La sua sembrava una storia da fiaba, di quelle da portare nelle scuole calcio per spiegare come ce la si possa fare nuotando controcorrente. Una storia di periferia, povertà e problemi famigliari, quella di Armando Izzo, su cui ora si staglia un’ombra, con le inchieste della Dda napoletana e la sua iscrizione nel registro degli indagati. Il difensore del Genoa e della Nazionale nasce a Scampia, insegue un pallone per le strade ‘sgarrupate’ della periferia napoletana come migliaia di altri ragazzi. Ma ha talento, si vede, e papà Enzo, che se ne andrà pochi anni dopo in seguito a una malattia, lo porta all’Arci Scampia, uno dei simboli della lotta all’emarginazione e alla Camorra nella periferia del capoluogo campano. Lì nasce l’Armando Izzo calciatore, nonostante manchino persino i soldi per la retta. A 11 anni finisce nelle giovanili del Napoli, vince lo scudetto con la Berretti, assaggia la Serie A con Walter Mazzarri. Nel mezzo aveva anche deciso di dire addio al calcio, dopo la prematura scomparsa del padre, per dare una mano alla madre e ai quattro fratelli. Lo hanno aiutato, soprattutto il suo procuratore Paolo Palermo, e alla fine ce l’ha fatta. Triestina, Avellino, poi la grande chance con il Genoa e le porte di Coverciano che si aprono grazie alle ottime prestazioni il club rossoblù.
Oggi l’accusa più grave in quella che era stata finora un’esemplare storia di riscatto grazie al calcio: “Concorso esterno in associazione mafiosa”. Izzo, secondo il racconto dei pentiti, avrebbe dato una mano al clan dei Vinella Grassi, con il quale è imparentato, per combinare due partite di Serie B, ai tempi dell’Avellino. E si sarebbe reso disponibile, alcune stagioni prima, per farlo anche quando giocava con la Triestina. Di più: secondo il racconto di uno dei boss del clan di Secondigliano, avrebbe voluto anche affiliarsi. Fu lo zio, il marito della sorella di sua madre, tra i presunti capi dei Vinella Grassi, a dire di no. Troppo talentuoso, Armando, meglio proseguire sul prato verde. Ma, secondo gli investigatori, i rapporti con la camorra avrebbero comunque avuto un’evoluzione, almeno due volte, proprio su quel campo da calcio che sembrava averlo allontanato dalla cattiva strada.
Il primo contatto ai tempi della Triestina
Il nome di Izzo torna spesso negli interrogatori di Antonio Accurso, boss della Vinella Grassi tra il 2007 e il 2010 e ora collaboratore di giustizia. “È un nostro parente, essendo nipote di Salvatore Petriccione. Già quando militava nella Triestina, vi fu un abbozzo di combine in cui mio fratello Umberto accompagnato da Mario Pacciarelli andarono a Trieste sapendo che la società non pagava gli stipendi ai giocatori per vedere se si poteva far qualcosa, ma senza risultato”. E proprio Pacciarelli, anche lui pentito, ricostruisce quell’incontro: “Nei giorni in cui rimanemmo lì Izzo non fece nulla, perché disse che ci voleva tempo, era una cosa delicata. Poi partimmo rimanendo d’accordo con Izzo che ci avrebbe fatto sapere, con un’ambasciata o un messaggio, che esito aveva avuto questa trattativa sulla sconfitta della Triestina”. Qualche giorno dopo, secondo il racconto di Pacciarelli, Umberto Accurso riceve un sms da Izzo: “OK”. Tuttavia, Accurso, “non volle puntare una cifra rilevante su questa OK, ma la Triestina perse la partita immediatamente successiva – spiega il pentito – Non ricordo con quale squadra giocò. Pensammo che fosse legato all’OK di Izzo, e ci rammaricammo”. Poi prosegue: “Non ricordo il passaggio successivo, ma credo che Izzo fosse sceso giù a Napoli e chiese se avessimo giocato, ma Umberto gli disse che non aveva capito il messaggio che gli aveva mandato e quindi non aveva puntato sulla sconfitta della Triestina. La cosa mi fu spiegata da Umberto. Izzo voleva i soldi ed Umberto a dirgli che noi non avevamo giocato. Non so quanti soldi volesse Izzo. Costui ci rimase male, non venne poi fatto altro tentativo”.
Le due presunte combine
La disponibilità di Izzo però, secondo la ricostruzione della Dda, porta a combinare due partite nel maggio 2014. La sconfitta con il Modena e la larga vittoria con la Reggina. Nonostante il no di Fabio Pisacane, ambasciatore Fifa per aver rifiutato di ‘aggiustare’ una partita finita nell’inchiesta Last Bet, e Andrea Seculin, che secondo quanto riferito dai pentiti “venne preso per il petto” da un compagno di squadra dopo aver detto di no. Izzo, Millesi, Pini e Peccarisi riescono comunque a influire sul risultato delle due partite in cambio di soldi. Il match gli emiliani rischiò di saltare, secondo le dichiarazioni di Accurso, perché Izzo, non al meglio fisicamente, non venne schierato.
“Il sabato pomeriggio, alle 14.30 circa, mezz’ora prima della partita, venimmo a sapere da Pini che Izzo non avrebbe giocato. Noi avevamo già piazzato tutte le puntate, per un totale di 400mila euro, ed eravamo allarmati – racconta il pentito – Ma Millesi, tramite Pini, ci tranquillizzò”. Le cose sarebbero andate così: “Ho saputo che Izzo e Millesi si confrontarono alla fine del primo tempo, per come io e gli altri della Vinella vedemmo nelle immagini in diretta di Sky, poi Millesi parlò con Peccarisi (schierato al posto di Izzo, nda). Quando io e Millesi ci rincontrammo, mi raccontò nel dettaglio quanto era avvenuto, cioè che lui nell’intervallo si era preso per il braccio Peccarisi e gli disse che doveva far fare gol al Modena. Promise dei soldi a Peccarisi”. Gli emiliani passarono in vantaggio nei primi minuti del secondo tempo. Il clan incassa, i giocatori anche: “Da Armando Izzo seppi poi la domenica mattina che i 30mila euro che noi demmo per questa partita furono così divisi: Millesi prese 6mila euro, altri 6mila andarono a Izzo, 3000 a Luca Pini e 15mila a Peccarisi. Izzo se ne lamentò pure, dicendo che la prossima volta avremmo dovuto dare a lui la quota che gli spettava. Io gli dissi di non preoccuparsi”.
“Voleva affiliarsi, lo zio si oppose”
Sempre secondo i collaboratori di giustizia, la presunta disponibilità di Izzo non sarebbe il primo abboccamento al mondo della criminalità. Tra il 2007 e il 2009, secondo i ricordi di Accurso, l’attuale difensore del Genoa “non voleva più giocare a pallone e voleva affiliarsi con noi”. Una ricostruzione dettagliata da Pacciarelli. “Quando c’era Gaetano Petriccione in libertà, voleva diventare un affiliato della Vinella Grassi, disse anzi a Gaetano, che voleva fare “il suo ragazzo”, affiancarlo cioè in attività criminali ed all’epoca Gaetano, pur minorenne ed era anche suo coetaneo, già era ‘piazzato’ criminalmente”.
Gaetano è il cugino di Izzo, il figlio della sorella di sua madre. Lo zio, Salvatore O’ Marenar, è uno dei presunti boss del clan: “Fece giungere al figlio un’ambasciata dal carcere, dicendo che Armando Izzo, avendo un talento come giocatore di calcio, doveva seguire questa vocazione – mette a verbale Pacciarelli – come avrebbe desiderato il padre di Izzo, che era deceduto. Dunque fu O’Marenar a non volerlo nella Vinella”. Se le accuse verranno confermate, la fiaba di Armando Izzo, partito dalla periferia napoletana, finisce qui. Di certo colpisce al cuore le centinaia di bambini che tirano calci a un pallone sui campi dell’Arci Scampia inseguendo il sogno di farcela, proprio come lui. Magari con un lieto fine vero.
twitter: @andtundo
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Armando Izzo, da calciatore dell’Arci Scampia (simbolo anticamorra) all’inchiesta per concorso esterno
Nell'inchiesta sulle partite truccate in serie B è coinvolto anche il calciatore del Genoa, che sembrava aver raggiunto il coronamento della sua fiaba calcistica con la convocazione di Antonio Conte per gli Europei. Secondo gli inquirenti avrebbe dato una mano al clan Vinella Grassi, con cui è imparentato, per combinare due match quando militava nell'Avellino
La sua sembrava una storia da fiaba, di quelle da portare nelle scuole calcio per spiegare come ce la si possa fare nuotando controcorrente. Una storia di periferia, povertà e problemi famigliari, quella di Armando Izzo, su cui ora si staglia un’ombra, con le inchieste della Dda napoletana e la sua iscrizione nel registro degli indagati. Il difensore del Genoa e della Nazionale nasce a Scampia, insegue un pallone per le strade ‘sgarrupate’ della periferia napoletana come migliaia di altri ragazzi. Ma ha talento, si vede, e papà Enzo, che se ne andrà pochi anni dopo in seguito a una malattia, lo porta all’Arci Scampia, uno dei simboli della lotta all’emarginazione e alla Camorra nella periferia del capoluogo campano. Lì nasce l’Armando Izzo calciatore, nonostante manchino persino i soldi per la retta. A 11 anni finisce nelle giovanili del Napoli, vince lo scudetto con la Berretti, assaggia la Serie A con Walter Mazzarri. Nel mezzo aveva anche deciso di dire addio al calcio, dopo la prematura scomparsa del padre, per dare una mano alla madre e ai quattro fratelli. Lo hanno aiutato, soprattutto il suo procuratore Paolo Palermo, e alla fine ce l’ha fatta. Triestina, Avellino, poi la grande chance con il Genoa e le porte di Coverciano che si aprono grazie alle ottime prestazioni il club rossoblù.
Oggi l’accusa più grave in quella che era stata finora un’esemplare storia di riscatto grazie al calcio: “Concorso esterno in associazione mafiosa”. Izzo, secondo il racconto dei pentiti, avrebbe dato una mano al clan dei Vinella Grassi, con il quale è imparentato, per combinare due partite di Serie B, ai tempi dell’Avellino. E si sarebbe reso disponibile, alcune stagioni prima, per farlo anche quando giocava con la Triestina. Di più: secondo il racconto di uno dei boss del clan di Secondigliano, avrebbe voluto anche affiliarsi. Fu lo zio, il marito della sorella di sua madre, tra i presunti capi dei Vinella Grassi, a dire di no. Troppo talentuoso, Armando, meglio proseguire sul prato verde. Ma, secondo gli investigatori, i rapporti con la camorra avrebbero comunque avuto un’evoluzione, almeno due volte, proprio su quel campo da calcio che sembrava averlo allontanato dalla cattiva strada.
Il primo contatto ai tempi della Triestina
Il nome di Izzo torna spesso negli interrogatori di Antonio Accurso, boss della Vinella Grassi tra il 2007 e il 2010 e ora collaboratore di giustizia. “È un nostro parente, essendo nipote di Salvatore Petriccione. Già quando militava nella Triestina, vi fu un abbozzo di combine in cui mio fratello Umberto accompagnato da Mario Pacciarelli andarono a Trieste sapendo che la società non pagava gli stipendi ai giocatori per vedere se si poteva far qualcosa, ma senza risultato”. E proprio Pacciarelli, anche lui pentito, ricostruisce quell’incontro: “Nei giorni in cui rimanemmo lì Izzo non fece nulla, perché disse che ci voleva tempo, era una cosa delicata. Poi partimmo rimanendo d’accordo con Izzo che ci avrebbe fatto sapere, con un’ambasciata o un messaggio, che esito aveva avuto questa trattativa sulla sconfitta della Triestina”. Qualche giorno dopo, secondo il racconto di Pacciarelli, Umberto Accurso riceve un sms da Izzo: “OK”. Tuttavia, Accurso, “non volle puntare una cifra rilevante su questa OK, ma la Triestina perse la partita immediatamente successiva – spiega il pentito – Non ricordo con quale squadra giocò. Pensammo che fosse legato all’OK di Izzo, e ci rammaricammo”. Poi prosegue: “Non ricordo il passaggio successivo, ma credo che Izzo fosse sceso giù a Napoli e chiese se avessimo giocato, ma Umberto gli disse che non aveva capito il messaggio che gli aveva mandato e quindi non aveva puntato sulla sconfitta della Triestina. La cosa mi fu spiegata da Umberto. Izzo voleva i soldi ed Umberto a dirgli che noi non avevamo giocato. Non so quanti soldi volesse Izzo. Costui ci rimase male, non venne poi fatto altro tentativo”.
Le due presunte combine
La disponibilità di Izzo però, secondo la ricostruzione della Dda, porta a combinare due partite nel maggio 2014. La sconfitta con il Modena e la larga vittoria con la Reggina. Nonostante il no di Fabio Pisacane, ambasciatore Fifa per aver rifiutato di ‘aggiustare’ una partita finita nell’inchiesta Last Bet, e Andrea Seculin, che secondo quanto riferito dai pentiti “venne preso per il petto” da un compagno di squadra dopo aver detto di no. Izzo, Millesi, Pini e Peccarisi riescono comunque a influire sul risultato delle due partite in cambio di soldi. Il match gli emiliani rischiò di saltare, secondo le dichiarazioni di Accurso, perché Izzo, non al meglio fisicamente, non venne schierato.
“Il sabato pomeriggio, alle 14.30 circa, mezz’ora prima della partita, venimmo a sapere da Pini che Izzo non avrebbe giocato. Noi avevamo già piazzato tutte le puntate, per un totale di 400mila euro, ed eravamo allarmati – racconta il pentito – Ma Millesi, tramite Pini, ci tranquillizzò”. Le cose sarebbero andate così: “Ho saputo che Izzo e Millesi si confrontarono alla fine del primo tempo, per come io e gli altri della Vinella vedemmo nelle immagini in diretta di Sky, poi Millesi parlò con Peccarisi (schierato al posto di Izzo, nda). Quando io e Millesi ci rincontrammo, mi raccontò nel dettaglio quanto era avvenuto, cioè che lui nell’intervallo si era preso per il braccio Peccarisi e gli disse che doveva far fare gol al Modena. Promise dei soldi a Peccarisi”. Gli emiliani passarono in vantaggio nei primi minuti del secondo tempo. Il clan incassa, i giocatori anche: “Da Armando Izzo seppi poi la domenica mattina che i 30mila euro che noi demmo per questa partita furono così divisi: Millesi prese 6mila euro, altri 6mila andarono a Izzo, 3000 a Luca Pini e 15mila a Peccarisi. Izzo se ne lamentò pure, dicendo che la prossima volta avremmo dovuto dare a lui la quota che gli spettava. Io gli dissi di non preoccuparsi”.
“Voleva affiliarsi, lo zio si oppose”
Sempre secondo i collaboratori di giustizia, la presunta disponibilità di Izzo non sarebbe il primo abboccamento al mondo della criminalità. Tra il 2007 e il 2009, secondo i ricordi di Accurso, l’attuale difensore del Genoa “non voleva più giocare a pallone e voleva affiliarsi con noi”. Una ricostruzione dettagliata da Pacciarelli. “Quando c’era Gaetano Petriccione in libertà, voleva diventare un affiliato della Vinella Grassi, disse anzi a Gaetano, che voleva fare “il suo ragazzo”, affiancarlo cioè in attività criminali ed all’epoca Gaetano, pur minorenne ed era anche suo coetaneo, già era ‘piazzato’ criminalmente”.
Gaetano è il cugino di Izzo, il figlio della sorella di sua madre. Lo zio, Salvatore O’ Marenar, è uno dei presunti boss del clan: “Fece giungere al figlio un’ambasciata dal carcere, dicendo che Armando Izzo, avendo un talento come giocatore di calcio, doveva seguire questa vocazione – mette a verbale Pacciarelli – come avrebbe desiderato il padre di Izzo, che era deceduto. Dunque fu O’Marenar a non volerlo nella Vinella”. Se le accuse verranno confermate, la fiaba di Armando Izzo, partito dalla periferia napoletana, finisce qui. Di certo colpisce al cuore le centinaia di bambini che tirano calci a un pallone sui campi dell’Arci Scampia inseguendo il sogno di farcela, proprio come lui. Magari con un lieto fine vero.
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Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "Morte naturale per infarto". Sono questi i primi risultati dell'autopsia per Carmine Gallo, l'ex super poliziotto protagonista della lotta contro la criminalità organizzata a Milano e ai domiciliari dallo scorso ottobre per l'inchiesta Equalize sui presunti dossier illeciti, morto domenica nella sua abitazione a Garbagnate Milanese. Si tratta dei primi riscontri dei medici legali, poi "arriveranno i tossicologici" chiesti in via precauzionale per escludere qualsiasi altra causa.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - "Il libro di Follini rappresenta la foto di un mondo rovesciato rispetto al presente, un’America rovesciata, ieri prevaleva il senso della misura e il ragionamento, oggi prevale il populismo”. Lo ha detto il deputato del Pd Stefano Graziano presentando in conferenza stampa a Montecitorio il libro di Marco Follini 'Beneficio d’inventario'.
"Centrale è la parte che racconta della vita politica all’epoca del padre di Marco Follini, Vittorio, e dei leader politici del tempo da Francesco Cossiga, ad Aldo Moro, passando per Marco Pannella. Non tutti avevano la stessa idea politica ma erano tutti uniti nella forza di voler difendere la democrazia, una democrazia ottenuta con lotte, sangue, catastrofi e quindi seppur lontani politicamente, erano uniti dal dialogo. Una differenza abissale con l’Italia di oggi pericolosamente in mano ai sovranisti, dove tutto è concepito fuorché il dialogo. Forse questo abisso non è solo italiano ma sta prevalendo in tutto l’Occidente e la cosa è abbastanza preoccupante”, ha aggiunto Graziano.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "La manovra repentina, improvvisa e del tutto imprevedibile, frutto certamente di una decisione di decimi di secondo attuata dal conducente del motoveicolo TMax non ha consentito al conducente del veicolo Giulietta di poter attuare alcuna manovra difensiva efficace". E' quanto sostiene la consulenza cinematica disposta dalla Procura di Milano e affidata all'ingegnere Domenico Romaniello. La relazione attribuisce la responsabilità dell'incidente a Fares Bouzidi, già indagato per omicidio stradale, l’amico di Ramy Elgaml che guidava lo scooter. Quando lo scooter da via Ripamonti svolta a sinistra verso via Quaranta, "con una deviazione improvvisa", per il consulente Fares imprime "una correzione di rotta verso destra", in direzione del marciapiede, e il carabiniere alla guida "non poteva certamente prevedere tale pericolosissima manovra e nulla ha potuto fare per evitare tale contatto, in ragione della impossibilità di poter attuare sia una correzione di rotta, sia una frenata efficace nello spazio a disposizione".
Non solo: il militare alla guida "non avrebbe altresì potuto neanche sterzare verso destra per la presenza del pedone (il testimone che riprende la scena con il cellulare) che per il conducente dell’autovettura è stato chiaramente percepito con la vista periferica" spiega l'ingegnere che ha realizzato la consulenza ricostruendo le condizioni di visibilità e velocità dell'inseguimento avvenuto la notte del 24 novembre scorso. Quella che mette in atto il carabiniere ora indagato per omicidio stradale (per lui si va verso la richiesta di archiviazione) è "una manovra difensiva obbligata": se lo scooter guidato da Fares avrebbe mantenuto la traiettoria 'naturale' chi guidava la Giulietta "non avrebbe sostanzialmente avuto problemi a mantenere il proprio veicolo iscritto nella curva da percorrere per la svolta a sinistra".
Quando Fares imposta la curva verso via Quaranta il T Max viaggia a una velocità di quasi 55 chilometri l'ora, quando il motociclo finisce la sua corsa contro il palo semaforico l'urto avviene a circa 33 chilometri orari. Per il consulente incaricato dalla procura la macchina che insegue, per evitare l'urto, "avrebbe dovuto disporre di uno spazio complessivo per l’arresto di circa 24 metri", mentre "il conducente aveva a disposizione circa 12 metri soltanto prima di giungere all’urto contro il palo semaforico".