«Rispieghiamo Gaber per chi era assente». Sarebbe bello in un prossimo futuro sentire finalmente queste parole nelle classi della scuola italiana. E, più in generale, come detto più volte in queste pagine, sarebbe ora che le canzoni dei nostri migliori cantautori entrassero a pieno titolo nei programmi di letteratura italiana. Certo, è una letteratura differente dalla narrativa o dalla poesia – che d’altra parte sono anch’esse tra loro molto diverse –, ma è altrettanto distante dalla norma rispetto per esempio a quella teatrale. Dunque: perché Goldoni e Pirandello sono autori pacificamente antologizzati nei libri e nei programmi di letteratura, e Gaber e Vecchioni ancora fanno fatica a essere accettati? Mistero.
Un mistero del quale però, per fortuna, non sembra interessarsi la Fondazione Giorgio Gaber, che dal 2006 porta regolarmente nelle aule scolastiche le canzoni del Signor G. Leggiamo com’è nata l’idea, dalle parole del presidente Paolo Dal Bon:
“È stato un passaggio assolutamente naturale e conseguente all’interesse diffuso e a tutti i livelli che abbiamo subito sentito attorno a Gaber dopo la sua scomparsa. Mi aveva avvicinato, per un’intervista e per un’iniziativa televisiva, il giornalista Andrea Pedrinelli. Vista la sua passione e la sua conoscenza enciclopedica dell’opera di Gaber e Luporini, ho chiesto a lui di pensare ad un format adatto per le scuole. E da lì abbiamo cominciato con la indispensabile collaborazione organizzativa e distributiva del Piccolo Teatro di Milano. Dopo quasi dieci anni, Perdinelli ha passato il testimone a Lorenzo Luporini che, pur giovanissimo, dimostra competenza e passione verso il nonno”.
Già, Lorenzo Luporini. Dice niente questo cognome? Sandro Luporini è stato il collaboratore storico di Giorgio Gaber – questo si sa – e Lorenzo è nipote di Giorgio e pronipote di Sandro. Il progetto si avvale dunque di una fortunata “autorevolezza genetica”; in più colpisce il fatto che Lorenzo abbia vent’anni, quindi sia praticamente coetaneo dei ragazzi a cui si rivolge. E gli studenti come reagiscono? Così mi ha risposto lo stesso Lorenzo:
“L’essere un coetaneo dei ragazzi che incontro nelle scuole aiuta ad entrare in sintonia più in fretta. Viene a mancare l’iniziale scetticismo verso un ospite esterno e prevale una sorta di curiosità nel vedere un ragazzo, dove di solito c’è qualcuno di più adulto. I temi più accessibili sono quelli legati all’individuo”.
Ricapitoliamo: una scuola che, attraverso l’opera di uno dei nostri migliori cantautori, riesce a coinvolgere con la forza della canzone, del teatro, della poeticità dei tesi e delle musiche, i ragazzi e il loro intimo vissuto. Siamo ben lontani dalla scuola delle poesie mandate a memoria come una punizione o unicamente per il bel voto, dell’“èrbal fiume silente” del film Auguri professore, in cui un avvilito Silvio Orlando cerca disperatamente di ritrovare la voglia e le motivazioni per insegnare (il film, uscito nel 1996, ha la regia di Riccardo Milani, e il passo è questo:
Leggiamo ancora le parole di Paolo Dal Bon:
“Gaber è stato un grande artista e pensatore. Come Guccini e De André. E non dobbiamo temere di paragonarli ai grandi classici della nostra cultura nazionale. Hanno un vantaggio rispetto agli altri e cioè che il loro linguaggio è contemporaneo, quindi perfettamente recepibile”.
Azzardo un passo in più: la forza orizzontale delle parole e della musica dei cantautori riuscirebbe a far avvicinare i ragazzi anche ai poeti e agli autori del passato con uno spirito diverso. L’intreccio delle canzoni dei cantautori con la narrativa e la poesia spesso è consequenziale, alcune volte inevitabile. Guccini e Gozzano, Vecchioni e Borges, Gaber, De André o De Gregori con Pasolini: la vicinanza di certi scrittori con i cantautori potrebbe aiutare a non considerare più i primi come esseri con sei teste e otto braccia, perennemente afflitti e imposti a forza dalla “scuola del dolore” (e anche qui torna alla mente una scena del film di Milani.
Lo stimolo per i ragazzi viene dalla conoscenza dei maggiori esponenti che una tradizione culturale riesce a mettere a disposizione. È più o meno questo il concetto esposto anche recentemente da Francesco Guccini in una mia intervista. Ben vengano le iniziative della Fondazione Gaber, quindi, e credo sia il caso di chiudere proprio con le parole di Lorenzo Luporini, nipote di Giorgio e pronipote di Sandro, perché meglio non si potrebbe esprimere l’intera portata semantica ed etimologica di una parola da cui la scuola e l’insegnamento dovrebbero partire, la parola “tradizione”:
“Il materiale, anche video, che proponiamo spesso è una provocazione e la nostra speranza – magari un po’ velleitaria – è che qualcuno abbia voglia di raccogliere le provocazioni lanciate da Gaber e Luporini e renderle parte della propria vita. Naturalmente l’intento non è quello di indottrinare i ragazzi ma di portarli a confrontarsi in modo critico con uno sguardo attento come quello di Gaber. Se la scuola può essere il luogo in cui avviene questo confronto, non può che essere un bene”.