La demografia, più della finanza, dell’economia, della cultura e perfino più del calcio «parla» della nostra società e ci fornisce informazioni che anche i non addetti ai lavori dovrebbero conoscere e cercare di comprendere, almeno per tutto quello che dicono sulla nostra vita quotidiana presente e futura. Nello specifico i dati demografici relativi all’Italia (Istat 2015), e in particolare alla struttura della popolazione, sono quanto di più serio e preoccupante si possa trovare, pure nel gran numero di dati negativi che purtroppo – con grande indifferenza dei governi e della maggioranza degli italiani – negli ultimi decenni farciscono le statistiche sull’Italia. In più i dati demografici, al contrario ad esempio di altri dati economici (ad esempio la produzione, i consumi etc.), descrivono una realtà più profonda che non può essere modificata se non in tempi medio-lunghi, con tutte le conseguenze del caso (c’est-à-dire: se siamo messi male, ci resteremo per un bel pezzo senza possibilità di uscirne).

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I dati più impressionanti si concentrano sulla natalità e sull’età della popolazione italiana. Ad esempio, l’età media degli sposi per i maschi è passata tra il 2002 e il 2012 dalla già elevata cifra di 32,9 anni a 35,8, con 32,4 per le donne. I legami stabili non sono molto popolari, aldilà di tutto è chiaro che le prospettive sono insicure. Tra il 1990 e il 2012 le separazioni sono raddoppiate (44.082-88.288) e i divorzi poco meno (27.682-51319), quindi la stabilità è in ulteriore diminuzione. Così tra il 1981 e il 2013, l’indice di natalità per donna è sceso dal già basso valore di 1,6 per donna all’ 1,39 del 2012. Chi ce lo fa fare di avere figli? Dati impressionanti non in sé, perché esprimono pochissima fiducia nel futuro, una società concentrata solo sull’oggi. Così è per il resto, i bisogni, le richieste della società, della politica sono in funzione della struttura sociale. Se ci sono pochi figli, la richiesta di servizi sociali per i bambini sarà più bassa, l’attenzione della politica per una tipologia di vita rispettosa dei piccoli sarà inferiore. Politicamente parlando sarà più redditizio sostenere le esigenze di altre categorie. La politica segue le esigenze della popolazione, ma ancor prima la struttura della popolazione.

Ma il dato più «pesante» riguarda l’età media della popolazione. L’indice di vecchiaia oggi è già molto elevato (=151), cioè abbiamo 1,5 over 65 per ogni under 14; nel 2030 avremo 2,07 vecchi per ogni giovane. Oggi la popolazione con più di 65 anni è già il 21,7% della popolazione totale. Tradotto in termini elettorali significa che i «vecchi» incidono sulla base dei votanti per oltre un quarto complessivo dell’elettorato. Questa percentuale è destinata inevitabilmente a crescere nei prossimi anni e si prospetta una sorta di «dittatura» degli anziani sulla politica italiana. Anche se al governo ci saranno dei «giovani», di fatto essi si comporteranno come dei vecchi o meglio seguiranno politiche economiche orientate agli interessi degli anziani. Il problema delle pensioni è il più evidente: gli anziani hanno pensioni che sono il doppio o il triplo di quelle dei loro figli e nipoti, anche a parità di contributi, e non vogliono saperne di ridursele a vantaggio dei giovani.

Ma questa è solo una piccola conseguenza. In realtà – come è fisiologico – gli anziani hanno una concezione egoistica e individualistica dell’esistenza, naturalmente connessa alla loro più breve aspettativa di vita. Niente di criminale, pura fisiologia. I grandi progetti di lungo periodo non li interessano. A loro interessa solo l’oggi, al massimo il domani mattina. Quindi, ad esempio, ogni provvedimento legislativo che comporti sacrifici oggi, in vista di un miglioramento di medio lungo periodo, li vedrà ovviamente sempre contrari. Ciò che caratterizza gli anziani è il loro istinto di sopravvivenza, l’attaccamento alle cose e alle abitudini quotidiane. Anche quando – e sono in molti – concorrono a sostenere i bisogni dei più giovani, in realtà non escono da questa dinamica conservativa, che è parte integrante della loro condizione. Vogliono ospedali, non scuole. Vogliono assistenza domiciliare, non biblioteche.

Vogliono marciapiedi e panchine, non comunicazioni rapide e a basso costo. Sarebbe poco male – è bene infatti che nella società tutte le istanze siano rappresentate – e i problemi non ci sarebbero se queste esigenze non fossero innaturalmente maggioritarie all’interno della società italiana. Onestamente, senza finzioni, è il caso di incominciare ad essere consapevoli di queste conseguenze della struttura demografica, e iniziare a pensare a qualche contromisura, per evitare che gli squilibri della popolazione si riverberino e amplifichino i già gravi problemi economici e sociali. Prima o poi, ad esempio, si potrebbe mettere mano a correttivi della rappresentatività elettorale, per impedire che indiscriminatamente, le istanze meno aperte verso il futuro e meno attente al progresso della società possano sopravanzare gli interessi generali della popolazione. Ma questo è un altro discorso, certamente prematuro e sicuramente troppo avanti rispetto alle possibilità della politica italiana.

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