“Ora che il referendum non ha raggiunto il quorum, gli italiani rischiano di dover pagare una multa all’Europa”. Questa la tesi del Movimento No Triv, secondo cui l’emendamento alla legge di Stabilità che la consultazione mirava a modificare è in contraddizione con la normativa europea sulla libera concorrenza. La legge italiana, infatti, prevede che i titoli già rilasciati siano prolungati fino “alla durata di vita utile del giacimento”, mentre la direttiva 94/22/CE va in direzione opposta, dettando regole chiare per garantire competitività economica e accesso non discriminatorio alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi. In altre parole: libero mercato. In nome del quale la norma europea in questione stabilisce che “la durata dell’autorizzazione non superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata concessa”. Secondo questo principio, quindi, non si possono rilasciare concessioni a tempo indeterminato. “Lo Stato può concedere delle proroghe, ma solo in via eccezionale” spiega a ilfattoquotidiano.it il costituzionalista e coordinatore dei No Triv Enzo Di Salvatore. E pochi giorni fa Barbara Spinelli, eurodeputata del GUE/NGL, ha inviato sull’argomento un’interrogazione alla Commissione europea, chiedendo “se intenda promuovere una procedura di infrazione contro l’Italia”.
LA NORMA ITALIANA E LA DIRETTIVA EUROPEA – Sotto accusa è l’articolo 1, comma 239, della legge 208 del 28 dicembre 2015. Ossia la legge di Stabilità 2016 che consente di protrarre la durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine dalla costa “per la durata di vita utile del giacimento”. Una disposizione che ha cancellato il sistema precedente, basato sul rilascio di concessioni per 30 anni e poi una proroga di 10 anni e di una o più proroghe di 5 anni. Da rilasciare dopo una serie di verifiche. La disposizione attuale, invece, violerebbe la Convenzione di Aarhus e la direttiva 94/22/CE (recepita dall’Italia con il decreto legislativo 625 del 25 novembre 1996), relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. La norma europea prevede che la durata dell’autorizzazione non superi il periodo necessario “per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata concessa”. Lo Stato può prevedere delle proroghe, ma in via eccezionale “se la durata stabilita non è sufficiente per completare l’attività in questione e se l’attività è stata condotta conformemente all’autorizzazione“.
“Scopo della direttiva europea – spiega Di Salvatore – è quello di garantire la competitività del mercato”. Per il costituzionalista, concedendo proroghe senza alcun limite temporale si creano condizioni di oligopolio e si estromettono dal mercato altri operatori. Il principio è molto simile a quello della direttiva Bolkestein, che sta lasciando con il fiato sospeso i titolari di stabilimenti balneari italiani. La Corte di Giustizia dell’Unione europea si pronuncerà, infatti, a breve sulla legittimità della proroga automatica della concessioni demaniali fino al 2020, che sarebbe contraria proprio alla direttiva europea.
L’INTERROGAZIONE ALLA COMMISSIONE EUROPEA – Nei giorni scorsi, Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha inviato alla Commissione europea un’interrogazione scritta che ha come oggetto proprio la norma oggetto del referendum “sospetta di illegittimità, poiché una durata a tempo indeterminato delle concessioni violerebbe le regole del diritto UE sulla libera concorrenza”. Secondo l’eurodeputata “nonostante la Convenzione di Aarhus sia stata ratificata dall’Unione europea nel febbraio 2005 e recepita dall’Italia con decreto legislativo 195 nell’agosto del 2005, l’Italia non ha rispettato i propri obblighi, sanciti dalla stessa Convenzione, di consentire la partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia ambientale nell’adozione della disposizione in esame”. Nell’interrogatorio si chiede dunque se la Commissione non ritenga che la disposizione violi Convezione e direttiva, se intenda promuovere una procedura di infrazione contro l’Italia e se, in ogni caso, intenda esortare il governo italiano a modificare tale comma”.
I NO TRIV E LA MORATORIA – C’è anche un’altra questione ancora aperta per i No Triv: quella delle concessioni scadute in Adriatico “di cui il ministero dello Sviluppoo economico sapeva e rispetto alle quali ha lasciato che l’attività estrattiva andasse avanti in spregio alla legge”. “L’iniziativa contro le trivelle ripartirà con più forza di prima – scrive il coordinamento nazionale No Triv – innanzitutto con la messa in mora del Mise rispetto alle concessioni scadute prima del 31 dicembre 2015, che dovranno cessare la loro attività immediatamente e, in seconda battuta, con una nuova richiesta di moratoria delle attività estrattive, sull’esempio di Francia e Croazia, in attesa di una completa riforma della Strategia Energetica Nazionale”. Dalle parole ai fatti il passo è breve: le associazioni del Comitato per il sì hanno annunciato che presenteranno un ricorso al Ministero dello Sviluppo Economico per chiedere il blocco immediato delle cinque concessioni estrattive entro le 12 miglia. A sentire Enzo Di Salvatore “le concessioni sono scadute da anni. La norma prevede che siano prorogati i titoli vigenti, non quelli scaduti. Di conseguenza le aziende petrolifere stanno continuando ad estrarre senza autorizzazione”