Sono trascorsi quasi 5 anni da quando il 12 e il 13 di giugno del 2011, 26 milioni di italiani e italiane dissero tramite referendum no all’acqua privata, sì all’acqua pubblica. Un risultato che multinazionali come Nestlé, Veolia e Coca Cola non hanno mai accettato e mai accetteranno.
In piena linea con la famigerata lettera segreta della Bce inviata al governo Berlusconi nell’agosto del 2011, il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo appena fu nominato da Mario Monti (già consulente Coca Cola) dichiarò che: “Il referendum sull’acqua è stato un mezzo imbroglio. Sia chiaro che l’acqua è e rimane un bene pubblico. E’ il servizio di distribuzione che va liberalizzato”. Il vero imbroglio è stato avere un sottosegretario scelto da un presidente del Consiglio non espressione del popolo, portavoce delle multinazionali dell’acqua, che dopo il referendum confidavano che il governo Monti potesse, cavalcando l’onda eccezionale della crisi, imporre in Italia la privatizzazione anche dell’acqua.
Oggi, in piena emergenza democratica, un altro presidente senza alcun mandato elettorale (non è neppure deputato) sta trovando l’escamotage per riuscire in quello in cui i suoi predecessori non sono riusciti: privatizzare nuovamente l’acqua violando l’esito referendario. Del resto Renzi è riuscito prima di chi l’aveva preceduto a disintegrare i diritti dei lavoratori cancellando l’art. 18, realizzando così un’altra volontà del grande capitale.
Ma perché le multinazionali sono tanto assetate d’acqua? Perché è il più grande business del futuro. I loro esperti sono a conoscenza della sua scarsità e della sua crescente penuria. Come riporta il libro di Alex Zanotelli, Giù le mani dall’acqua. Diario e ragioni di un impegno. Appelli 2006-2010, nel mondo solo il 3% dell’acqua è potabile, di questo 3% ben il 2,70% è usata dall’industria e dall’agricoltura intensiva che a differenza di quella biologica ne spreca una grande quantità. Con il surriscaldamento del pianeta (causato dalla medesima logica predatoria delle multinazionali) assisteremo a uno scioglimento dei ghiacciai il che significherà il crollo verticale di fondamentali fonti idriche.
Nel nostro Paese la privatizzazione è stata avviata nel 1994 con la legge Galli. Le conseguenze della privatizzazione sono state: meno 30% di occupazione perché il privato tende a ridurre il costo fisso, essendo una merce un aumento del consumo di circa il 20% e una lievitazione media delle tariffe del 60%. In città come Aprilia, in provincia di Latina, l’aumento delle tariffe per le prime case giunse fino al 300%, per le seconde del 500%. Ad Aprilia la famigerata multinazionale francese Veolia (già attiva nel campo degli inceneritori) che controllava la succursale Acqua Latina, inviò dei vigilantes armati perché più di 4000 famiglie si rifiutavano di pagare quella che può essere considerata un’estorsione.
Una situazione che ricorda la città boliviana di Cochabamba. Nel 1999 il governo boliviano fu costretto a chiedere alla Banca Mondiale un prestito per la ristrutturazione dei servizi idrici della città. La BM era disposta a concedere il prestito, ma a patto che la gestione del sistema idrico poi venisse privatizzato. Il governo accettò e nacque un consorzio formato dalla Bechtel di San Francisco e dalla nostra Edison. Ma, come avviene in tutti i casi di privatizzazione, nel giro di pochi mesi il prezzo dell’acqua aumentò, fino a schizzare al 300%. Un prezzo insostenibile. Inoltre, il contratto prevedeva una clausola che stabiliva che l’acqua piovana non potesse essere raccolta se non con una licenza, dopo pagamento, del consorzio Bechtel-Edison! In altre parole avevano privatizzato le nuvole. La mobilitazione fu dura, ci furono scontri con la polizia, ma alla fine il popolo prevalse. Oggi un articolo della Costituzione boliviana impedisce la privatizzazione dell’acqua.
Il referendum sull’acqua nel nostro paese è stato l’ultimo grande momento di partecipazione collettiva. Un’unica voce espressione di milioni di persone che, pur partendo da istanze diverse (dai centri sociali alle parrocchie), chiedeva che l’acqua fosse un bene comune. Quel momento democratico diede particolarmente fastidio alla cupola di speculatori, lobbisti, manager e massoni che scrivono la linea programmatica dei nostri esecutivi. Ora ci stanno riprovando.
A volte mi viene rimproverata la mia denuncia a questa “democrazia di facciata” che vige in Italia e non solo. Ma come pensarla in maniera alternativa se persino i referendum, uno dei pochi momenti in cui il popolo ha voce, vengono disattesi e stravolti? Come si può solo pensare di privatizzare l’acqua se ognuno di noi è composto d’acqua per il 70%? L’acqua è un diritto e i diritti vanno garantiti dalla comunità e non da dei privati assetati di denaro.
Il governo vuole risparmiare? Rinunci agli F-35 subito. A cosa servono se non per mietere nuove vittime e generare nuovi terroristi? La tragica verità è che gli armamenti servono proprio per appropriarci di beni che scarseggiano sempre di più per via di questo paradigma neoliberista sempre più insostenibile. Le guerre si combatteranno per l’acqua e non per il petrolio.
Mobilitiamoci come nel 2011. Difendiamo gli esiti referendari: no al mercato sì alla vita!