Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria e padre del ministro per le Riforme del governo Renzi, è indagato dalla procura di Arezzo per concorso in bancarotta fraudolenta insieme agli altri membri dell’ultimo consiglio di amministrazione dell’istituto. L’inchiesta dei pm aretini sul dissesto della banca è arrivata alla svolta largamente attesa dopo l’apertura, l’11 febbraio, del fascicolo per bancarotta. Tutti gli ex vertici, in carica dal 4 maggio 2014 all’11 febbraio 2015, sono sotto accusa per il buco che secondo il commissario liquidatore Giuseppe Santoni ammonta a 1,1 miliardi di euro. Secondo il Corriere della Sera, La Stampa e Il Messaggero il reato viene dunque contestato anche all’ex presidente Lorenzo Rosi e ai suoi vice Alfredo Berni e Boschi. La novità ha inevitabili risvolti politici. La senatrice M5S Vilma Moronese, ex capogruppo dei grillini a Palazzo Madama, su Facebook chiede che il ministro si dimetta “domani stesso”. “Non si può più tollerare – scrive la grillina – un governo che lavora per le banche e ha degli interessi così forti ed evidenti”. La stessa richiesta arriva dal deputato di Sinistra Italiana Giovanni Paglia. A gennaio, però, la Boschi aveva detto che se anche il padre fosse stato iscritto nel registro degli indagati non avrebbe lasciato, perché “la responsabilità penale è personale e un’indagine non è una sentenza di condanna”. Non la pensa così la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, candidata a sindaco di Roma, che in un’intervista a In 1/2 ora ha chiesto “le dimissioni di Renzi” perché “il conflitto di interessi riguarda tutto il governo e non una sola persona”.
I pm aretini guidati da Roberto Rossi si concentrano in particolare sulle consulenze, i fidi milionari senza garanzie, gli stipendi d’oro e le generose buonuscite che hanno contribuito al dissesto finanziario della banca, che il governo Renzi lo scorso 22 novembre ha “salvato” per decreto insieme a Banca Marche, Cariferrara e Carichieti. Azzerando così i risparmi di migliaia di obbligazionisti subordinati.
Come emerso dall’ispezione di Banca d’Italia che si è conclusa nel febbraio dello scorso anno con il commissariamento dell’istituto, all’ex dg Luca Bronchi sono stati versati nel 2014, come indennizzo per la chiusura (peraltro consensuale) del rapporto di lavoro, 1,2 milioni di euro. A deciderlo è stato il 30 giugno 2014, con l’astensione del solo consigliere Giovanni Grazzini, il cda della banca, che ha disposto l’esborso nonostante la crisi fosse già conclamata e a dispetto del fatto che l’assemblea dei soci, nel maggio dello stesso anno, aveva approvato un “documento sulle politiche di remunerazione” che non consentiva la corresponsione di incentivi e premi ai vertici. E prevedeva che, anche in caso di risoluzione anticipata del rapporto, ci fosse una stretta correlazione tra la somma riconosciuta e le performance realizzate. Peccato però che sotto la gestione Bronchi, che aveva assunto la carica nel luglio 2008, la banca sia andata a picco. Il cda concesse comunque la liquidazione, “senza contestare al dirigente responsabilità specifiche”. Discorso simile per i 125mila euro andati al responsabile del dipartimento marketing Fabio Piccinini.
Secondo il Corsera, la Procura ha fatto propri i rilievi degli ispettori di via Nazionale e incaricato la Guardia di Finanza di fare nuovi accertamenti su quella delibera, esaminando il verbale. Obiettivo finale, ottenere il sequestro per equivalente della somma elargita al manager, che è accusato di concorso nello stesso reato contestato agli amministratori.
Quella sulle buonuscite è solo una delle decisioni contestate agli ex vertici che hanno contribuito al crac. Rosi e l’altro ex presidente Giuseppe Fornasari, oltre a Boschi senior, Berni e Bronchi, lo scorso 1 marzo sono stati nuovamente multati per oltre 2 milioni di euro da Bankitalia per alcune delle numerose irregolarità emerse durante l’ispezione: in particolare la cattiva gestione dei crediti deteriorati e le consulenze allegre. Lo stesso Rosi e l’ex membro del cda Luciano Nataloni sono già indagati per per omessa dichiarazione di conflitto d’interessi in una lunga serie di operazioni che ha coinvolto la banca. Questi filoni di inchiesta si affiancano a quelli per ostacolo alla vigilanza, arrivato all’udienza preliminare (indagato l’ex presidente Fornasari), per false fatturazioni (filone chiuso, si attendono i rinvii a giudizio) e per truffa ai risparmiatori che hanno acquistato azioni e obbligazioni subordinate senza essere informati dei rischi.
Aggiornamento del 24 febbraio 2019
Il gip di Arezzo ha archiviato la posizione di Pierluigi Boschi dall’accusa di falso in prospetto, nell’ambito di uno dei filoni dell’inchiesta della procura di Arezzo su Banca Etruria
Giustizia & Impunità
Banca Etruria, sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta tutto il vecchio cda. C’è anche il padre del ministro Boschi
Gli ex vertici indagati per concorso nel dissesto da 1,1 miliardi. Nel mirino dei pm di Arezzo le buonuscite concesse all'ex direttore generale Bronchi e all'ex responsabile marketing: esborsi che hanno contribuito al crac dell'istituto e, come rilevato da Bankitalia, non erano in linea con le politiche di remunerazione approvate dall'assemblea. Senatrice M5S: "La Boschi si dimetta". Meloni: "Lasci anche Renzi"
Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria e padre del ministro per le Riforme del governo Renzi, è indagato dalla procura di Arezzo per concorso in bancarotta fraudolenta insieme agli altri membri dell’ultimo consiglio di amministrazione dell’istituto. L’inchiesta dei pm aretini sul dissesto della banca è arrivata alla svolta largamente attesa dopo l’apertura, l’11 febbraio, del fascicolo per bancarotta. Tutti gli ex vertici, in carica dal 4 maggio 2014 all’11 febbraio 2015, sono sotto accusa per il buco che secondo il commissario liquidatore Giuseppe Santoni ammonta a 1,1 miliardi di euro. Secondo il Corriere della Sera, La Stampa e Il Messaggero il reato viene dunque contestato anche all’ex presidente Lorenzo Rosi e ai suoi vice Alfredo Berni e Boschi. La novità ha inevitabili risvolti politici. La senatrice M5S Vilma Moronese, ex capogruppo dei grillini a Palazzo Madama, su Facebook chiede che il ministro si dimetta “domani stesso”. “Non si può più tollerare – scrive la grillina – un governo che lavora per le banche e ha degli interessi così forti ed evidenti”. La stessa richiesta arriva dal deputato di Sinistra Italiana Giovanni Paglia. A gennaio, però, la Boschi aveva detto che se anche il padre fosse stato iscritto nel registro degli indagati non avrebbe lasciato, perché “la responsabilità penale è personale e un’indagine non è una sentenza di condanna”. Non la pensa così la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, candidata a sindaco di Roma, che in un’intervista a In 1/2 ora ha chiesto “le dimissioni di Renzi” perché “il conflitto di interessi riguarda tutto il governo e non una sola persona”.
I pm aretini guidati da Roberto Rossi si concentrano in particolare sulle consulenze, i fidi milionari senza garanzie, gli stipendi d’oro e le generose buonuscite che hanno contribuito al dissesto finanziario della banca, che il governo Renzi lo scorso 22 novembre ha “salvato” per decreto insieme a Banca Marche, Cariferrara e Carichieti. Azzerando così i risparmi di migliaia di obbligazionisti subordinati.
Come emerso dall’ispezione di Banca d’Italia che si è conclusa nel febbraio dello scorso anno con il commissariamento dell’istituto, all’ex dg Luca Bronchi sono stati versati nel 2014, come indennizzo per la chiusura (peraltro consensuale) del rapporto di lavoro, 1,2 milioni di euro. A deciderlo è stato il 30 giugno 2014, con l’astensione del solo consigliere Giovanni Grazzini, il cda della banca, che ha disposto l’esborso nonostante la crisi fosse già conclamata e a dispetto del fatto che l’assemblea dei soci, nel maggio dello stesso anno, aveva approvato un “documento sulle politiche di remunerazione” che non consentiva la corresponsione di incentivi e premi ai vertici. E prevedeva che, anche in caso di risoluzione anticipata del rapporto, ci fosse una stretta correlazione tra la somma riconosciuta e le performance realizzate. Peccato però che sotto la gestione Bronchi, che aveva assunto la carica nel luglio 2008, la banca sia andata a picco. Il cda concesse comunque la liquidazione, “senza contestare al dirigente responsabilità specifiche”. Discorso simile per i 125mila euro andati al responsabile del dipartimento marketing Fabio Piccinini.
Secondo il Corsera, la Procura ha fatto propri i rilievi degli ispettori di via Nazionale e incaricato la Guardia di Finanza di fare nuovi accertamenti su quella delibera, esaminando il verbale. Obiettivo finale, ottenere il sequestro per equivalente della somma elargita al manager, che è accusato di concorso nello stesso reato contestato agli amministratori.
Quella sulle buonuscite è solo una delle decisioni contestate agli ex vertici che hanno contribuito al crac. Rosi e l’altro ex presidente Giuseppe Fornasari, oltre a Boschi senior, Berni e Bronchi, lo scorso 1 marzo sono stati nuovamente multati per oltre 2 milioni di euro da Bankitalia per alcune delle numerose irregolarità emerse durante l’ispezione: in particolare la cattiva gestione dei crediti deteriorati e le consulenze allegre. Lo stesso Rosi e l’ex membro del cda Luciano Nataloni sono già indagati per per omessa dichiarazione di conflitto d’interessi in una lunga serie di operazioni che ha coinvolto la banca. Questi filoni di inchiesta si affiancano a quelli per ostacolo alla vigilanza, arrivato all’udienza preliminare (indagato l’ex presidente Fornasari), per false fatturazioni (filone chiuso, si attendono i rinvii a giudizio) e per truffa ai risparmiatori che hanno acquistato azioni e obbligazioni subordinate senza essere informati dei rischi.
Aggiornamento del 24 febbraio 2019
Il gip di Arezzo ha archiviato la posizione di Pierluigi Boschi dall’accusa di falso in prospetto, nell’ambito di uno dei filoni dell’inchiesta della procura di Arezzo su Banca Etruria
Lady Etruria
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Cronaca
Truffe a nome di Crosetto, c’è chi ha versato 1 milione di euro. Come funzionava: i militari catturati e l’Ai
Milano, 3 feb. (Adnkronos) - La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha dichiarato all'unanimità "irricevibile" il ricorso presentato dalla difesa di Alberto Stasi condannato, nel 2015, in via definitiva a 16 anni di carcere per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi uccisa il 13 agosto 2007 a Garlasco (Pavia). Stasi reclamava "una violazione del suo diritto a un processo equo, per quanto riguarda il principio della parità delle armi" lamentando che nel processo d'appello bis non sarebbe stato ascoltato un testimone "decisivo" a dire della difesa.
Per la corte, invece, la condanna si basa "su vari elementi di prova" e le dichiarazioni del teste agli inquirenti "lungi dall'essere decisive per determinare la responsabilità penale dell’interessato, sono semplicemente servite a corroborare tutte le prove a carico" si legge nella sentenza. In tal senso, l'ultima decisione della corte d'Assise d'Appello di non sentire nuovamente il testimone "non ha compromesso l'equità del procedimento penale a carico del ricorrente. Pertanto, il ricorso deve essere respinto in quanto manifestamente infondato".
La decisione potrebbe così mettere la parola fine a uno dei casi giudiziari più lunghi degli ultimi anni, mentre Stasi, oggi quarantenne, già da tempo beneficia del lavoro esterno fuori dal carcere di Bollate.
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Quasi un milione di euro. E' questa la cifra che un imprenditore ha versato non rendendosi conto di essere vittima di un raggiro fatto via telefono usando il nome del ministro della Difesa Guido Crosetto. L'uomo che ha denunciato l'accaduto allo stesso Crosetto (suo amico), si è poi rivolto ai carabinieri e alla procura che sta provando a bloccare il bonifico. Almeno due gli imprenditori vittime, solo una per ora la denuncia milionaria presente nel fascicolo, ma il numero delle potenziali vittime è di almeno cinque e sembra destinato a salire.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - 'Chi l’ha vista?'. Il Pd su Instagram prende titolo e logo della trasmissione di Rai 3 e postando la foto di Giorgia Meloni torna a chiedere alla premier di riferire in aula sul caso Almasri. "E' Giorgia Meloni a dover rispondere della vicenda Almasri al Parlamento e al Paese. Basta nascondersi".
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - "Ci sono dei soldati prigionieri da liberare pagando un riscatto". E' questa la scusa che, in un caso, è stata utilizzata da chi, fingendosi il ministro della Difesa Guido Crosetto, ha raggirato due imprenditori, i quali hanno denunciato i fatti ai carabinieri e in procura a Milano. Altri tre imprenditori benestanti sono stati contattati dai truffatori che, complice anche l'intelligenza artificiale per camuffare le voci - del ministro, di un sedicente funzionario della Difesa o di un generale - hanno provato via telefono a ottenere ingenti bonifici. Sugli episodi indaga il pm Giovanni Tarzia.
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Si fingevano il ministro Guido Crosetto, oppure un generale o un sedicente funzionario del ministero della Difesa e provavano a truffare ingenti somme a degli imprenditori, cinque quelli a conoscenza dello stesso esponente di Fratelli d'Italia che ha denunciato la truffa. Due le vittime accertate, almeno tre gli altri professionisti che stavano cadendo nella rete di truffatori su cui indaga la procura di Milano guidata da Marcello Viola.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - "Ieri ancora una volta il governo è venuto in Parlamento e non ha detto la verità, non ha avuto il coraggio di assumersi le responsabilità delle sue scelte, si è contraddetto. Noi vogliamo sapere se per tutelare l’interesse nazionale il governo si affida anzi coopera o meglio è complice di una banda di tagliagole, di assassini, di stupratori. Io penso che questo non sia accettabile, che c’è un limite anche a quello che si definisce interesse nazionale. Mi pare del tutto normale che le opposizioni abbiano, in modo molto deciso, sottolineato le incongruenze e siano intenzionate a chiedere che ci siano risposte di verità". Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs parlando con i cronisti davanti a Montecitorio.
"Perché è inaccettabile che alla fine - aggiunge il leader di SI - la politica si infili in una discussione surreale sui cavilli e di cui diventa vittima la realtà, e quei corpi violati da aguzzini senza scrupoli, come si può vedere anche oggi in un nuovo e terribile video diffuso da Repubblica con un uomo legato al parafango e trascinato da un mezzo di quella polizia giudiziaria libica di cui è a capo Almasri gentilmente rilasciato da Nordio e Piantedosi".
"Così come è inaccettabile l’attacco devastante del governo alla Corte Penale Internazionale: ma come si fa a non vedere che ci troviamo in un mondo in guerra nel quale senza questi organismi, anzi senza il loro rafforzamento, senza ricostruire attorno a quegli organi una sorta di sacralità, l’unico elemento che resta in campo è la legge del più forte, della violenza, della violazione sistematica dei diritti? Questo governo - conclude Fratoianni - sta creando un disastro colossale, i cui costi saranno pagati dal nostro Paese".
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Il Governo ha condotto l’Italia al centro di uno scandalo internazionale, impedendo che il criminale libico venisse assicurato alla giustizia. Nordio e Piantedosi ieri si sono smentiti, Meloni è sparita. Ma non può continuare a scappare. Al di là di ogni aspetto giudiziario, deve risponderne sul piano politico, davanti al Parlamento e al Paese”. Così il democratico, Peppe Provenzano.