“Proporre in questo modo la previsione di pensione a 75 anni è irragionevole, rischia di sembrare un annuncio e non una criticità da affrontare. Rischia inoltre di passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani con molti che reagiscono dicendo allora non pago più i contributi”. Così il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha commentato le parole del presidente Inps Tito Boeri, che martedì, parlando all’università Cattolica, ha ribadito l’avvertimento lanciato lo scorso dicembre: la “generazione 1980” rischia di dover lavorare fino a 75 anni e prendere un assegno del 25% più basso rispetto ai pensionati di oggi. Questo perché, dalle analisi dell’istituto sulla storia contributiva di un “universo di lavoratori dipendenti, ma anche artigiani” nati in quell’anno è emerso che ognuno di loro in media ha “una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni”.

Vale a dire che mediamente chi oggi ha 36 anni, nel corso della vita lavorativa, non ha pagato i contributi per un biennio. Molti hanno “buchi” ancora più ampi. Di conseguenza dovranno aspettare di più per aver diritto all’assegno. Che sarà pure leggerissimo: nello scenario peggiore – contributi non pagati per 10 anni – sotto i 750 euro per circa il 40% delle donne e il 23% degli uomini, stando alle simulazioni fatte ipotizzando che il pil cresca in media dell’1%. E la data di uscita si sposta dal 2050, data ufficiale per la classe ’80, al “2052, 2053 o anche – seppure per un quota limitata di lavoratori – 2055”. “Non voglio terrorizzare ma solo rendere consapevoli dell’importanza della continuità contributiva”, ha detto Boeri, invitando i giovani a “non lasciarsi illudere da situazioni con un salario netto più alto ma in cui il datore di lavoro versa pochi contributi previdenziali”.

Ma secondo Camusso le frasi dell’economista si prestano a essere interpretate non come un allarme ma come “un annuncio“, appunto. Invece “è proprio per evitare questa situazione che abbiamo aperto la vertenza sulle pensioni – spiega la leader Cgil – Questo è un sistema ingiusto che scarica la disoccupazione sulle spalle dei singoli e si basa solo sull’aspettativa di vita. Vedere ogni singolo aspetto come un costo impedisce una riforma complessiva del sistema che preveda investimenti che non sono costi: bisogna ricostruire il sistema per i giovani bisogna superare la differenza tra tutelati e non”.

Sul tema pensioni è intervento martedì anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, aprendo all’ipotesi di un intervento sulla flessibilità: “Sicuramente ci sono margini per ragionare su strumenti e incentivi per migliorare le opportunità per chi vuole andare in pensione e per chi entra nel mercato del lavoro”. Per quel che mi riguarda, ha detto ancora, “sono aperto a fonti di finanziamento complementare che si possono studiare. Il Def non esclude queste cose, le rinvia al dibattito dei prossimi mesi. Le misure andranno viste nel loro insieme con la prossima legge di stabilità”.

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