per recall e revoca del mandato
Il testo depositato alla Camera dal capo del gruppo Misto Pino Pisicchio. Prevede che gli elettori che vogliono ‘licenziare’ il primo cittadino possono farlo attraverso un referendum. Richiesto da almeno il 15 per cento dei votanti all’ultima tornata elettorale. E da tenere non prima che siano trascorsi diciotto mesi dal voto
A casa il sindaco che delude o tradisce i cittadini che lo hanno eletto. A chiedere che anche in Italia, come già accade in altri paesi europei ma anche negli Usa e in America Latina, vi sia per l’elettore la possibilità di revocare il mandato di rappresentanza, è il presidente del gruppo Misto della Camera Pino Pisicchio (nella foto) con una proposta di legge che vuole introdurre nel nostro ordinamento costituzionale l’istituto del ‘recall’, l”elezione di richiamo’ per rimuovere il politico prima del termine del suo mandato.
Gli elettori che vogliono ‘licenziare’ il primo cittadino possono farlo, secondo il testo appena depositata a Montecitorio, attraverso un referendum da tenere non prima che siano trascorsi diciotto mesi dal voto. E questo per evitare che la petizione di revoca sia strumentalmente utilizzata come rivalsa dalle liste e i partiti che hanno perso le elezioni.
A chiedere il referendum deve essere almeno il 15 per cento dei votanti all’ultima tornata elettorale. Inoltre, devono trascorrere non meno di otto settimane tra la petizione e il referendum. Questo per consentire all’’accusa’ e alla ‘difesa’ di prepararsi adeguatamente al ‘processo’ che vede sul banco degli imputati il primo cittadino. E non è necessario un quorum: se le firme sono sufficienti a mettere in moto la macchina referendaria, si va alle urne. A sostenere i costi della consultazione è lo stesso comune.
Ma perché prevedere una consultazione popolare per revocare il mandato solo al sindaco e non già anche al parlamentare? Perché, spiega Pisicchio, se il recall è difficilmente compatibile con le Costituzioni europee di civil law in riferimento alla rappresentanza parlamentare (in Italia l’articolo 67 della Costituzione stabilisce che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”) non sembra avere ragioni di contrasto con i mandati locali, dove non di rado si incrina il rapporto di fiducia tra capo dell’amministrazione locale, investito nel ruolo monocratico dal voto popolare, e il corpo elettorale. “Un sano principio –argomenta Pisicchio- di democrazia diretta: diretta è l’investitura, diretta potrà essere la revoca”
In molti casi, insiste il presidente del gruppo Misto della Camera, la rottura del rapporto fiduciario tra eletto ed elettore non riesce a risolversi con il naturale ricorso anticipato alle urne “per la resistenza da parte delle assemblee che finiscono, in una logica di autoconservazione, per creare condizioni paradossali di tutela al sindaco”. E quanto diffusa sia questa situazione, che concorre a dipingere con tinte fosche la classe politica italiana, lo confermano i casi di Roma e di Quarto, solo per citare i più recenti.
Per risalire alle origini del recall bisogna andare indietro nei secoli fino alla polis ateniese, che ha fissato alcune delle regole su cui nei secoli a venire si sarebbero basate molte democrazie occidentali. L’istituto del recall, ha ricordato in un suo intervento in materia il costituzionalista Michele Ainis, è in vigore in sei cantoni svizzeri, nella provincia canadese della Columbia Britannica (dove dal 1995, anno di entrata in vigore nell’ordinamento, 24 proposte di recall sono state lanciate ma ben 23 non hanno raggiunto il numero di firme necessario, mentre in un caso il politico in oggetto ha preferito dimettersi prima del voto) , in Venezuela e, soprattutto, in numerosi stati degli Usa.
Il caso più clamoroso, per gli States, quello del 2003 quando il governatore della California Gray Davis è stato cacciato perché giudicato responsabile del dissesto finanziario del più ricco stato d’America (a succedergli fu l’attore Arnold Schwarzenegger). In Venezuela, l’istituto del recall è previsto per tutte le cariche elettive dall’articolo 72 della Costituzione ‘Bolivariana’ del 1999, e nel 2004 l’allora presidente della repubblica, Hugo Chavez, superò un tentativo di destituzione.
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(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.