Hillary Clinton e Donald J. Trump. E’ questo il verdetto dell’ennesimo martedì di primarie americane. La Clinton batte Bernie Sanders in quattro Stati sui cinque – Illinois, North Carolina, Florida e Ohio – e spazza via i dubbi residui sulla sua candidatura. Tra i repubblicani, Trump vince – tranne che in Ohio, che va a John Kasich – e pone un’ipoteca sempre più seria sulla nomination. Marco Rubio, sconfitto nel suo Stato, la Florida, si ritira.
E’ stata un’altra notte di risultati che hanno travolto il mondo politico americano, che hanno alimentato speranze e messo fine a sogni e carriere politiche. La vera vincitrice di questo nuovo round di voto è sicuramente Hillary Clinton, che si riprende dopo il cattivo risultato di due settimane fa in Michigan, blocca lo slancio di Sanders e dimostra di essere competitiva anche nel Midwest industriale, al di fuori degli Stati del Sud dove la popolazione afro-americana le ha finora dato un forte vantaggio.
Nel discorso ai suoi sostenitori a West Palm Beach, in Florida, la Clinton è apparsa raggiante: “Questa per noi è un’altro Super Tuesday – ha detto, davanti a una folla di più di mille persone -. Stiamo per assicurarci la nomination democratica e poi la Casa Bianca, a novembre”. Ancora più che in altre occasioni, la Clinton ha preso di mira il suo rivale repubblicano, Donald Trump, che festeggiava la sua vittoria a pochi chilometri di distanza. “Quando sentiamo un candidato alla presidenza dire che vuole rastrellare 12 milioni di immigrati, quando lo sentiamo dire che vuole proibire ai musulmani l’entrata negli Stati Uniti, quando dice di appoggiare la tortura – tutto questo non lo rende più forte, lo rende il candidato sbagliato”.
Di fronte ai toni ormai da candidato ufficiale della Clinton, Bernie Sanders – che ha conquistato un solo Stato, il Missouri – ha risposto con il consueto attacco all’America delle corporation e delle ingiustizie economiche e sociali. Parlando a Phoenix, Sanders ha criticato Walmart per i salari tropo bassi e di nuovo stigmatizzato la politica dei trattati commerciali, che ha indebolito il sistema industriale del Midwest. “Questo è il mio messaggio all’America delle corporation – ha detto – se vuoi che compriamo i tuoi prodotti, comincia a produrli qui in America, non in Cina”. Alla Clinton, Sanders si è di nuovo rivolto con l’accusa di essere la candidata della grande industria e del sistema finanziario. “Ha ricevuto denaro dalle compagnie farmaceutiche, dall’industria del carbone. Ha dato discorsi a Wall Street per 225 mila dollari a botta”.
La vittoria della Clinton appare particolarmente importante proprio in Ohio. Dopo la sconfitta inaspettata in Michigan, c’erano nel suo team timori che altre aree industriali del Midwest potessero voltarle le spalle, indebolendo la sua candidatura per le elezioni generali di novembre. Negli ultimi giorni il team Clinton ha battuto con particolare forza proprio l’Ohio, soprattutto Cleveland e i suoi sobborghi. A Youngstown, uno dei simboli della crisi industriale americana, Hillary ha ricordato il suo “sostegno alle nostre industrie nello Stato di New York, qui in Ohio e in tutta l’America”. Nelle ultime ore Bill Clinton è stato mandato a cercare consensi a Toledo e Akron, altre zone industriali e con una forte presenza di popolazione afro-americana.
Alla fine la mobilitazione ha avuto successo. A una prima analisi dei dati, risulta che la Clinton – oltre a dominare nel voto degli ispanici e degli afro-americani in Florida e North Carolina – è stata anche sostenuta da una maggioranza esigua di elettori bianchi in Ohio e Illinois. Il team di Bernie Sanders ha reagito alla sconfitta dicendo che gli Stati favorevoli alla Clinton sono ormai passati, che ora si combatterà in aree più liberal – California e Wisconsin – e dove si tengono i caucuses – un sistema di voto che sembra favorire il senatore. Oltre le dichiarazioni di facciata, Clinton sembra a questo punto essersi comunque assicurata un netto vantaggio rispetto a Sanders; di tre volte superiore rispetto a quello che Obama aveva su di lei nel 2008. Soprattutto, con la vittoria in Stati con una forte presenza di working-class bianca, la Clinton può dimostrare di essere non soltanto la candidata delle minoranze – afro-americani e ispanici.
Tra i repubblicani, il dato politico appare soprattutto la larga vittoria di Donald Trump, che si aggiudica tre Stati – Florida, Illinois, North Carolina – e che in Missouri appare impegnato in un testa a testa con Ted Cruz (che finisce secondo in Illinois e North Carolina). Trump conquista una vittoria particolarmente importante in Florida – il premio più ambito della notte elettorale, in termini di delegati -, superando Marco Rubio di ben 19 punti. Parlando ai suoi sostenitori, dopo la vittoria, Trump si è ancora una volta posizionato come il candidato “degli arrabbiati, dei delusi”, di chi vede l’America sconfitta dall’Isis sul piano militare e umiliata su quello commerciale dal resto del mondo: “Cina, Giappone, Messico, India, Vietnam, citatemi un Paese di cui non subiamo la supremazia commerciale”, ha detto Trump. Al magnate repubblicano è però sfuggito l’Ohio, dove il governatore Kasich è riuscito a imporsi e conquistare tutti i 66 delegati. “Vi voglio rendere orgogliosi di me, anche se so che la strada alla Casa Bianca non sarà facile”, ha spiegato Kasich, che ha vinto una maggioranza solida nelle aree più ricche (mentre il voto dei repubblicani che guadagnano meno di 50mila dollari all’anno è andato a Trump).
Lo scenario più probabile, a questo punto, è quello di uno scontro repubblicano a tre – Trump, Cruz e Kasich – che proseguirà sino a luglio, sino alla Convention di Cleveland, dove Trump dovrebbe arrivare con una forte maggioranza di delegati, ma senza la maggioranza assoluta necessaria per reclamare la nomination. A quel punto potrebbe davvero scatenarsi una battaglia dagli esiti imprevedibili, con la leadership repubblicana in campo per spostare i delegati di Trump su un altro nome. Forse Ted Cruz, più probabilmente un terzo più vicino al partito di Washington. Un’eventualità che allarma il miliardario: in un’intervista alla Cnn, il tycoon ha affermato che “ci saranno scontri” se dovesse conquistare il numero dei delegati per ottenere la nomination ma il partito gliela negherà. Trump ha anche annunciato che non parteciperà al prossimo dibattito fra i candidati repubblicani in calendario il 21 marzo nello Utah. “Abbiamo già avuto abbastanza dibattiti”, ha detto, impegnandosi a tenere quella stessa sera un importante discorso. Trump ha già saltato un dibattito, quello su Fox Tv, in seguito alle tensioni con la moderatrice Megyn Kelly.
Il piano ha ovviamente una serie di rischi e possibili ricadute negative. La crisi del G.O.P., il suo incerto futuro, sono apparsi ben stampati sul viso di Marco Rubio durante il suo discorso d’addio alle primarie. “L’America è nel mezzo di una tempesta politica – di un vero tsunami. Avremmo dovuto vederlo arrivare”, ha detto. Rubio è il candidato su cui i repubblicani di Washington avevano scommesso tutto. E’ il politico giovane, il volto conservatore e dinamico su cui avevano puntato come alternativa e successore di Barack Obama. Il suo mesto addio è ora l’immagine della sconfitta di un intero progetto politico.