El Nino è stato miracoloso per i Talebani, ha regalato all’Afghanistan il miglior raccolto di oppio degli ultimi dieci anni. L’arrivo delle piogge durante la stagione della crescita del papavero ha infatti fertilizzato il terreno. Ma anche l’abbandono della politica di eradicazione di questa coltura, decisione presa dal governo per ingraziarsi i contadini, ha contribuito all’annata di abbondanza. Il motivo è semplice: l’anno scorso, in media i coltivatori di oppio afghani hanno prodotto 18 kg di oppio per ettaro. Secondo le stime dell’agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine un chilo di oppio ha fruttato loro 200 dollari mentre un chilo di fagioli, una delle colture alternative al papavero, ha generato appena un dollaro. Facile intuire perché il governo ha abbandonato la politica di eradicazione del papavero e perché tutti i contadini lo vogliono coltivare.
A promuovere questa politica, che invece ha ben funzionato in Colombia dove però la differenza tra i guadagni generati dalle colture alterative e dalla coca era minima, sono stati gli Stati Uniti che tra il 2002 e la metà del 2015 gli Stati Uniti ha investito 8,5 miliardi di dollari nei diversi programmi volti a eradicare la produzione di papavero. E’ però anche vero che la produzione di oppio è concentrata principalmente nella regione di Helmand, a sud del paese, e quasi la metà di questa proviene dagli altopiani situati nell’Helmand occidentale, regione ormai da tempo controllata dai Talebani che da tempo la promuovono.
Mentre negli anni Novanta, quando i Talebani erano al potere, la produzione di oppio era poco tollerata dal regime di Kandahar, durante gli anni della missione Nato, e cioè dal 2002 al 2014 questa è cresciuta. Nel 2014, quando la Nato ha lasciato l’Afghanistan, secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite il raccolto di oppio è stato da record. L’Afghanistan ha prodotto il 90 per cento del fabbisogno di “oppiacei illeciti al mondo”. Si tratta ormai di un’industria che è diventata la fonte primaria delle esportazioni del paese, nel 2014 contribuiva per il 13 per cento al Pil nazionale. Sebbene nel 2015 si sia registrata una flessione della produzione di oppio del 19 per cento, dovuta alle pessime condizioni climatiche, nel 2016 ci si aspetta un aumento del 50 per cento rispetto all’anno precedente.
Il commercio degli oppiacei è la fonte principale delle entrate dei Talebani con la quale finanziano la guerra contro il governo di Kabul. Secondo stime delle Nazioni Unite, nel 2014 la produzione di oppio ha fruttato circa 2,8 miliardi di dollari, cifra che nel 2016 salirà a 3 miliardi di dollari. I Talebani gestiscono questa la fonte di ricchezza, e cioè gli agricoltori che la producono e le comunità a loro legate, con uno stile particolare che potremmo definire a metà strada tra un governo in esilio ed in attesa di tornare al potere e la cupola di un’organizzazione mafiosa.
Ad esempio, a primavera i Talebani hanno sospeso le ostilità con il governo afghano per partecipare al raccolto dell’oppio. I combattenti si sono mischiati con i contadini ed i braccianti. Durante il raccolto hanno condotto campagne di reclutamento tra i braccianti, circa 15.000 persone, la maggior parte delle quali è disoccupata, mostrando loro il lato positivo della lotta talebana ed offrendo loro un buon salario annuale in cambio dell’adesione ai loro battaglioni. Gli stessi Talebani, però, si sono presentati alla fine del raccolto dagli agricoltori per riscuotere la tassa sul raccolto. Chi non paga ne subisce le conseguenze. I Talebani raccolgono anche la tassa islamica, la ushir, che teoricamente dovrebbe andare ad aiutare i meno abbienti ed i poveri, ma spesso viene intascata dai capitani Talebani che la raccolgono.
Non sono solo i talebani a beneficiare del commercio degli oppiacei. Anche i funzionari del governo impongono una tassa nei distretti da loro controllati dove si produce l’oppio. Gli agricoltori pagano 5.000 rupie pakistane, circa 50 dollari, per ettaro di papaveri.
Tutta l’economia del paese dipende dalla produzione di oppio ed anche i poteri forti: polizia, governo e Talebani, dipendono da questa industria sfruttandone tutti i livelli, dal contadino fino al contrabbandiere. Talebani e poliziotti riscuotono pedaggi ai posti di blocco per attraversare i territori e le regioni da loro controllati. Spesso ai contrabbandieri che vi transitano viene offerto anche un servizio di scorta fino al confine Pakistan e l’Iran in cambio di oppio, eroina o somme addizionali di denaro.
A 15 anni dall’invasione dell’Afghanistan, dunque, non possiamo che fare un bilancio negativo dell’intervento militare in questo paese. Difficile formulare un’alternativa politica che migliori la situazione, una strategia che metta fine alla dipendenza economica dell’Afghanistan dagli oppiacei illegali. Forse andrebbe rispolverata una vecchia proposta che suggeriva di acquistare tutta la produzione di oppio per l’industria farmaceutica mondiale, che guarda caso è costantemente a corto di questo tipo di prodotti.