Lo sfogo contro procure, magistrati e intercettazioni è arrivato puntuale. E il copione è sempre quello: dopo ogni inchiesta che imbarazza il potere politico si torna a invocare il bavaglio. Dopo la direzione del Pd di lunedì scorso, durante la quale il premier-segretario Matteo Renzi aveva sbeffeggiato i magistrati lucani “che non arrivano mai a sentenza”, il nuovo affondo arriva nella conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri riunito per dare il via libera al Def. Il capo del governo attacca le toghe, responsabili a suo dire, di fughe di notizie e intercettazioni “che hanno a che fare con la vita privata senza nessi con l’inchiesta”.
Poi nel pomeriggio, intervenendo all’iniziativa Classdem, il presidente del consiglio è tornato a parlare dell’inchiesta di Potenza: “E’ stata una settimana difficile, c’è stata un’offensiva mediatica, ogni giorno casualmente usciva un nome di un ministro, di un sottosegretario, tutto casuale naturalmente”. Poi è arrivata una risposta implicita a Piercamillo Davigo, l’ex pm di Mani pulite in pole position per la presidenza dell’Anm: “La magistratura non si accusa, non si segue, si rispetta chiedendo di fare ciò che da secoli deve fare e su cui noi non mettiamo bocca, così come la magistratura non mette bocca nel procedimento legislativo”, ha affermato il presidente del consiglio. “Sarebbe una clamorosa invasione di campo. Abbiamo rispetto per la politica, non accetteremo di rendere la politica subalterna a niente e a nessuno”. E infine ha precisato: “Renzi accusa i pm di Potenza? Ma di che…Renzi sprona i pm di Potenza, Renzi incoraggia i pm di Potenza”.
L’indagine in questione, manco a dirlo, è quella su Tempa Rossa e Renzi, secondo i retroscena politici, ne ha per tutti. A partire dall’audizione del ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi che rappresenta un “attacco contro tutto il Parlamento”. Anche il filone siciliano dell’inchiesta, che ha coinvolto il Capo di Stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi, risulta particolarmente indigesto al primo ministro: “Diffondere quelle notizie è un pericolo per la sicurezza del Paese soprattutto nel bel mezzo di una crisi internazionale”.
Durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi sul Def, Renzi ha affermato: “Il pettegolezzo va derubricato. Il fatto di sentire frasi più o meno eleganti sicuramente colpisce l’opinione pubblica, ma se si mettessero sotto controllo i telefoni dei giornalisti molti non sarebbero contenti”. Come dal canto suo non sarà stato contento di leggere se stesso quel Gianluca Gemelli, il compagno indagato dell’ex ministro Federica Guidi, mentre al telefono si lasciava andare a sfoghi contro l’antimafia “che mi fa schifo” e Lucia Borsellino che “andrebbe eliminata”.
Tutti pettegolezzi, secondo il capo del governo, che devono rimanere nei brogliacci della polizia giudiziaria e non finire sui giornali. In realtà gli squarci “privati” aperti sul ministro Guidi riguardano conversazioni di assoluto rilievo pubblico, dato che il ministro parla al telefono con il compagno di un emendamento da far approvare in Parlamento – riguardo all’affare Tempa Rossa – e nel contempo vengono registrati gli sfoghi del ministro contro lo stesso Gemelli (“Mi tratti come una sguattera del Guatemala”) per l’utilizzo che l’imprenditore fa della relazione con il ministro per agevolare il proprio business bel settore petrolifero. E anche sul fronte dell’ammiraglio De Giorgi, a finire negli atti sono i retroscena relativi agli affari a cui è interessato il solito Gemelli – l’utilizzo del terminale militare del porto di Augusta per lo stoccaggio del petrolio – legati fra l’altro a uno dei capitoli di spesa più corposi del bilancio dello Stato, i 5,4 miliardi di euro stanziati per il rinnovo della flotta dell Marina militare.
L’irritazione di Renzi è riportata fra l’altro nei retroscena di Corriere e Repubblica, che descrivono anche le reazioni dei suoi colleghi, a partire dal Guardasigilli Andrea Orlando. Che la pensa come il premier e butta il cuore oltre l’ostacolo: intervenire subito sfruttando il momento propizio per fare una legge sulle intercettazioni condivisa senza troppi strappi con la magistratura. Tant’è che secondo i retroscena, il presidente del consiglio ha citato come esempio positivo importanti procure – come Milano e Torino – che con circolari interne si sono date regole più stringenti sulle conversazione da inserire negli atti giudiziari.
Ma il capo di via Arenula tiene il punto e coglie la palla al balzo per attaccare i colleghi di Ncd che, data la ferrea ostilità al nuovo testa che allunga i tempi di prescrizione dei reati rispetto alla ex Cirielli di berlusconiana memoria, tengono la riforma della Giustizia al palo: “Non basta lamentarsi di conversazioni private che escono da tutte le parti mentre la riforma è ferma al Senato da otto mesi”.
Dal canto suo Angelino Alfano, tirato in ballo dal collega di governo, si limita a lasciarsi andare a un ricordo malinconico, quando al posto di Renzi c’era il suo vecchio capo Silvio Berlusconi: “Mi pare di avere già ascoltato queste considerazioni in questa sala ma in altri tempi”.
Intanto il ministro Graziano Delrio ha presentato esposto alla Procura di Roma in seguito a un’altra vicenda emersa dalle intercettazioni dell’inchiesta della Procura di Potenza. Quella in cui un consulente del Mise retto dalla Guidi accenna a possibili foto del titolare delle Infrastrutture “con i mafiosi”, in riferimento all’inchiesta Aemilia sulla ‘ndrangheta nella regione. Alla domanda dei giornalisti – a margine di un convegno sulla logistica a Novara – se si fosse fatto un’idea del perché fosse stato preso di mira, Delrio ha risposto: “Non fatemi domande inutili”.