Nell’India meridionale, in quello che fino a qualche decennio fa era un deserto di sabbia rossa, sorge un’utopia sotto la benedizione de l’Unesco. Una città internazionale che ambisce ad una vita senza denaro, governo, religione o urbanizzazione selvaggia, costruita per tutte le persone, i movimenti culturali e le organizzazioni che vogliono contribuire significativamente “al progresso dell’umanità”.
Auroville è stata fondata nel 1968 da un gruppo di giovani hippy sotto le direttive di Mirra “La Madre” Alfassa, donna di origini francesi e devota collaboratrice spirituale del filosofo indipendentista indiano Sri Aurobindo. I suoi valori richiamano lo spiritualismo induista, il comunitarismo gandhiano, il marxismo e l’anarchismo.
La cosiddetta “città dell’aurora” vuole diventare un punto di riferimento per lo sviluppo ecosostenibile e l’innovazione sociale indiana e del mondo. La città è autosufficiente energeticamente grazie all’energia solare. Si fonda sull’agricoltura biologica, il riciclaggio della quasi totalità dei materiali e la costruzione con tecniche di bioedilizia. Vanta un sistema educativo gratuito e senza voti (free progress). Si struttura sulla proprietà collettiva, senza leggi o forze dell’ordine e coltiva l’arte spontanea, la quiete e la meditazione.
La città ospita circa 2500 residenti permanenti di 45 nazionalità e circa 5000 visitatori, di cui la maggior parte turisti o volontari stranieri alla ricerca di un esperienza di vita differente. Il 45% della popolazione è indiana, mentre i 124 italiani presenti fanno dell’Italia la quarta nazione più rappresentata dopo l’India, la Francia e la Germania.
Per divenire residenti permanenti, è richiesto ai nuovi arrivati di contribuire attivamente alla comunità per almeno due anni, senza mai allontanarsi da essa. Un comitato ristretto analizza poi le richieste di residenza, e ad ogni nuovo cittadino viene richiesto come primo gesto di piantare un albero. Dalla sua fondazione ad oggi Auroville ha dato vita ad una foresta in mezzo al deserto.
L’intera comunità è finanziata dall’Unesco, la Comunità europea, il governo indiano, e da donazioni private, che insieme contribuiscono al bilancio complessivo annuale con circa €5 milioni. L’allocazione dei fondi è decisa collettivamente e i profitti delle unità produttive vengono spartiti equamente tra società, casse comunali e progetti specifici proposti dalla cittadinanza a supporto delle imprese locali e il bene comune. Ad oggi vi sono oltre 150 piccole imprese e start up, che sfruttano la base interculturale di Auroville per dar vita a progetti agricoli, artigianali, multimediali, culturali e persino legati all’industria del software e delle traduzioni.
Essendo i propri profitti spartiti col resto della comunità, non si percepisce un salario, bensì una specie di reddito di cittadinanza. Tuttavia visto il basso costo della vita e la maggioranza di cittadini stranieri, molti preferiscono rinunciarvi, vivendo dai risparmi accumulati attraverso il lavoro nei loro paesi d’origine. Ai nuovi arrivati viene invece richiesto di pagarsi le spese per il primo anno e vengono incoraggiati ad investire i propri capitali all’interno della città.
Ovviamente, come per ogni utopia che si rispetti, non mancano i problemi e sarebbe ingenuo e mistificatorio non accennarli. Come riportato anche dall’esperienza del famoso blogger americano Slate, vi sono numerosi problemi legati alla sicurezza sociale, la gestione delle risorse e delle proprietà su cui la comunità fatica a prendere adeguati provvedimenti.
Innanzitutto, le risorse di acqua sono limitate, le proprietà non sono a sufficienza per accogliere l’altissimo numero di richieste e l’economia è insostenibile. Inoltre, come in diverse parti dell’India, è sconsigliato alle ragazze di effettuare lunghi spostamenti se non accompagnate, e negli ultimi anni si son verificati casi di molestie, stupro e persino omicidio da parte delle gang al di fuori di Auroville. Questo senso di insicurezza danneggia indirettamente e profondamente il legame tra gli stessi abitanti. Un altro problema riguarda l’amministrazione del denaro pubblico, di cui gli stessi cittadini paiono non essere certi dei meccanismi di gestione ne sembrano interessati a scoprirlo. In ultimo, per l’autore la venerazione per la Madre e Sri Aurobindo può assumere in diversi casi i tratti di un fanatismo religioso.
Se per i più scettici le problematiche possono apparire insormontabili e sono abbastanza per screditare l’esperienza umana indiana, per altri sono proprio questi problemi a rendere l’innovazione sociale e culturale promossa da Auroville non più un utopia, bensì un sogno divenuto realtà da quasi 50 anni ed oggi più vivo che mai.
Scopri di più su Auroville tramite il resoconto di viaggio di China Files o scopri altre iniziative simili suProPositivo.eu