“In trent’anni in Veneto ci sono stati 1260 morti in più”. E’ la conclusione di uno studio firmato da Enea e da Medici per l’ambiente sull’inquinamento da Pfas in Veneto, un’emergenza per cui il governatore Luca Zaia ha appena chiesto al governo uno stanziamento straordinario da 200 milioni di euro. Gli effetti sulla salute di queste sostanze erano già state dimostrate dai primi studi effettuati negli Usa dal 2001, grazie alle indagini sull’inquinamento causato dalla multinazionale DuPont nel fiume Ohio. I Pfas, i composti perfluoroalchilici che hanno contaminato più di 60mila veneti, secondo lo studio indipendente C8 Health Project (interamente finanziato dall’azienda in seguito a una class action dei cittadini americani) hanno azione cancerogena e fungono da interferenti endocrini, e tra le patologie correlate risultano tumori del testicolo e del rene, colesterolo alto, malattie della tiroide, ipertensione in gravidanza, colite ulcerosa ed eclampsia (sindrome da convulsioni).
Ora, a indagare la mortalità nella popolazione dei comuni veneti colpiti dall’emergenza Pfas, arriva uno studio condotto da un gruppo di lavoro congiunto dell’Enea (l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e dell’Isde, l’associazione internazionale dei medici per l’ambiente. I risultati, illustrati lo scorso 5 maggio a Roma, sono inquietanti: “In trent’anni in Veneto ci sono stati 1260 morti in più. Abbiamo riscontrato un’alterazione del metabolismo della tiroide – spiega a ilfattoquotidiano.it uno degli autori dello studio, il dottor Edoardo Bai – in modo statisticamente significativo sia negli uomini che nelle donne, con aumento di infarti del miocardio, diabete e malattie cerebrovascolari come l’ictus. Inoltre nelle donne risulta anche un aumento della malattia di Alzheimer e, nei comuni contaminati da Pfos, del tumore al rene. Tutte patologie Pfas-correlate”.
Lo studio epidemiologico, firmato dai ricercatori Marina Mastrantonio, Raffaella Uccelli e Augusto Screpanti dell’Enea insieme a Edoardo Bai, Vincenzo Cordiano e Paolo Crosignani dell’Isde, è basato sui dati della banca epidemiologica Enea (collegata ai censimenti Istat) e prende in considerazione l’area delle provincie di Padova, Verona e Vicenza in cui l’Arpa Veneto ha individuato la contaminazione da Pfas. In particolare, sono stati presi in considerazione un campione di 143mila abitanti dei 24 comuni con superamenti dei valori di Pfas (oltre 500 ng/l), un campione di 131mila abitanti dei 19 comuni con superi dei valori di Pfos, il più tossico dei composti (oltre 30 ng/l), e un’area di controllo di 643mila abitanti di comuni veneti non interessati dalla contaminazione.
“I risultati dello studio – rilevano gli autori – sono indicativi dell’esistenza di un rischio per la popolazione esposta”. In conclusione, i ricercatori Enea-Isde chiedono di “ridurre al minimo l’esposizione mediante provvedimenti sull’acqua potabile e sulle emissioni in aria dell’azienda”. E nonostante “i limiti intrinseci della ricerca – come scrivono gli stessi autori – basata su un approccio ecologico”, gli studiosi confermano la gravità dell’emergenza Pfas in Veneto, invitando a condurre nelle aree contaminate “indagini epidemiologiche di tipo analitico”.