Sono stati condannati a 6 anni di carcere il tunisino Lassaad Briki e il pakistano Muhammad Waqas, presunti jihadisti legati all’Isis arrestati lo scorso luglio e che, intercettati, parlavano di compiere attentati in Italia e in particolare alla base Nato di Ghedi, nel Bresciano. Lo ha deciso la corte d’assise di Milano, presieduta da Ilio Mannucci, accogliendo la richiesta del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e del pm Enrico Pavone. I due erano stati arrestati il 22 luglio. “Fanno parte dell’associazione terroristica più pericolosa e più sanguinaria al mondo” aveva detto in Aula il pm Pavone, chiarendo che i due erano “ancora più pericolosi perché perfettamente integrati”.
Romanelli, poi, ha spiegato che Waqas in particolare avrebbe anche fatto proselitismo con un giovane ora irreperibile e forse partito per le zone di guerra dell’Isis. Nella requisitoria i pm hanno spiegato che Briki stava facendo, prima di essere arrestato, ricerche sul web su come “si abbattono gli aerei”, mentre Waqas era “ossessionato” dal voler colpire “dei carabinieri”. In più, il pakistano avrebbe fatto proselitismo con un giovane che, diceva Waqas intercettato, “era stato fregato sul lavoro e aveva accettato di tagliarsi la barba per lavorare”. E gli proponeva di andare nei territori del sedicente Stato islamico dove “loro ti danno la casa, 500 o 600 euro ma solo perché non sei ancora capace di uccidere”.
Briki e Waqas, secondo il pm, “sono due persone pericolose e fanatiche, non c’è dubbio alcuno e nessun dubbio c’è anche sulla loro partecipazione all’Isis con cui avevano una relazione diretta”. Romanelli ha ricordato anche come Waqas nell’agosto scorso aveva detto davanti ai giudici del Riesame che quello che aveva affermato al telefono erano solo “scherzi” o cose “prese o lette sui giornali“. Anche la sorella di Briki, presente in aula, ha spiegato ai cronisti che “mio fratello non ha fatto niente, non aveva armi e se venisse condannato sarebbe un’ingiustizia”.
Diversa la posizione degli avvocati difensori secondo i quali i due andavano mandati assolti. “Non si può condannare una persona per il suo pensiero, per le cose che dice e se non ha compiuto alcun atto concreto” ha detto tra l’altro l’avvocato Luca Crotti, difensore di Waqas. Il legale di Waqas ha spiegato che le ricerche sul web fatte dal pakistano erano “un approfondimento della sua cultura, lui che tra l’altro aveva seguito tutto un percorso formativo nel Bresciano fino al diploma in Ragioneria“. Il legale ha sottolineato come non siano state trovate né armi né elementi legati a piani concreti e che le accuse si basano solo su “intercettazioni nelle quali si ascoltano discorsi sì esecrabili, ma soltanto discorsi“. Inoltre, la difesa del pakistano ha fatto notare che se è vero che Waqas è stato arrestato “con le valigie sul letto, lui stava partendo per la Turchia perché là avrebbe fatto scalo verso il Pakistan, dove voleva andare a trovare sua sorella”. Inoltre, sempre la difesa di Waqas ha chiarito che la “guida per mujahidin venne soltanto scaricata dalla Rete e non caricata e non ci sono post o scritti sull’Isis a lui riferibili”.
Il difensore di Briki, dal canto suo, ha affermato che l’elemento base d’accusa contro il tunisino è “un presunto giuramento di fedeltà al Califfo Al Baghdadi“, un giuramento ‘fatto in casa’ che il capo del sedicente Stato islamico non ha presumibilmente nemmeno mai ricevuto. “Non c’era alcuna struttura pronta a compiere un attentato alla base militare di Ghedi”, ha aggiunto il legale di Briki. Qua, ha concluso l’avvocato, c’è solo “una forma di esaltazione individuale senza alcunché di concreto”.