Ieri ha restituito i documenti di copertura ed è uscito dal programma di protezione. Maurizio Abbatino, boss della banda Magliana, il pentito che portò all’operazione Colosseo e contribuì in maniera determinante all’arresto di tutti i suoi componenti, non è più protetto. Lo Stato lo ha lasciato solo, né il primo né l’ultimo. Le motivazioni sono abbastanza discutibili: “Non risultano indagini o procedimenti aperti nei quali siano state assunte dichiarazioni del collaboratore”, scrive il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone. Nel frattempo, la stessa procura ha fatto ri-arrestare Manlio Vitale, 67 anni, detto er Gnappa che di Abbatino fu a lungo luogotenente e che a suo tempo Abbatino fece catturare. Er Gnappa si era dato alle rapine.
Ma in questa storia di questioni che non tornano ce ne sono. Il nemico numero uno di Abbatino porta il nome di Massimo Carminati che, con Salvatore Buzzi, guidava le attività criminali dietro il grande affaire ribattezzato Mafia capitale. Sicuri che nessuno fuori voglia uccidere Abbatino? Un Cecato o uno Gnappa dietro l’angolo delle borgate lo trovi sempre. Anche perché Abbatino, quando si mise a collaborare, spiegò ai magistrati che avrebbe raccontato solo quello che aveva visto o era in grado di dimostrare. Tradotto: fuori di criminali, come ci insegnano le esperienze di questi ultimi anni, ce ne sono molti altri. Pronti a sparare. Perché la differenza tra la banda della Magliana e le altre organizzazioni che provarono a lavorare su Roma era proprio questa: loro, quelli della Magliana, sparavano senza porsi troppi problemi. Sparavano e ammazzavano, anche per un semplice sgarro.
Può darsi che lo strumento del collaboratore di giustizia sia obsoleto, ma lo Stato, nello stringere un patto (tu mi fai arrestare gli altri, io ti proteggo) deve rispettarlo. Altrimenti il sistema salta in aria, non regge più. Tre mesi fa ho intervistato Abbatino e spesso, via sms, ci continuiamo a sentire. Non mi pare dalle parole che sia uno che ha paura di morire: ha problemi di salute, a vent’anni ammazzava e aveva messo in conto di finire ammazzato pure lui. Quello che, ma sono sempre io a dedurlo, è che non digerisca come lo Stato gli abbia voltato le spalle. Quando lo arrestarono in Venezuela fu per una telefonata. I poliziotti di allora raccontano con una punta di civetteria che a ogni Natale mettevano sotto controllo il telefono di sua mamma in attesa di una telefonata. Per cinque anni il telefono rimase muto, poi squillò e lo rintracciarono. Bravi poliziotti, senza dubbio, ma Abbatino, che aveva un curriculum criminale da brividi, lo sapeva che nel fare quella telefonata si sarebbe consegnato. Non ne poteva più di vivere come un cane in fuga. Almeno, questo è quello che lui racconta, ma appare anche plausibile. Collaborò non da infame: i suoi ex amici avevano torturato e ammazzato il fratello, il vincolo stretto tra le strade di Roma si era sciolto. E disse non quello che sapeva, ma che aveva visto. Non è un caso se, nella fiction, lui è il Freddo. I compagni di batteria lo chiamavano il Crispino, per via dei capelli ricci, ma era anche freddo e lucido. Come quando si fece ricoverare in una clinica e scappò dopo aver finto tre anni di muoversi su una sedia a rotelle e dopo essersi iniettato il virus Hiv. La notte si chiudeva in bagno per fare gli esercizi che lo avrebbero portato fuori da Villa Gina, la clinica dove viveva, con le sue gambe. Insomma, freddo lo era.
C’è qualcosa però che in tutta questa storia non torna ancora. Perché Abbatino, proprio oggi viene lasciato libero di essere ucciso? Come ultima istanza aveva chiesto di poter tenere almeno il nome di copertura. Gli è stato risposto no, che non era possibile. Non vogliamo tessere le lodi di un criminale né ripercorrere l’epopea. Abbatino ha ammazzato molte persone, le finiva come cani e non è che la notte non dormisse. Era un criminale. Punto. Però nella sua condizione di testimone sotto protezione ce ne sono ancora molti. Siamo convinti che il primo pentito delle Br Patrizio Peci non è più un obiettivo sensibile, ma vive coperto. Forse non lo è neppure l’ex boss della mala del Brenta, Felice Maniero. Ma vivono sotto copertura. E questo spiega anche perché Tommaso Buscetta, grande pentito di mafia, alla fine accettò di essere protetto dalle autorità statunitensi e non da quelle italiane. Forse Buscetta aveva visto lungo, è morto a New York, protetto. Oggi Abbatino è molto probabile che venga finito da un balordo qualsiasi. Negli ambienti della mala chiunque lo trovi e lo faccia secco si pione nella scala gerarchica come quello che “ammazzò Abbatino”. Lo Stato è libero di farlo. Per qualcuno sarà anche nel giusto, “ma sì, ne ha ammazzati tanti, che muoia anche lui”. Ma il patto non era questo.