Oltre il danno, la beffa. Il primo è quello erariale ai danni del Comune di Roma, sul quale la Corte dei Conti potrebbe indagare dopo l’esplosione del caso Affittopoli: decine di immobili concessi dal Campidoglio ai privati a canone irrisorio e spesso neanche incassato. Una condizione che negli anni si è incancrenita (c’era chi versava 135 euro al mese con un reddito dichiarato di 250 mila euro), fino a toccare i paradossi dei 53 milioni di euro annui che il Comune spende per pagare le sue sedi istituzionali e gli alloggi di edilizia popolare e dei creditori senza nome sui quali non potersi rifare.
La seconda, la beffa, è quella che sta ricadendo su chi, invece, a quei canoni di affitto agevolati avrebbe diritto: parliamo di associazioni, radicate da tempo sul territorio, che si occupano di malati, di disagio psichico, di minori. Il commissario Tronca fa sul serio, ma questo serio è talmente rivestito di burocratese da non riuscire a distinguere le situazioni. E infatti da circa un mese a questa parte, a molte onlus stanno arrivando sfratti o richieste di versamenti di cifre astronomiche.
Mercoledì mattina, nella sede di via Sabotino dell’associazione “Viva la Vita onlus”, che da sempre si occupa di malati di Sla, si è presentata la polizia municipale. L’ordine era tassativo: sgomberare. Quasi si trattasse di pericolosi criminali e non di una realtà consolidata che dà assistenza a 230 persone e alle loro famiglie. La sede era stata assegnata dal Comune di Roma alla onlus nel 2009, dietro pagamento di un canone di 270 euro (sempre versato in questi anni), scontato dell’80 per cento in quanto associazione di utilità sociale. Pur non essendo mai stato registrato il contratto di locazione, secondo Viva la Vita, ogni mese giungevano i bollettini di pagamento. Non solo: l’associazione si è fatta carico dei lavori di ristrutturazione, pari a 60mila euro.
Tutto va liscio fino allo scorso anno, quando – senza preavviso – arriva invece l’avviso di sgombero: la sede rientra nella prima tranche dell’inchiesta su Affittopoli che porta alla chiusura di molti locali utilizzati indebitamente da alcune associazioni. A quel punto il Campidoglio consiglia alla onlus di non fare ricorso al Tar, ma di scrivere una banale lettera per bloccare la procedura. “Tutto sembrava a posto – spiega il presidente Mauro Pichezzi – poi mercoledì sono arrivati i vigili. Ci hanno concesso altri 30 giorni, poi dovremo lasciare la nostra sede. Significherà chiudere. Porteremo i malati sotto il Campidoglio la prossima settimana, vogliamo continuare a svolgere il nostro lavoro”. “Se avessi la forza di poterlo fare di persona – ha scritto ieri un malato di Sla al Fatto – chiederei con il cuore nelle mie stesse mani alle autorità del comune di Roma, di risolvere al più presto l’increscioso problema”.
Problema che non riguarda solo i malati: 116.438 euro sono stati chiesti al “Grande cocomero”, l’associazione nata oltre 20 anni fa nata da un’idea di Marco Lombardo Radice, neuropsichiatra sperimentatore di terapie innovative nella cura dei disturbi psichici dei minori. La realtà da cui ha tratto il film Francesca Archibugi, il centro riabilitativo per i ragazzi di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Umberto I, uno spazio di aggregazione per gli adolescenti di San Lorenzo. Un luogo libero. A chiudere il “Grande cocomero” aveva già provato il sindaco Alemanno. Ora la situazione è anche più grave.
La scure prefettizia si sta abbattendo addirittura sui bimbi in carcere. “A Roma insieme” è un’associazione che lavora dal 1992 all’interno del cosiddetto nido di Rebibbia, quella parte del penitenziario che ospita le mamme con i loro piccoli. A fondarla fu Leda Colombini. La sede della onlus è in un immobile del Comune. Canone di locazione 250 euro frutto di una convenzione scaduta nel 2013. Più volte ma inutilmente, spiegano dalla onlus, in questi tre anni si è tentato di rinnovarla. All’inizio di marzo si sono presentati i funzionari del dipartimento Patrimonio. Risultato: sgombero.
E come loro, la stessa cosa sta accadendo a tante altre associazioni. Oltre alle considerazioni etiche, c’è un discorso economico che forse il Prefetto Tronca sta sottovalutando: quando si taglia orizzontalmente senza distinguo sui servizi sociali, i costi che si abbatteranno sulle istituzioni saranno di gran lunga maggiori di quelli di un canone non adeguato.