Carlotta De Franceschi è un’economista stimata, laureata alla Bocconi, attiva per anni in alcune prestigiose merchant bank (Goldman Sachs, Morgan Stanley e Credit Suisse) prima di approdare a palazzo Chigi. Come consulente del governo Renzi si è occupata della riforma delle banche popolari, nel febbraio del 2015. A fine agosto scorso il suo contratto è scaduto e non è stato rinnovato a causa di rapporti non oliatissimi con il sempre più litigioso “giglio magico”. I suoi rapporti con il premier sono rimasti ottimi, ed è indicata tra i compagni di avventura del viaggio di Renzi di questi giorni in Messico e Stati Uniti.

Grazie alle, queste sì, oliatissime porte girevoli che tanto piacciono alla politica italiana, De Franceschi sarà con tutta probabilità eletta nel consiglio d’amministrazione di Veneto Banca all’assemblea del prossimo 5 maggio. La consulente che ha aiutato il governo a riformare le popolari va a occupare una poltrona in una delle principali banche riformate. Se fosse stata sottosegretario, secondo la pur blanda legge Frattini sul conflitto d’interesse, una simile nomina le sarebbe stata vietata per un anno dopo l’uscita di palazzo Chigi. Ai consulenti tutto è invece consentito. Con effetti paradossali.

Gli azionisti che l’hanno messa in lista si battono per la trasparenza nella gestione di una banca quasi azzerata dalla mala gestione passata. Li capeggia un magistrato, l’ex presidente del tribunale di Treviso, Luigi Schiavon. In testa alla lista avviata a trionfare all’assemblea c’è l’avvocato torinese Stefano Ambrosini, destinato alla presidenza e quindi a mandare a casa l’uscente Pierluigi Bolla. Ma con Bolla rischia di rimanere fuori dal consiglio d’amministrazione dell’istituto di Montebelluna anche l’attuale amministratore delegato Cristiano Carrus, che l’estate scorsa ha preso il posto del padre-padrone Vincenzo Consoli, l’uomo considerato responsabile della profonda crisi della banca, esattamente come Gianni Zonin alla Popolare di Vicenza.

Gli azionisti capitanati da Schiavon hanno però il problema che Carrus è l’uomo indicato dalla Bce, che nei giorni scorsi ha dato la perentoria indicazione di volere continuità al vertice. Sentendosi investito dalla benedizione di Francoforte, Carrus ha lavorato per arrivare a una lista unica, offrendo ai “ribelli” 6 posti in consiglio su 11. Non si è raggiunto l’accordo sui nomi perché a Schiavon non sono piaciuti alcuni nomi sui quali Carrus manifestava una sospetta insistenza, e soprattutto perché per la lista degli azionisti insoddisfatti l’obiettivo principale è proprio il ridimensionamento dell’amministratore delegato.

La scassata Veneto Banca ha bisogno di un miliardo di aumento di capitale che nei disegni originari doveva avvenire prima dell’assemblea: avrebbe quindi, sul modello della Popolare di Vicenza, diluito in modo selvaggio i vecchi azionisti e consegnato subito il controllo della banca ai sottoscrittori delle nuove azioni, verosimilmente Intesa Sanpaolo che ha assunto l’impegno per il consorzio di garanzia. Invece l’assemblea si fa prima. Il gruppo di Schiavon ha ottenuto dalla Bce un via libera informale sull’idea di dare allo strapagato Carrus (1,3 milioni all’anno) la direzione generale con tutti i poteri di gestione, tenendolo però pienamente subordinato a un consiglio d’amministrazione nel quale potrebbe persino non entrare, secondo l’andamento delle votazioni.

Il clima è talmente teso che un azionista ignoto ma qualificato ha presentato alla procura della Repubblica un esposto: pare che azionisti indebitati con la banca vengano convocati e sollecitati a firmare deleghe in bianco per l’assemblea. Un tentativo di spostare i voti da una lista all’altra già denunciato in occasione dell’ultima adunata dei soci, lo scorso dicembre. Nel concitato scambio di veleni non poteva mancare l’accusa al gruppo di Schiavon di usare armi improprie schierando la “consulente di Renzi” che è proprio la madrina della riforma delle Popolari.

Da Il Fatto Quotidiano del 23 aprile 

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