Se il buongiorno si vede dal mattino, allora siamo fritti. Dal decreto “Salva Banche” del 22 novembre scorso al processo di dismissione delle good bank, dai rimborsi ai risparmiatori alla gestione delle sofferenze di Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti, l’opacità della procedura è pressoché totale, mentre appare sempre più evidente come le autorità italiane siano del tutto impreparate ad affrontare le conseguenze della direttiva Ue sul bail-in entrata in vigore con l’inizio dell’anno.
Il Fatto Quotidiano ha rivelato i contenuti della lettera con cui la commissaria europea alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha autorizzato la procedura di risoluzione delle quattro banche. Tra i tanti omissis richiesti dal governo italiano, ve n’è uno molto significativo che riguarda la scadenza entro la quale inderogabilmente le quattro nuove banche vanno vendute: il 30 aprile 2016. Nella sua lettera la commissaria specifica che dopo quella data le quattro banche dovranno interrompere immediatamente ogni attività che non sia il recupero crediti, non potranno sviluppare nessuna nuova attività e non potranno acquisire nuovi clienti. Si comprende così il perché dell’agitazione delle ultime settimane: gli information memorandum, cioè i documenti informativi con i dati e i conti delle quattro banche, non sono ancora pronti e sulla tabella di marcia il ritardo è tale che al ministero dell’Economia danno per scontato che l’iter di cessione non si concluda prima di settembre.
Una tempistica che si scontra con la scadenza fissata dalla Ue per autorizzare il salvataggio e sono infatti in corso trattative con la Ue per ottenere una proroga. A quali condizioni verrà concessa? E soprattutto perché i tempi non sono stati rispettati? Pare incredibile che i conti 2015 non siano ancora pronti: i quattro istituti erano commissariati da tempo – Banca Marche e CariFerrara addirittura da più di due anni – dunque l’opera di ricognizione e pulizia dei bilanci doveva essere già stata fatta. Inoltre, per decreto, le nuove banche nascono “ripulite” dalle sofferenze e quindi non si pone nemmeno il problema di una valutazione dei non performing loans: quella l’ha già fatta d’imperio la Banca d’Italia all’atto della cessione delle sofferenze delle quattro banche alla bad bank.
Legittimo il sospetto che siano saltate fuori nuove grane. Chi se ne farà carico? Chi ne risponderà? Le modalità con cui è stata recepita dall’Italia la direttiva europea sul bail-in escludono che si possa fare luce su ciò che è accaduto e sta accadendo in questi mesi. Il segreto d’ufficio avvolge l’intera procedura. Ma se non venisse concessa una proroga al termine perentorio del 30 aprile, cosa ne sarà di famiglie e imprese che hanno mutui e fidi presso le quattro cosiddette “good bank”? Qualcuno si è curato forse di informarli che potrebbero essere costretti a rientrare da un giorno all’altro dai loro debiti?
Come detto più volte, la valutazione dei crediti in sofferenza delle quattro è stata fatta d’imperio dalla Banca d’Italia che a novembre li ha stimati appena il 17,6% del nominale contro il 40% iscritto a bilancio. Si tratta di una valutazione corretta? A garanzia di azionisti, obbligazionisti e correntisti coinvolti dalle procedure di risoluzione, la direttiva Ue prevede che ex post venga valutata da terzi indipendenti la congruità delle scelte discrezionali operate dall’unità di risoluzione nazionale (la Banca d’Italia). Allo stato non risulta che sia stata effettuata alcuna valutazione indipendente, mentre dalla lettera della commissaria Vestager appare chiaro che i crediti in sofferenza sono stati svalutati per garantire alla “bad bank” un notevole profitto che verrà riversato nel Fondo di risoluzione gestito dalla stessa Banca d’Italia. Ed è proprio questo meccanismo che ha convinto la commissaria a dare il via libera al salvataggio che si sarebbe altrimenti configurato come un aiuto di Stato.
Intanto i risparmiatori truffati continuano a protestare, mentre a quattro mesi dall’azzeramento delle obbligazioni subordinate il governo ancora non si decide a varare il decreto sugli arbitrati per avviare le procedure di rimborso. In questo caso non si tratta di un problema tecnico, bensì – come ha osservato il presidente dell’autorità Anticorruzione Raffaele Cantone – di volontà politica. Volontà che, evidentemente, manca.