Ieri a Bruxelles il rappresentante del governo italiano ha votato a favore di un provvedimento che esclude le lampadine dai settori obbligati – in pratica tutti gli altri elettrodomestici- a fermare l’imbroglio che permette di “tollerare” performance di efficienza superiori del 10% rispetto alla realtà: con uno escamotage tecnico, insomma, e per un periodo non determinato, i produttori di lampadine potranno dichiarare di essere più efficienti di quello che in effetti sono; che c’entra questa bella performance con le trivelle e il referendum di domenica?
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C’entra e per più di una ragione: innanzitutto perché lo spreco energetico derivante da questo imbroglio equivale a più della metà del petrolio estratto in Italia entro le 12 miglia con le trivelle oggetto dei referendum. E poi perché questo specifico atto è in totale continuità con decisioni che a livello italiano ed europeo dimostrano che siamo più che mai di fronte a un governo che ha scelto di rimanere “fossile”. Gli esempi, ahinoi, sono numerosi e coinvolgono tutti gli attori in campo, dal governo fino ai parlamentari europei. Dagli inceneritori alle trivelle, dalla battaglia in Europa contro le regole per i test sulle emissioni per le auto (ricordate Volkswagen?), all’opposizione feroce contro nuovi più ambiziosi target per rinnovabili e efficienza energetica dopo le belle parole di Parigi, praticamente su ogni dossier che abbia vagamente a che vedere con ambiente ed energia, l’Italia sta pericolosamente scivolando dalle parti della Polonia piuttosto che della Germania e sta sistematicamente sostenendo, complice il silenzio dei media e la distrazione della politica – gli interessi di settori economici declinanti, ma ancora politicamente influenti.
Che due personaggi di indubbia autorevolezza, Romano Prodi e Giorgio Napolitano, pensino che sia ancora necessario difendere questi vecchi settori nonostante un rapporto costi-benefici negativo, non mi stupisce più di tanto; in fondo sono entrambi uomini che hanno vissuto e accompagnato uno sviluppo industriale nel nostro paese che ha fatto cose egregie ed enormi disastri, ma che ci rende oggi e nonostante tutto la seconda potenza industriale in Europa dopo la Germania, elemento questo che, come ambientalista ed europea convinta, non mi permetterei mai di sottovalutare.
Ma è proprio per questo che, a due giorni dal referendum, credo sia davvero necessario per tutti coloro che oggi pensano che non andranno a votare o voteranno NO, chiedersi se stiano facendo un piacere alla nostra tradizione industriale, rifiutando di partecipare al voto o sostenendo che i titolari di concessioni di estrazione di gas e petrolio entro le 12 miglia marine possano continuare a lavorare oltre il limite delle loro concessioni; privilegio questo assolutamente unico e potenzialmente contrario alle regole europee, che fissano in un massimo di 30 anni il limite delle concessioni.
Io credo di no: intanto, non è vero che questo referendum “non serve a nulla” o è troppo tecnico: è invece molto chiaro e semplice. Poteva essere evitato se il governo avesse accettato le richieste delle Regioni. Non lo ha fatto e non è un caso. Chi sostiene che è inutile andare a votare, lo fa perché vorrebbe tenere ben nascosta la realtà di riserve di gas e petrolio scarse, di rischi ambientali reali (non per nulla sia la Croazia che la Francia hanno deciso la moratoria delle trivellazioni e propongono una disposizione europea in proposito); di royalties povere e di un impatto limitatissimo sul nostro fabbisogno, rispettivamente 1% del petrolio e 3% del gas metano nel corso prossimi 10 anni, che adeguate politiche di risparmio energetico potrebbero facilmente sostituire; peraltro penso che neppure il governo ritenga che questo quesito sia inutile, altrimenti non avrebbe buttato via ben 360 milioni di euro (praticamente l’ammontare delle royalties fossili di un anno) rifiutandosi di accorpare il referendum con le elezioni amministrative di giugno.
Chi dice che il referendum è “tecnico” e irrilevante, è interessato a mantenere la discussione del futuro energetico italiano fra pochi intimi. E infatti, nonostante l’Italia sia stata fino a poco tempo fa il secondo paese al mondo per velocità di istallazione di rinnovabili e tra i paesi che secondo i documenti della Commissione Europea ha il maggiore potenziale in termini di efficienza energetica, le politiche del governo Renzi non se ne cura minimamente, come ben dimostrato proprio dallo “Sblocca Italia” con le porte aperte a trivelle e inceneritori.
Del resto, non c’è trasparenza sulle opzioni strategiche, che rimangono fatte con pochi attori “fossili” ed Eni in particolare; continua un’irresponsabile rimozione del fatto che i cambiamenti climatici esistono e che se li vogliamo fermare dobbiamo lasciare sottoterra l’80% del petrolio e un terzo del gas nei prossimi anni, puntando su alternative che ci sono; l’Italia su questo tema semplicemente non c’è, anzi per meglio dire c’è dove non dovrebbe essere: a livello Ue, il governo Renzi è oggi molto più vicino a Polonia e Regno Unito e ai loro tentativi di bloccare ogni ambizione in materia di azione sul clima che alla Germania o alla Svezia. Inoltre, in Italia prosegue una pervicace azione di smantellamento delle scelte sulle rinnovabili, quella sì veramente suicida, che ha portato non tanto e non solo a ridurre anche retroattivamente il sistema degli incentivi in modo disordinato, indiscriminato e assurdo, ma anche cancellare, dal 2011 ad oggi, oltre la metà dei 115.000 posti di lavoro che erano stati creati; tutto questo, senza toccare i circa 12 miliardi all’anno di contributi diretti ed indiretti pagati ai “fossili”. Non si capisce davvero perché quelle decine di migliaia di posti di lavoro sarebbero meno importanti dei pochi che si perderebbero (forse) nel corso dei prossimi 10 o più anni, quando le trivelle entro le 12 miglia, se vincesse il SI, dovranno smettere di funzionare. Il geologo Fabio Giusti spiega peraltro che se davvero le piattaforme interessate dovessero chiudere subito, sarebbero interessate al massimo di 100/200 persone.
Se il sì vincesse, sarebbe davvero potente il messaggio che è ormai tempo di smettere di ostacolare, nei contenuti e nei metodi, il pieno sviluppo di attività industriali e di servizi che mirano a mettere insieme le ragioni del lavoro e della crescita sostenibile con quelle dell’ambiente e della salute. Certo, questo non potrà succedere per miracolo lunedì prossimo. Come già hanno dimostrato i referendum sul nucleare, una consultazione popolare non può sostituirsi ad una strategia industriale ed energetica che oggi è ancora assente in Italia. Ma può indicare una strada e segnalare che si sbaglia di grosso chi pensa che il popolo bue non può pronunciarsi e avere un ruolo anche su questi temi. Starà poi a tutti noi mantenere una mobilitazione e una pressione perché questa “rivoluzione” accada davvero.
Monica Frassoni
Verde europea
Ambiente & Veleni - 14 Aprile 2016
Referendum trivelle, le lampadine sprecano quanto metà del petrolio estratto
Ieri a Bruxelles il rappresentante del governo italiano ha votato a favore di un provvedimento che esclude le lampadine dai settori obbligati – in pratica tutti gli altri elettrodomestici- a fermare l’imbroglio che permette di “tollerare” performance di efficienza superiori del 10% rispetto alla realtà: con uno escamotage tecnico, insomma, e per un periodo non determinato, i produttori di lampadine potranno dichiarare di essere più efficienti di quello che in effetti sono; che c’entra questa bella performance con le trivelle e il referendum di domenica?
C’entra e per più di una ragione: innanzitutto perché lo spreco energetico derivante da questo imbroglio equivale a più della metà del petrolio estratto in Italia entro le 12 miglia con le trivelle oggetto dei referendum. E poi perché questo specifico atto è in totale continuità con decisioni che a livello italiano ed europeo dimostrano che siamo più che mai di fronte a un governo che ha scelto di rimanere “fossile”. Gli esempi, ahinoi, sono numerosi e coinvolgono tutti gli attori in campo, dal governo fino ai parlamentari europei. Dagli inceneritori alle trivelle, dalla battaglia in Europa contro le regole per i test sulle emissioni per le auto (ricordate Volkswagen?), all’opposizione feroce contro nuovi più ambiziosi target per rinnovabili e efficienza energetica dopo le belle parole di Parigi, praticamente su ogni dossier che abbia vagamente a che vedere con ambiente ed energia, l’Italia sta pericolosamente scivolando dalle parti della Polonia piuttosto che della Germania e sta sistematicamente sostenendo, complice il silenzio dei media e la distrazione della politica – gli interessi di settori economici declinanti, ma ancora politicamente influenti.
Che due personaggi di indubbia autorevolezza, Romano Prodi e Giorgio Napolitano, pensino che sia ancora necessario difendere questi vecchi settori nonostante un rapporto costi-benefici negativo, non mi stupisce più di tanto; in fondo sono entrambi uomini che hanno vissuto e accompagnato uno sviluppo industriale nel nostro paese che ha fatto cose egregie ed enormi disastri, ma che ci rende oggi e nonostante tutto la seconda potenza industriale in Europa dopo la Germania, elemento questo che, come ambientalista ed europea convinta, non mi permetterei mai di sottovalutare.
Ma è proprio per questo che, a due giorni dal referendum, credo sia davvero necessario per tutti coloro che oggi pensano che non andranno a votare o voteranno NO, chiedersi se stiano facendo un piacere alla nostra tradizione industriale, rifiutando di partecipare al voto o sostenendo che i titolari di concessioni di estrazione di gas e petrolio entro le 12 miglia marine possano continuare a lavorare oltre il limite delle loro concessioni; privilegio questo assolutamente unico e potenzialmente contrario alle regole europee, che fissano in un massimo di 30 anni il limite delle concessioni.
Io credo di no: intanto, non è vero che questo referendum “non serve a nulla” o è troppo tecnico: è invece molto chiaro e semplice. Poteva essere evitato se il governo avesse accettato le richieste delle Regioni. Non lo ha fatto e non è un caso. Chi sostiene che è inutile andare a votare, lo fa perché vorrebbe tenere ben nascosta la realtà di riserve di gas e petrolio scarse, di rischi ambientali reali (non per nulla sia la Croazia che la Francia hanno deciso la moratoria delle trivellazioni e propongono una disposizione europea in proposito); di royalties povere e di un impatto limitatissimo sul nostro fabbisogno, rispettivamente 1% del petrolio e 3% del gas metano nel corso prossimi 10 anni, che adeguate politiche di risparmio energetico potrebbero facilmente sostituire; peraltro penso che neppure il governo ritenga che questo quesito sia inutile, altrimenti non avrebbe buttato via ben 360 milioni di euro (praticamente l’ammontare delle royalties fossili di un anno) rifiutandosi di accorpare il referendum con le elezioni amministrative di giugno.
Chi dice che il referendum è “tecnico” e irrilevante, è interessato a mantenere la discussione del futuro energetico italiano fra pochi intimi. E infatti, nonostante l’Italia sia stata fino a poco tempo fa il secondo paese al mondo per velocità di istallazione di rinnovabili e tra i paesi che secondo i documenti della Commissione Europea ha il maggiore potenziale in termini di efficienza energetica, le politiche del governo Renzi non se ne cura minimamente, come ben dimostrato proprio dallo “Sblocca Italia” con le porte aperte a trivelle e inceneritori.
Del resto, non c’è trasparenza sulle opzioni strategiche, che rimangono fatte con pochi attori “fossili” ed Eni in particolare; continua un’irresponsabile rimozione del fatto che i cambiamenti climatici esistono e che se li vogliamo fermare dobbiamo lasciare sottoterra l’80% del petrolio e un terzo del gas nei prossimi anni, puntando su alternative che ci sono; l’Italia su questo tema semplicemente non c’è, anzi per meglio dire c’è dove non dovrebbe essere: a livello Ue, il governo Renzi è oggi molto più vicino a Polonia e Regno Unito e ai loro tentativi di bloccare ogni ambizione in materia di azione sul clima che alla Germania o alla Svezia. Inoltre, in Italia prosegue una pervicace azione di smantellamento delle scelte sulle rinnovabili, quella sì veramente suicida, che ha portato non tanto e non solo a ridurre anche retroattivamente il sistema degli incentivi in modo disordinato, indiscriminato e assurdo, ma anche cancellare, dal 2011 ad oggi, oltre la metà dei 115.000 posti di lavoro che erano stati creati; tutto questo, senza toccare i circa 12 miliardi all’anno di contributi diretti ed indiretti pagati ai “fossili”. Non si capisce davvero perché quelle decine di migliaia di posti di lavoro sarebbero meno importanti dei pochi che si perderebbero (forse) nel corso dei prossimi 10 o più anni, quando le trivelle entro le 12 miglia, se vincesse il SI, dovranno smettere di funzionare. Il geologo Fabio Giusti spiega peraltro che se davvero le piattaforme interessate dovessero chiudere subito, sarebbero interessate al massimo di 100/200 persone.
Se il sì vincesse, sarebbe davvero potente il messaggio che è ormai tempo di smettere di ostacolare, nei contenuti e nei metodi, il pieno sviluppo di attività industriali e di servizi che mirano a mettere insieme le ragioni del lavoro e della crescita sostenibile con quelle dell’ambiente e della salute. Certo, questo non potrà succedere per miracolo lunedì prossimo. Come già hanno dimostrato i referendum sul nucleare, una consultazione popolare non può sostituirsi ad una strategia industriale ed energetica che oggi è ancora assente in Italia. Ma può indicare una strada e segnalare che si sbaglia di grosso chi pensa che il popolo bue non può pronunciarsi e avere un ruolo anche su questi temi. Starà poi a tutti noi mantenere una mobilitazione e una pressione perché questa “rivoluzione” accada davvero.
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Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “La presentazione di Fondazione Bicocca è un momento importante perché Bicocca ha già dimostrato, spostandosi in quest'area geografica della città, di fare tanto per il territorio in cui è immersa, con una trasformazione ambientale e strutturale". Lo afferma Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
"Basti pensare - dice - a tutti gli investimenti sul verde che ha fatto e che circondano quest'area, ma soprattutto culturale, sulla parte che riguarda la proprietà intellettuale, il trasferimento tecnologico, la possibilità di avvicinare e orientare ancora di più tante ragazze e ragazzi alle materie che l’Università Bicocca rappresenta in questo territorio. Ora attraverso la Fondazione, si cerca di creare quel ponte ancora più esplicito, ancora più forte con il mercato del lavoro”.
"L’obiettivo della Fondazione è trasformare da un lato il mercato del lavoro, avvicinandolo sempre di più alle aspettative di tante ragazze e ragazzi, dall'altro lato avvicinare questo patrimonio di giovani alle proposte che ci sono nel mercato del lavoro, orientandoli e formandoli nel modo corretto a fronte delle tante vacancies che ci sono in diversi settori. Un obiettivo molto utile non solo a Milano, ma al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il costo delle bollette in Italia ha raggiunto picchi insostenibili per famiglie e imprese. Oggi la segretaria Schlein ha dimostrato che sono possibili interventi urgenti e immediati per abbassare il costo dell’energia. Nello stesso giorno in cui il governo Meloni fa slittare il cdm per affrontare la questione: sono nel caos. Seguano le proposte del Pd, perché gli italiani non possono rimetterci di tasca propria per l’incompetenza di questa destra". Lo scrive sui social Alessandro Zan del Pd.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “Il valore di Fondazione Bicocca è un atto di coraggio, ma anche di eredità, perché questo è il mio ultimo anno di mandato. Pertanto, l'ottica è mettere a disposizione le competenze, ma anche il coraggio, di un grande ateneo pubblico multidisciplinare, come Bicocca, a disposizione della società civile a 360 gradi”. Così Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università degli studi di Milano-Bicocca, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
“Tutti noi sappiamo dell'incertezza economica, dei problemi relativi al mancato sviluppo delle competenze e dell'inverno demografico. Queste sfide non sono solo italiane, ma anche europee, rispetto a colossi come Stati Uniti e Cina e fanno riflettere sul gap di innovazione tecnologica che caratterizza tutta l'Europa e in particolare il nostro Paese. Pertanto - spiega la rettrice Iannantuoni - è motivo di orgoglio avere da un lato lo sviluppo delle competenze e dall’altro mettere a disposizione i nostri laboratori e le nostre migliori menti insieme alle imprese per fare sviluppo e crescita. Non c'è innovazione tecnologica se non c’è giustizia sociale, cioè se l’innovazione non è a favore di tutti. Un esempio sono le polemiche legate alle auto elettriche”.
“Quindi, il nostro approccio è multidisciplinare, innovativo e diverso, com’è diversa Bicocca, e si propone come una piattaforma di connessioni per il futuro, come abbiamo voluto chiamare la giornata di oggi e aspettiamo tutte le imprese del terzo settore, gli Irccs, gli istituti di cura, le scienze della vita, Tutti insieme per dare una speranza diversa al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il governo Meloni, in quasi due anni, non ha adottato alcuna misura efficace per contrastare l’aumento delle bollette, preferendo smantellare il mercato tutelato e aggravando così la situazione di famiglie e imprese". Lo afferma Ubaldo Pagano, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Bilancio alla Camera, sottolineando la necessità di un cambio di rotta immediato. Il Partito Democratico torna a chiedere interventi concreti, proponendo due soluzioni centrali: separare il costo dell’energia da quello del gas e istituire un ente pubblico che possa garantire prezzi più accessibili.
"Non possiamo accettare – aggiunge Pagano – che il nostro sistema energetico rimanga vincolato a un meccanismo che pesa enormemente sulle tasche di cittadini e aziende. Il gas è la fonte più costosa e instabile, e continuare a legare il prezzo dell’elettricità a questa risorsa è un errore che il governo deve correggere subito. Le bollette stanno raggiungendo livelli insostenibili proprio nei mesi di maggiore consumo: Meloni e la sua maggioranza si decidano ad agire, perché gli italiani non possono più aspettare", conclude Pagano.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Non è più procrastinabile un intervento del Governo per contenere i costi delle bollette, oramai insostenibili per milioni di italiani. Governo e maggioranza facciano proprie le proposte del Pd avanzate da Elly Schlein e tutte a costo zero. Proposte semplici, chiare ed efficaci. Approviamole con spirito bipartisan per il bene del Paese". Così in una nota il senatore del Pd Michele Fina.
"Dopo che il taglio delle accise, promesso dalla presidente Meloni, era rimasto intrappolato nella distanza che c'è tra il dire e il fare e nulla è stato fatto è ora che maggioranza e governo prendano atto della gravità della situazione. Come si fa a non rendersi conto che questa emergenza bollette si aggiunge all’aumento di carburante, RC Auto e pedaggi, beni alimentari, materiale scolastico e affitti? Una situazione sconfortante che si va ad aggiungere ad una economia che arretra da 750 giorni, proprio mentre attendiamo gli effetti nefasti dei dazi di Trump".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - Si riunirà domani pomeriggio il gruppo Pd della Camera e all'ordine del giorno c'è anche la questione della pdl Cisl sulla partecipazione dei lavoratori. Dopodomani infatti si riunirà in mattinata il Comitato dei 9 e quindi è atteso il provvedimento in aula. Provvedimento sul quale si sono registrate sensibilità diverse tra i dem. Con il disagio dell'area riformista, in particolare, a dire no all'iniziativa promossa dalla Cisl. Per un altro pezzo dei dem invece, come Arturo Scotto e Maria Cecilia Guerra, il testo base è stato stravolto dalla maggioranza ed è quindi insostenibile. Testo su cui, per altro, ha messo il cappello la stessa premier Giorgia Meloni parlando all'ultima assemblea Cisl.
I dem, per trovare una quadra, si erano già confrontati nelle settimane scorse in una riunione del gruppo a Montecitorio. Si era deciso di rinviare la decisione sul voto, in attesa di vedere se la maggioranza si fosse resa disponibile ad accogliere alcune modifiche, in aula, proposte dal Pd. "Attendiamo un segnale", si era detto. A quasi un mese di distanza però il 'segnale' non sembra arrivato. Dice Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro: "Noi abbiamo tenuto sempre come bussola il merito. E votare no al mandato al relatore, è stata un scelta di merito perchè il testo base Cisl è stato completamente stravolto e peggiorato. Tanto che viene da chiedersi come sia possibile che un grande sindacato come la Cisl possa riconoscere come proprio il provvedimento che arriva in aula...".
"Ma -aggiunge- abbiamo detto che eravamo disponibili a modificare il nostro no in commissione, se in aula la maggioranza avesse dato l'ok ad alcune significative modifiche. Al momento, però non abbiamo avuto alcun segnale in questa direzione". E quindi, va a finire che il Pd si divide? "Non credo proprio". Magari si va verso un'astensione? "Domani abbiamo il gruppo, discuteremo domani".
Roma, 24 feb. (Adnkronos Salute) - L'intervento e le cure per il tumore al seno possono avere un forte impatto sulla sfera emotiva e sessuale della donna; il bisogno di recuperare femminilità e intimità, così come il desiderio di maternità, sono molto sentiti dalle pazienti, che però non ne parlano. Lo confermano i dati di un'indagine condotta da Iqvia e promossa da Europa Donna Italia per comprendere l'impatto della malattia sull'identità femminile e la relazione di coppia. I risultati sono stati presentati nel corso del convegno scientifico 'Rəvolution in medicine', che si è tenuto sabato 22 febbraio all'università degli Studi di Milano.
Oltre il 90% delle donne riscontra problemi legati alla sfera sessuale in seguito a interventi e trattamenti per il tumore al seno, ma il 66% non ne parla con nessuno e il 42% rinuncia a gestirli, evidenzia la ricerca coordinata da Isabella Cecchini, responsabile del Centro studi Iqvia Italia, che ha coinvolto 382 donne con diagnosi di tumore al seno di diverse fasce di età e a diverso stadio di malattia. I risultati indicano che le tematiche relative a emozioni e sessualità sono percepite importanti per il 72% del campione, ma restano taciute non solo dalle donne stesse - principalmente per timore, vergogna, idea che siano aspetti secondari rispetto alle priorità dettate dalla malattia - ma anche dai medici.
"Rispetto agli esordi del mio essere oncologa - dichiara Manuelita Mazza, oncologa della Senologia medica dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e responsabile scientifica di 'Rəvolution in medicine' - la vita delle pazienti è cambiata. In poco più di vent'anni ho assistito a grandi passi avanti nella capacità di curare il tumore al seno, anche nelle forme metastatiche; tuttavia, se si guarisce sempre di più e l'aspettativa di vita è più lunga, non sono certa sia anche più larga, più piena, più densa di vita stessa. La salute sessuale è un aspetto puntualmente trascurato del benessere di chi ha una diagnosi impegnativa come il tumore al seno, specie se metastatico, ma è parte integrante del benessere di ciascuna donna e non può essere un argomento omesso a fronte di una diagnosi di tumore al seno".
"Fornire alla paziente informazioni chiare sugli effetti collaterali sessuali dei trattamenti e, se desiderato, includere il partner nelle discussioni cliniche può fare una grande differenza - prosegue Mazza - Questa apertura non solo supporta meglio la paziente, ma le permette di sentirsi compresa in una delle sfere più intime e vulnerabili della sua vita".
I dati presentati confermano quanto un cambio di passo sia necessario: appena il 22% delle donne intervistate ha un alto livello di consapevolezza dell'impatto delle terapie sulla propria sessualità, l'11% ha interrotto la relazione con il proprio partner dopo la diagnosi di tumore al seno e 2 coppie su 3 hanno interrotto i rapporti sessuali. Anche sul fronte della maternità emergono dati significativi: solo 3 pazienti su 4 parlano del desiderio di diventare madri con il proprio medico di riferimento, e la comunicazione risulta chiara e rassicurante appena per la metà di esse, con il risultato che troppo spesso si rinuncia al proprio progetto di vita perché non si sono ricevute informazioni adeguate.
"E' il momento di promuovere un cambiamento - commenta Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia - e far sì che i problemi riscontrati dalle pazienti nella sfera emotiva e sessuale escano dal cono d’ombra del tabù. Le donne chiedono un supporto specifico da parte dei medici e vorrebbero essere affiancate anche dagli psiconcologi. L'impegno di Europa Donna in queste direzioni non mancherà. Già dal 2022 abbiamo avviato il progetto 'Come Prima', dedicato al recupero della femminilità e al desiderio di maternità delle donne con tumore del seno, coinvolgendo le pazienti, i loro partner e i medici con materiale informativo e appuntamenti dedicati, e proseguono i nostri sforzi per promuovere e normalizzare il dialogo tra pazienti e professionisti sanitari, medici in primis, anche su questi aspetti. Non dimentichiamo che la presa in carico delle pazienti deve prendere in considerazione non solo la malattia di per sé, ma la donna nella sua interezza, con i suoi bisogni fisici e psicologici".