Il primario, gli infermieri, una registrazione segreta e il sospetto che il polverone sollevato dal caso della gara sulla pelle dei pazienti al Pronto Soccorso di Vicenza sia, se non inventato, perlomeno frutto di qualche forzatura. Qual è la verità sui fatti del San Bortolo di Vicenza? Si è trattato per davvero di una competizione a chi infilava la cannetta o l’ago più grosso nei corpi dei malati, segnando il punteggio su un tabellone, come sembra dimostrato da un disinvolto, se non folle scambio di messaggi su Whatsapp? Le carte del processo intentato dall’Ulss 6 berica a due medici e sei infermieri, conclusosi solo con due sanzioni (a un medico e a un infermiere in servizio) fanno emergere una ricostruzione perlomeno controversa.
A gettare il sasso nello stagno, dopo l’intervento del presidente della Regione Luca Zaia, che ha inviato una segnalazione alla procura della Repubblica, è il sindacato delle professioni infermieristiche Nursind. Sostiene che il primario del Pronto Soccorso avrebbe calcato la mano, dichiarando senza fondamento, che medici e infermieri avrebbero ammesso l’esistenza della gara. Ma gli stessi hanno tirato fuori dal cilindro una registrazione che smentirebbe il dottor Vincenzo Riboni e che la stessa commissione di disciplina dell’Ulss 6 ha valorizzato per assolvere un medico e cinque infermieri.
Il 21 gennaio scorso è il primario a chiedere all’Ufficio disciplinare dell’Ulss di avviare il procedimento. Fa riferimento a quanto emerso l’11 gennaio precedente quando ha convocato nel suo studio medici e infermieri per discutere dello scambio di messaggi avvenuto il 3 dicembre 2015, “che avrebbe evidenziato la volontà di realizzare una gara a punti per l’utilizzo di aghi o cannule delle maggiori dimensioni possibili nel trattamento dei pazienti del Pronto Soccorso”. Il 27 gennaio l’avvocato Laura Tedeschi, dirigente dell’Ufficio affari legali dell’Ulss 6, formula l’accusa. Si contesta agli “amici di Maria” (così si chiamava il gruppetto) di aver usato aghi e cannule “a prescindere dalle indicazioni cliniche del caso e dal rispetto delle regole in materia di appropriatezza nell’impiego dei dispositivi medici”.
Il giorno della lavata di capo, premessa della denuncia, è l’11 gennaio quando il primario convoca medici e infermieri. Contesta quanto aveva saputo dopo che uno di loro si era confidato con un collega, temendo il licenziamento. Secondo gli infermieri “il verbale di sintesi redatto in occasione dell’incontro, a firma del dr. Riboni, che fa riferimento ad ammissioni dei fatti da parte di alcuni partecipanti, non riporta fedelmente il contenuto delle dichiarazioni che in tale sede sono state rese” dagli operatori sanitari. Il verbale era invece diventato una prova d’accusa. Il 23 febbraio medici e infermieri si presentano per discolparsi. Sostengono (la ricostruzione è nella sentenza dell’Ulss 6) che il 2 dicembre, durante una cena, “si è discusso della differenza tra le funzioni del medico e dell’infermiere di pronto soccorso”, ma “non si è mai ipotizzato di svolgere una gara a punti… i messaggi scambiati si inseriscono in un contesto scherzoso relativamente alle abilità di medici ed infermieri a reperire gli accessi venosi”.
Ed ecco spuntare la registrazione. Gli infermieri l’hanno effettuata all’insaputa del primario. Il dialogo viene ascoltato dall’Ufficio disciplinare. E così l’avvocato Tedeschi scrive nella sentenza interna: “La trascrizione, la cui fedeltà è stata verificata tramite l’ascolto diretto, evidenzia come nessuno dei presenti abbia ammesso di aver ideato e poi realizzato una gara a punti avente ad oggetto l’utilizzo di aghi e cannule per prelievi e infusioni da effettuarsi sui pazienti e come gli operatori coinvolti abbiano giustificato il tenore dei messaggi scritti come uno scambio di battute scherzose in ordine alle capacità/incapacità dei medici e degli infermieri di reperire accessi venosi”. Poiché nelle cartelle cliniche non rimane traccia delle cannule e degli aghi usati, e considerato che nessun paziente si era lamentato, è scattata l’assoluzione per 6 degli 8 dipendenti. Solo per due (gli unici in servizio il 3 dicembre 2015) è rimasta una sanzione di censura o ammonimento scritto per uso improprio del cellulare di servizio.
Poiché la Procura di Vicenza indaga, dopo l’esposto di Zaia, ecco che il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega, e il segretario provinciale Andrea Gregori, contrattaccano: “Il documento ufficiale di chiusura del provvedimento, che è la versione ufficiale dell’Ulss 6, dimostra che le accuse rivolte sono frutto di una intenzionale volontà di riferire circostanze non vere. L’ipotesi di una gara è stata presente solo nella mente di chi ha accusato. Convocati a gennaio ed ignari di cosa fossero chiamati a rispondere, i dipendenti hanno negato la versione dei fatti che si voleva loro attribuire. Non c’è stata la volontà di ascoltare, bensì solo quella di colpire indipendentemente dalla verità”. E in tono ancor più duro: “Gli otto sono stati giudicati e assolti, chi non è stato giudicato è chi ha dichiarato il falso, chi infanga il buon nome della sanità pubblica, dell’ospedale di Vicenza e dei suoi dipendenti”.