Diciannove anni di bugie, confermate in tutti i gradi di giudizio. Il caso Alpi-Hrovatin decisamente non doveva essere risolto. Un fascicolo da far scivolare lentamente nel copioso armadio dei segreti italiani, lasciati marcire per stanchezza e perdita della memoria storica. Alla fine – grazie all’ostinazione della famiglia, oggi rappresentata da Luciana Alpi, e di pochi giornalisti – quel meccanismo di testimoni falsi, carte sparite, perizie sospette, indagini mai fatte, in un mix tutto italiano di sciatteria e di “vivi e lascia vivere” si è inceppato. Venerdì primo aprile la Procura di Roma – oggi diretta da Giuseppe Pignatone – ha finalmente ascoltato a verbale Ahmed Ali Rage, alias Gelle, somalo ormai 50enne, rifugiato a Birmingham, in Inghilterra, dal 1998. E’ il testimone chiave che permise alla corte di Assise d’Appello di Roma di emettere la sentenza di condanna a 26 di reclusione per Hashi Omar Hassan, accusato di aver fatto parte del commando entrato in azione il 20 marzo 1994. Testimone che ha dichiarato il falso, come lui stesso ha ammesso fin dal 2002, quando – dopo la condanna del connazionale – chiamò il giornalista somalo Aden Sabrie.
I soldi per il testimone
Gelle ha mentito per denaro. Lo ha raccontato per la prima volta – in una telefonata registrata – nel luglio del 2002. E lo ha confermato in video nel febbraio dello scorso anno all’inviata di Chi l’ha visto? Chiara Cazzaniga. Secondo le prime indiscrezioni questa stessa versione è stata poi ripetuta anche al pm romano Elisabetta Cennicola, che lo ha ascoltato insieme ai magistrati inglesi su rogatoria internazionale. Chi lo ha pagato? Forse un pezzo di verità arriverà martedì 5 aprile da Perugia, dove è in corso il processo di revisione della condanna contro Hassan, il capro espiatorio accusato ingiustamente. In quella sede verranno sentiti diversi protagonisti della vicenda, ad iniziare dall’ambasciatore Giuseppe Cassini, ovvero il diplomatico che trovò Gelle in Somalia, facendolo poi arrivare in Italia con il pretesto di deporre sulle presunte torture del nostro contingente militare durante la missione Unosom.
Ilfattoquotidiano.it è in grado di ricostruire il flusso di denaro incassato dal testimone nei pochi mesi della sua permanenza in Italia, dall’ottobre al dicembre del 1997, prima della sua fuga verso l’Inghilterra. Soldi usciti dalle casse del ministero dell’Interno, tutti regolarmente registrati in alcune note riservate, finite negli atti della commissione parlamentare d’inchiesta che si occupò del caso dal 2004 al 2006.
“Il vicepresidente Veltroni è informato”
Il 4 giugno del 1997 il capo della Direzione centrale della polizia criminale, organo del ministero dell’Interno, scrive una nota riservata al capo della Polizia, all’epoca Fernando Masone. “A seguito di mia telefonata con il Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, On.le Veltroni, nella giornata odierna ho ricevuto il Ministro Plenipotenziario Giuseppe Cassini, inviato speciale per la Somalia”, è l’esordio della nota. Che poi aggiunge: “Il diplomatico ha avanzato la richiesta di (…) disponibilità di 3-5mila dollari per approfondire, con adeguata retribuzione alle fonti informative”. Stanziamento di fondi utili “al fine di un rasserenamento dei familiari della giornalista uccisa, costituendo le premesse per arrivare a conoscere la reale dinamica dei fatti”. L’allora vicepresidente Walter Veltroni si era attivato per cercare di risolvere il caso, chiedendo allo stesso Cassini di svolgere una specifica indagine in Somalia.
E’ lo stesso capo del dipartimento ad evidenziare la particolarità dell’esigenza dell’ambasciatore, tanto da aggiungere: “L’attività in parola sembrerebbe, ‘prima facie’, più congeniale ai Servizi di informazione”. Ma la pratica va avanti. C’è poi un altro elemento chiave riportato nelle note riservate di quell’epoca e riguarda il presunto movente. Cassini riferisce ai funzionari del ministero dell’Interno che – secondo “fonti confidenziali da lui ritenute affidabilissime” – il motivo dell’agguato non sarebbe legato alle inchieste di Ilaria Alpi sul traffico di armi e di rifiuti, ma ad una generica vendetta nei confronti degli italiani per le torture subite dalla popolazione civile. E a supporto della tesi preannuncia l’uscita di uno “scoop” del settimanale Panorama, con “con foto, in cui un paracadutista allora presente in Somalia fornirà notizie sui citati atti di violenza in danno di somali”. Una pista, questa, che anni dopo si dimostrerà infondata.
Il 9 giugno una seconda nota arriva nelle mani di Masone: “Potrebbe essere invece positivamente valutata la possibilità di fornire al Dott. Cassini la somma di denaro da lui richiesta al fine di ampliare il quadro conoscitivo”. Il viaggio dell’ambasciatore alla caccia del testimone può iniziare. Terminerà l’11 ottobre successivo, quando a Fiumicino sbarcherà Ahmed Ali Rage, il somalo pronto ad accusare un innocente.
I soldi per il testimone
Il primo ottobre 1997 la Direzione centrale di polizia di prevenzione del ministero dell’Interno manda un’altra nota al capo della polizia Masone. Cassini aveva, nel frattempo, già individuato il testimone chiave da portare in Italia, pronto ad accusare Hashi Omar Hassan, sostenendo di aver assistito direttamente all’agguato. Nella nota ci sono due notizie importanti per capire il caso: “II diplomatico aggiungeva di potersi adoperare per far venire in Italia tale somalo, ritenuto persona affidabile ed attendibile, per deporre dinanzi all’autorità giudiziaria, a condizione però che le autorità italiane gli assicurassero un soggiorno spesato in Italia per un periodo di sei mesi, onde evitare un immediato rientro in Somalia, per tutela personale”.
La prima riguarda la remunerazione del testimone; la seconda il periodo di soggiorno in Italia, sei mesi. I tempi sono fondamentali: effettivamente Gelle rimarrà nel nostro paese solo il tempo necessario per accusare davanti alla Digos e al pm Franco Ionta il somalo Hashi, lasciando l’Italia prima di poter deporre davanti ai giudici della corte di Assise. Una tempistica, dunque, già prevista fin dall’inizio, secondo questo documento riservato del ministero dell’Interno. La stessa notizia, d’altra parte, emergerà nel 2005, quando il capitano della Guardia di finanza Gianluca Trezza – ufficiale di collegamento della commissione parlamentare guidata da Carlo Taormina – riferirà la testimonianza del datore di lavoro romano di Gelle, tale Scomparin: “Sembrerebbe che il soggiorno di Gelle in Italia fosse già ‘a tempo’ all’atto della sua assunzione presso l’officina, come se gli ‘uomini del ministero’ già sapessero che nell’arco di 4-5 mesi il somalo avrebbe lasciato l’Italia”, si legge in un rapporto del 25 ottobre del 2005, depositato nell’archivio storico della Camera dei deputati.
Il 10 ottobre 1997 Gelle arriva dunque in Italia e il personale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Viminale lo accompagnano a deporre prima davanti ai colleghi della Digos romana e poi davanti al pm Ionta. Tre giorni dopo – annotano i funzionari del ministero dell’Interno – a Gelle vengono mostrate le immagini girate subito dopo l’agguato. Un passaggio importante anche questo, visto che l’11 ottobre al pm Ionta aveva dichiarato di “essere sicuro al 90%, la donna era seduta sul sedile anteriore e l’uomo sul sedile posteriore”. Una incongruenza che si scontrava in maniera eclatante con quanto documentato dalle telecamere, con la posizione dei corpi inversa: Ilaria Alpi era dietro e Miran Hrovatin di fianco all’autista. Dettagli, per gli inquirenti, che non incidevano sull’attendibilità della testimonianza.
Albergo, vestiti, caffè: tutto pagato
Il 15 ottobre il ministero dell’Interno inizia a documentare i soldi versati al testimone. Trecentomila lire per “sostentamento e vestiario” e altre 500mila per l’albergo. Una settimana dopo vengono versati altre 200mila lire, per le piccole spese. Il 28 ottobre, alle ore 10.40, Gelle riceve un’ulteriore tranche di 500mila lire. Lo stesso giorno viene richiesta una somma aggiuntiva di 3 milioni, “per le spese di soggiorno e per l’acquisto di vestiario invernale”. Fondi che andranno a coprire i pagamenti di tutte le esigenze del testimone, con rate comprese tra le 200 e le 300mila lire. E il caffè spesso era pagato: “Unitamente allo stesso, ci siamo recati presso un bar per degustare una consumazione”, annotano con precisione i funzionari dell’Interno il 21 novembre 1997. Dopo poco più di un mese Ahmed Ali Rage sparisce. Gli investigatori italiani ci metteranno 19 anni per ritrovarlo.