Sesto processo per il senatore Denis Verdini, sostenitore della maggioranza renziana con il gruppo Ala. Il giudice per l’udienza preliminare di Firenze Anna Limongi lo ha rinviato a giudizio, insieme a tutti gli altri imputati, con l’accusa di bancarotta, per il crac della Società Toscana di edizioni (Ste), che pubblicava il Giornale della Toscana.
La decisione si riferisce a un procedimento bis dell’inchiesta sulle attività editoriali che facevano capo a Verdini. Tra i rinviati a giudizio anche Massimo Parisi, deputato eletto nel Pdl e poi passato ad Ala con Verdini, il professor Girolamo Strozzi, gli amministratori Pierluigi Picerno ed Enrico Luca Biagiotti.
Quello sancito dal gup di Firenze è il sesto processo penale in corso a carico del politico ex Pdl-Forza Italia, pontiere del patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi, oggi in sintonia con quest’ultimo e in più di un’occasione determinante per la sua maggioranza in Senato. Il 17 marzo Verdini è stato condannato a due anni per corruzione per il caso della Scuola dei Marescialli, sempre a Firenze. Il senatore è sotto processo anche per il crac di una ditta che avrebbe dovuto ricevere 4 milioni di euro del Credito cooperativo fiorentino. Gli altri tre dibattimenti riguardano la bancarotta dello stesso Credito cooperativo fiorentino, il cosiddetto “affare P3“ e la plusvalenza nella vendita di un appartamento a Roma.
Il procedimento è scaturito da un’inchiesta più ampia riguardante sempre la Ste e società collegate che pubblicavano altre testate a Firenze, per truffa allo Stato sull’assegnazione di fondi all’editoria. L’accusa di bancarotta su cui oggi il gup ha deciso di rinviare a giudizio 5 imputati è relativa in particolare alla presunta distrazione di una somma di 2,6 milioni di euro che sarebbe andata, in parti uguali, a Verdini e Parisi.
Verdini è imputato nella sua veste di socio di maggioranza e “amministratore di fatto” della società editrice. I cinque gli imputati sono accusati in concorso di bancarotta fraudolenta, perché, secondo il pm Luca Turco, mentre la Ste era in stato di insolvenza avrebbero compiuto atti di distrazione di capitali dal suo patrimonio quando già era in grave perdita. Per la Procura, tra le circostanze che avrebbero provocato il fallimento della Ste comparirebbe un’operazione da 2 milioni e 600mila euro, somma che sarebbe finita nei conti correnti di Verdini e di Parisi per 1,3 milioni ciascuno.
Verdini si è difeso in aula stamani dicendo che la somma non era stata distratta dalla Ste, società che è stata dichiarata fallita nel 2014. ma faceva parte di un’operazione corretta legata alle attività patrimoniali della società. In generale i difensori dei vari imputati hanno sostenuto che si tratta di un caso di bancarotta “riparata”, quindi non ci sarebbe reato poiché i denari sarebbero comunque rientrati nella disponibilità della società. L’avvocato Massimo Rocchi ha sostenuto che, in base alla giurisprudenza, si è di fronte ad un caso di bancarotta “riparata”, e quindi non ci sarebbe reato, dato che due anni prima del fallimento sono rientrati non 2,6 milioni di euro ma ben oltre 5 milioni.