Undici anni di carriera diplomatica e di ufficiale della Cia alle spalle. Sabrina de Sousa, 60 anni, sa come pesare le parole. Da quando ha lasciato il servizio, nel 2009, ha un solo obiettivo: “Pulire il mio nome”. Ha su di sé una condanna – passata in giudicato – per la “extraordinay rendition” di Abu Omar, il rapimento del 17 febbraio 2003 organizzato dall’intelligence Usa insieme ad alcuni agenti del Sismi a Milano. Nei giorni scorsi la corte suprema del Portogallo – paese dove oggi vive – ha respinto la sua opposizione all’estradizione chiesta dall’Italia.
De Sousa pone domande dirette, solleva dubbi, racconta – con nomi e ruoli – il livello politico che si nascondeva dietro il rapimento. Su quella operazione segreta hanno indagato a lungo i magistrati milanesi Ferdinando Pomarici e Armando Spataro, scontrandosi con il muro del segreto di Stato. Lo scorso febbraio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso presentato dai legali di Abu Omar, riconoscendo la responsabilità dello Stato italiano: “L’Italia ha applicato il legittimo principio del segreto di Stato in modo improprio e in maniera tale da assicurare che i responsabili del rapimento, della detenzione illegale e dei maltrattamenti ad Abu Omar non dovessero rispondere”, si legge nella sentenza della Cedu. Sabrina de Sousa, per il suo ruolo di ufficiale Cia e di diplomatico del dipartimento di Stato Usa, ha ben chiara la linea di comando che esisteva dietro le rendition. Va dritta al cuore di quella brutta storia, il segreto di Stato posto da Berlusconi e confermato da tutti i governi, Renzi compreso. Un nodo che arriva fino ai giorni nostri: “Mi chiedo, ad esempio, perché nessuno ha approfondito il ruolo dell’Egitto – spiega a il Fatto quotidiano – pensando anche a quello che oggi sta avvenendo con il caso Regeni”.
Partiamo dall’inizio?
Prima di tutto vorrei che fosse chiara la mia posizione, io mi occupavo dei rapporti con i diplomatici nell’ambito dell’antiterrorismo. Io non ho avuto nessun ruolo nella pianificazione o nella esecuzione del rapimento di Abu Omar, né avevo l’autorità per approvare o meno l’operazione. Il potere era nelle mani della Cia a Washington e di chi era in contatto con Jeff Castelli, capo centro in Italia.
Quando è arrivata a Milano?
Nel giugno del 2001, prima dell’attacco alle Torri Gemelle. All’epoca il programma RDI (la sigla che negli Usa indica la pratica dei rapimenti e degli interrogatori duri, ndr) era top secret, aveva un livello di sicurezza altissimo. Dopo l’11 settembre a Roma Jeff Castelli, il capo della Cia in Italia, fa quello che Washington chiedeva, ovvero riprende le rendition per utilizzarle nell’antiterrorismo. Solo lui poteva discutere questo programma che, ripeto, era top secret. E in Italia solo Pollari o a livello più alto di Pollari.
Perché Abu Omar era diventato un target?
Questa è una domanda da un milione di dollari. Lo vorrei sapere anch’io, non era chiaro per nessuno. Era sotto controllo da parte della Digos, che aveva deciso di non seguirlo più a gennaio 2003, come abbiamo letto nelle testimonianze di Bruno Megale (dirigente della Digos di Milano all’epoca dei fatti, ndr) durante il processo, per concentrarsi su altri personaggi ritenuti più interessanti. Devo ricordare che Abu Omar è stato lasciato libero al Cairo dopo un anno, perché non c’erano prove su di lui. Ed è importante quello che l’ex Cia Michael Scheuer ha detto recentemente: il nome di Abu Omar non è mai arrivato come target al suo ufficio. Nessuno conosceva Abu Omar prima che Castelli decidesse di metterlo in una lista. Due persone sanno il perché sia stato scelto proprio lui: Castelli che gestì da Roma il caso con Washington. E immagino poi che ne abbia parlato con il Sismi, no? Non so, ma forse questa questione ora è coperta dal segreto di Stato.
Lei in una precedente intervista ha affermato che “i veri responsabili delle rendition ora siedono nei board di società”…
Occorre partire da lontano, avere il quadro chiaro di quello che è avvenuto negli Usa. Degli eventi molto interessanti sono accaduti nella transizione fra Bush e Obama. Nel 2008 molte delle informazioni sui siti clandestini Cia, il waterboarding, etc. iniziarono a spuntare fuori, ponendo questioni morali e legali sulle operazioni dello Stat, con un certo sgomento da parte dei capi della CIA e di altri ufficiali del governo: chi era il responsabile? Questo stava accadendo, Obama fu eletto su una promessa di trasparenza e responsabilità da parte dell’establishment, e poi vinse il Nobel, con l’aspettativa che avrebbe mantenuto le sue idee proposte nella campagna elettorale. Non avvenne nulla sotto il suo primo mandato. Divenne chiaro velocemente che Obama voleva ‘guardare avanti, non indietro’. Ufficiali CIA che fino a quel momento erano rimasti muti iniziarono lentamente a parlare. Rilasciarono interviste giustificando le loro azioni. Scrissero libri – come Hard Measures, Company man, Playing to the edge – per guadagnare dalle loro azioni in supporto del programma RDI. Molti di questi ufficiali – anche se non specificando direttamente la rendition di Abu Omar – hanno confermato i loro compiti e le loro posizioni nella CIA.
E nel caso di Abu Omar?
Questi ufficiali avevano l’autorità per approvare il suo rapimento. Esisteva una catena di comando che approvava i piani e dava il via libera alle rendition. Nessuna operazione avviene dentro la CIA senza l’approvazione di molti ufficiali d’alto livello, soprattutto degli avvocati. Il caso di Abu Omar non era diverso, fu approvato dall’intera catena di comando, da Castelli in su: Tyler Drumheller, Capo delle operazioni Europee; Jose Rodriguez, Capo Antiterrorismo; James Pavitt, direttore delle operazioni Cia e John Rizzo, capo dello staff legale della CIA.
Era necessario anche un accordo con il governo italiano?
Dato che l’Italia è un alleato Nato, fu approvato anche dai legali del dipartimento di Stato e del Consiglio di Sicurezza Nazionale, inclusa Condoleezza Rice, che era a capo del Csn all’epoca. Questa operazione ricevette il via libera dalla Casa Bianca, era finanziata con i soldi del Congresso, e doveva essere convalidata anche dai maggiori ufficiali del governo italiano ed egiziano. Non sono sicura se il governo tedesco ne fosse a conoscenza.
Dal punto di vista italiano, per come funzionava questa linea di comando, era necessaria l’approvazione politica?
Sì, anche se io non so a che livello il capo centro Cia Jeff Castelli sia andato in Italia. Ma sarebbe una buona idea se il premier Renzi togliesse il segreto di Stato su questa parte, se vuole mostrare che il governo italiano non sapeva niente. Senza questi documenti fondamentali possiamo fare solo speculazioni. Il governo italiano dice che, ad alto livello, non sapeva niente: e allora mostrasse questi documenti, per chiarire questo punto, che è essenziale. Anche per capire come funzionano queste cose in Italia, quali ministeri vengono coinvolti, quale ufficio ha dato l’autorizzazione all’operazione.
Nel 2013 l’amministrazione Obama ha chiesto la grazia per i funzionari Cia condannati in Italia. La grazia è stata poi concessa solo ad alcuni, ad altri no. Cosa è accaduto?
Io ho sempre respinto le accuse contro di me e vorrei oggi uscirne con il nome pulito. C’è però la paura da parte di qualcuno che escano fuori le responsabilità di altri…
Quindi, secondo lei, si mantiene il segreto per non fare uscire fuori le responsabilità più alte, giusto?
Sì, sì. Hanno paura che io possa ricevere la grazia, che possa andare in Italia, che io possa parlare. Ho saputo dal mio avvocato che nel 2014 io ero stata esclusa dalla grazia.
Perché secondo lei?
Non lo so, ma forse temono che io possa dire la verità, no? Non voglio speculare, ma il fatto è che io non sono rientrata nei provvedimenti di grazia della presidenza della Repubblica italiana.
Si sente abbandonata dall’amministrazione Usa?
A questo punto è molto chiaro che i diplomatici degli Stati Uniti ed un colonnello ad alto livello sono stati abbandonati. Io sono l’unica persona del gruppo che ha lavorato molti anni per pulire il mio nome, scontrandomi con il problema del segreto di Stato su entrambi i lati dell’Atlantico, negli Usa e in Italia. Ed è evidente che di questo non si vuole parlare, perché mostrerebbe quella catena di comando mai apparsa chiaramente fino ad oggi. Anche Hillary Clinton non ne esce bene da questa storia. Quando era segretaria di Stato lei ha permesso che questi procedimenti contro i diplomatici degli Stati uniti avessero seguito, senza fornire protezioni. Io le ho scritto, chiedendole perché i diplomatici li voleva “buttare sotto l’autobus”, come si dice negli Usa.
Ha avuto risposta?
Lei si è rifiutata di avviare un’inchiesta sulle torture subite da Abu Omar. Questa è una questione che riguarda il Dipartimento di Stato, perché l’Egitto è sulla lista dei paesi che applicano la tortura, come abbiamo visto con il caso Regeni. Ed è una questione che dovrebbe interessare anche tutti i membri del Congresso, che non hanno voluto indagare questo aspetto della storia di Abu Omar. Queste sono responsabilità. E alla base di tutto questo c’è una questione chiave.
Quale?
Fino ad oggi nessuno ha ammesso ufficialmente che questa rendition sia accaduta e non ammettono che in Italia vi sia stato un processo. E’ incredibile, ma è così. Per gli Usa semplicemente il caso non esiste. Mentre la corte di Strasburgo ha dato un grande schiaffo all’Italia con la sentenza, gli Stati Uniti semplicemente “non confermano né smentiscono” che il caso sia esistito. E questo alla fine è il mio problema, ciò che mi ha impedito di potermi difendere adeguatamente. Il mio paese mi dice: io non so nulla di questo. Indagine? Quale indagine? Io poi non sono una persona di alto livello, alla fine sono sacrificabile. E’ una cosa che mi ha tolto dieci anni della mia vita, ho perso il mio lavoro, ho perso la mia pensione, tutto. Quando il processo è iniziato io non potevo più lasciare il mio paese, ma la mia famiglia, mia madre, erano fuori dagli Stati Uniti. Mi sono dovuta dimettere dalla Cia per poterli rivedere, ed ho perso la mia carriera come ufficiale dei servizi segreti.
Il caso Abu Omar ha avuto ripercussioni sui rapporti tra i servizi di intelligence?
È stato creato un precedente sul tema dell’arresto di diplomatici e ufficiali militari. Nomi di agenti statunitensi e italiani sono stati rivelati, così come fonti e metodi. Questo ovviamente rende più difficile operazioni di controterrorismo fra il governo italiano e i servizi di intelligence e polizia stranieri in un momento critico in Europa. Questo precedente danneggia l’antiterrorismo, gli attacchi con i droni, l’anti-pirateria e così via. Questo precedente ritornerà probabilmente fuori con le elezioni presidenziali: Hillary Clinton, come Segretaria di Stato, permise le indagini sui diplomatici americani e si rifiutò di investigare le accuse di tortura nei confronti di Abu Omar, come ho detto.