Piercamillo Davigo, dopo l’inchiesta di Potenza Renzi parla di “25 anni di barbarie giustizialista”, mentre Napolitano denuncia un “riacutizzarsi” del conflitto politica-giustizia e invoca la riforma delle intercettazioni.
Non commento le dichiarazioni del presidente del Consiglio. Ma è una vecchia storia, questa del ‘giustizialismo’ e del ‘conflitto’. Non c’è nessuna guerra. Noi facciamo indagini e processi. Se poi le persone coinvolte in base a prove e indizi che dovrebbero indurre la politica e le istituzioni a rimuoverle in base a un giudizio non penale, ma morale o di opportunità, vengono lasciate o ricandidate o rinominate, è inevitabile che i processi abbiano effetti politici. Se la politica usasse per le sue autonome valutazioni gli elementi che noi usiamo per i giudizi penali e ne traesse le dovute conseguenze, processeremmo degli ex. Senza conseguenze politiche.
Il conflitto fra politica e magistratura è fisiologico?
Le frizioni fra poteri dello Stato sono la naturale conseguenza della loro separatezza e indipendenza. Chi vuole che tutti i poteri vadano d’amore e d’accordo dovrebbe proporre il ritorno alla monarchia assoluta, dove il sovrano deteneva tutti i poteri senz’alcun conflitto: il re era sempre d’accordo con se stesso. È questo che vogliono? Io, se non ci fosse tensione fra politica e giustizia, mi preoccuperei.
Napolitano e Renzi reclamano una legge che vi imponga di espungere dagli atti le intercettazioni penalmente irrilevanti o riguardanti i non indagati, così i giornali non potranno più pubblicarle.
Non ne vedo la necessità. Bastano e avanzano le norme sulla diffamazione e sulla privacy, che puniscono chi mette in piazza fatti davvero privati e privi di interesse pubblico: si possono sempre aumentare le pene, specie per la violazione della privacy, ma poi si va a sbattere contro la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che sconsiglia lo strumento penale contro la libertà di stampa. E, soprattutto, ha già affermato che, quando un giornalista pubblica notizie anche penalmente irrilevanti, ma moralmente importanti, su personaggi pubblici, non può essere punito.
Ma la legge dice che dovete essere voi magistrati a cancellare dagli atti le conversazioni extra-penali.
A parte il fatto che una conversazione può essere irrilevante ai fini del reato per cui si procede e non di un altro per cui è comunque lecito procedere. Ma poi, chi decide cosa mettere o togliere? Il pm? Il gip? E i diritti della difesa chi li tutela? Mi meraviglia che questi discorsi vengano da chi sbandiera garantismo un giorno sì e l’altro pure: ma lo sanno o no che ciò che è irrilevante per il pm o per il giudice può essere rilevantissimo per il difensore? Esempio: Tizio intercettato racconta una sua serata con un trans. Tutti diranno: orrore, privacy, bruciare tutto! Già, e se poi quella serata col trans serve a uno dei due interlocutori come alibi per provare che la sera di un delitto erano altrove? Siccome l’alibi è stato distrutto, l’innocente rischia la condanna. Bel garantismo.
A Potenza si procede anche per traffico d’influenze illecite, reato istituito nel 2012 con la Severino per punire chi usa amicizie o vicinanze con un pubblico ufficiale per farsi dare soldi o altre utilità da chi vuole favori leciti o illeciti da quest’ultimo.
E mica l’hanno scritta i giudici, quella legge. Era per ottemperare alla Convenzione Ue anticorruzione, ratificata dall’Italia nel 1999 e mai attuata, anche se forse bastava ritoccare le norme sul millantato credito. Non entro nei processi in corso. Ma è ovvio che, per processare Tizio per la sua influenza su Caio, e Caio, si debba verificare quali rapporti aveva con Caio.
Dicono: le raccomandazioni son vecchie come il mondo.
E io rispondo: le raccomandazioni sono reato in tutta Europa, tant’è che la Convenzione Ue ratificata da tutti gli Stati, buon’ultima l’Italia, prevede il traffico d’influenze.
Violante dice che le cronache politiche sembrano ormai mattinali di questura.
Perché processiamo gente abbarbicata alla poltrona, che nessuno si sogna di mandare a casa malgrado condotte gravissime.
Aspettano la Cassazione: Renzi ricorda la presunzione d’innocenza, per lui conta solo la sentenza definitiva.
Ma la presunzione d’innocenza è un fatto interno al processo, non c’entra nulla coi rapporti sociali e politici. Ha presente il professore universitario che faceva sesso con le allieve, e sempre prima degli esami (e mai dopo, il che esclude che fossero innamorate di lui)? L’hanno assolto e il preside s’è detto ansioso di riaverlo in cattedra. Come se un fatto penalmente irrilevante non fosse deontologicamente disdicevole. Ecco, i politici ragionano così.
Che dovrebbero fare?
Smetterla di delegare ai magistrati la selezione delle classi dirigenti, e poi di lamentarsi pure. Dicono: aspettiamo le sentenze. Poi, se arriva la condanna, strillano. Se il mio vicino di casa è rinviato a giudizio per pedofilia, io mia figlia di sei anni non gliel’affido quando vado a far la spesa. Poi, se verrà scagionato, si vedrà. La giustizia è una virtù cardinale: ma anche la prudenza! Tutti, al posto mio, si comporterebbero così. Perché ciò che vale nella vita quotidiana non vale nel mondo politico-imprenditoriale?
Appena è esplosa l’inchiesta di Potenza, Renzi ha accusato la Procura di non arrivare mai a sentenza.
Ma che discorso è? Tutte le inchieste arrivano a sentenza. Che può essere di condanna, di assoluzione o di non doversi procedere per prescrizione. Se intende lamentare un eccesso di prescrizione, può modificarne le norme.
Il governo dice di averlo fatto almeno per la corruzione.
In realtà ha aumentato un po’ le pene, dunque ha un pochino allungato la prescrizione. Ma il problema è rimasto pressoché inalterato: abbiamo una prescrizione relativamente lunga prima che il reato venga scoperto, e scandalosamente breve dal momento in cui iniziano le indagini. Per i reati puniti fino a 6 anni, compresi molti contro la PA, è di 6 anni, prorogabile al massimo fino a 7 anni e mezzo (dal giorno in cui il reato è stato commesso, s’intende): se il delitto viene scoperto dopo 6 anni, restano 18 mesi per indagini, udienza preliminare e tre gradi di giudizio. Le pare serio? Il nostro sistema, dopo il dimezzamento dei termini causato dalla ex-Cirielli, è stato dichiarato illegittimo dalla Corte di giustizia europea per le frodi comunitarie, con l’invito ai giudici italiani a disapplicarlo. Così abbiamo un doppio binario: i reati contro l’Ue non si prescrivono mai, tutti gli altri quasi sempre. Basta una norma di una riga che sospenda la prescrizione col rinvio a giudizio, o almeno con la prima sentenza: perché non la fanno?
Renzi dice che dovete lavorare di più.
Mettere in relazione la durata dei processi con l’accusa ai giudici di essere dei fannulloni è un’offesa e una bugia. Segnalo i dati della Commissione del Consiglio d’Europa sull’efficienza della giustizia: i giudici italiani, su 47 Stati membri, sono quelli che lavorano di più. Il doppio dei francesi e il quadruplo dei tedeschi. Se i processi durano troppo è perché se ne fanno troppi e con troppi gradi e fasi di giudizio. Invece di lanciare accuse infondate, i politici facciano qualcosa per scoraggiare il contenzioso e i ricorsi, così calerebbe il numero dei processi. E siano più severi con chi viola la legge e più attenti ai diritti delle vittime, così calerebbero i reati.
Napolitano vi chiede di “collaborare” con la politica.
Se collaborare vuol dire fornire un apporto tecnico, come fa per statuto il Csm, alle leggi in discussione sulla giustizia, l’abbiamo sempre fatto. Poi però noi magistrati facciamo un mestiere diverso: se prendiamo un politico che ruba, dobbiamo processarlo. Non collaborare.
Come valuta la deregulation renziana sui reati fiscali? Dal tetto alzato a 3 mila euro per i pagamenti in contanti alle soglie più alte di non punibilità per l’evasione?
Parlamento e governo sono liberi di fare le leggi che vogliono. Anche di depenalizzare i reati tributari, se l’Europa glielo permette. Ma non possono dire che così combattono l’evasione fiscale.
L’inchiesta di Potenza fa molto discutere anche perché, secondo alcuni, si rischia di processare la tal legge, il tal emendamento, violando l’insindacabilità dei parlamentari.
Del caso concreto non parlo. Ma, in linea di principio, la Costituzione tutela il parlamentare nell’esercizio delle funzioni quando vota, non quando prende mazzette o riceve favori per votare. In uno Stato di diritto, nessuno è al di sopra della legge.
Renzi s’è scandalizzato perché è stato intercettato il capo di Stato maggiore della Marina, “mettendo a rischio la sicurezza nazionale”.
Quand’ero militare, mi insegnarono che è vietato trattare argomenti classificati al telefono. Ergo, chi intercetta un militare non può mai violare alcun segreto: semmai, accertare una violazione del segreto da parte di chi dovrebbe custodirlo.
Nota differenze fra questo governo e quelli precedenti nel rapporto con la magistratura e la legalità?
Qualche differenza di linguaggio, ma niente di più: nella sostanza, una certa allergia al controllo di legalità accomuna un po’ tutti. Paolo Mieli mi ha detto che ho sempre litigato con tutti i governi. Gli ho risposto che è un segno di imparzialità. Sa, io ho subìto molti processi penali e non mi sono mai messo a strillare: mi sono difeso nel processo. E sono sempre stato archiviato. Non perché fossi un magistrato: perché ero innocente. Capisco che chi finisce imputato non gradisca, ma chi ricopre cariche pubbliche non deve mai usarle per tutelare i suoi interessi personali o per invocare trattamenti privilegiati.
Giuliano Ferrara spera che lei sia un presidente Anm così forte e rappresentativo da firmare la pace con la politica. Come l’israeliano Begin con l’egiziano Sadat.
Se vuol dire che tengo unita la magistratura, lo prendo come un complimento. Se qualcuno pensa che io sia qui per svendere la magistratura e la legalità, si sbaglia di grosso. L’Anm deve tutelare l’indipendenza dei magistrati, non asservirli alla politica.
da Il Fatto Quotidiano del 20 aprile 2016