L’11 marzo 2016 al porto di Durazzo, in Albania, approdava un’auto con targa diplomatica italiana. Al suo interno era nascosta una valigia nera il cui contenuto ha scatenato una crisi politica interna, nella quale Roma sta giocando un ruolo chiave. Si tratta di un apparecchio per fare intercettazioni telefoniche a corto raggio, l’IMSI Catcher.
“Questo macchinario è stato introdotto in Albania illegalmente”, accusa il procuratore generale di Tirana, Adriatik Llalla, dopo tre mesi di indagini sulla provenienza e l’utilizzo della valigia nera. Illegale perché non ha ricevuto alcuna autorizzazione dal capo della Procura generale, come invece prevede la legge albanese. La segnalazione è partita dalla SHISH, l’agenzia di spionaggio e controspionaggio albanese. Il 17 maggio il dimissionario capo della Polizia italiana Alessandro Pansa scrive alla procura una lettera per chiarire la situazione. A inoltrare il messaggio è Alberto Cutillo, l’ambasciatore italiano a Tirana. Ora l’IMSI Catcher si trova proprio nella sede dell’Ambasciata italiana a Tirana. Ma le ombre sulla vicenda, in realtà, non si diradano.
Secondo l’ex numero uno della Polizia italiana, lo strumento per le intercettazioni era un Vortex Aircube, un macchinario di fabbricazione israeliana che in Europa è importato dalla francese Ercom e distribuito in Italia proprio dalla Italarms. Aggiunge Pansa nella lettera che l’apparecchio doveva servire per il “training on the job”, l’addestramento delle forze di polizia locale: “Tale assetto addestrativo (l’IMSI Catcher, ndr) risulta configurato in modalità tale da non essere in grado di svolgere attività di intercettazione, né di traffico vocale, né di messaggi di testo”. La scatola per le intercettazioni sarebbe stato sempre nelle mani degli italiani: “E’ sempre rimasto nella disponibilità degli operatori italiani e custodito, quando non impiegato per l’attività addestrativa e formativa, presso l’Ufficio di collegamento italiano in Albania ubicato all’interno dell’ambasciata italiana a Tirana”, scrive ancora Pansa. Sulla base di questo argomento, all’apice dello scandalo il numero uno delle forze dell’ordine albanese Haki Cako ha evitato il sequestro: gli strumenti che transitano all’ambasciata godono dell’immunità diplomatica.
“I compiti degli operatori – prosegue la lettera di Pansa- si sono concretizzati in attività di formazione ed assistenza finalizzata al utilizzo della strumentazione per la localizzazione ed il monitoraggio della telefonia mobile”. Ma se l’utilizzo dell’apparecchio era questo, perché le autorità locali non sono state avvisate dell’arrivo dell’IMSI Catcher? E perché, nonostante la lettera, i parlamentari albanesi insistono che l’acquirente finale fossero le forze dell’ordine albanese? L’intrigo internazionale continua a far discutere il parlamento albanese. Il controverso ex primo ministro Sali Berisha ha pubblicato sul suo profilo Facebook un elenco di 375 nomi di importanti personaggi legati alla cultura e alle istituzioni i quali sarebbero stati intercettati. Accuse respinte dal ministro degli Interni Samir Tahiri.
I pericoli per la privacy dei cittadini sono noti almeno dal 2013, quando l’FBI ammise di usarli “per spiare criminali”. Ma nell’ammasso di dati raccolti fin dal 1995, accanto ai criminali, la polizia americana ha inserito centinaia di cittadini comuni. Nonostante oltreoceano l’FBI sia stata condannata a pubblicare i documenti relativi ai pedinamenti telefonici via IMSI Catcher, l’Italia dal 2013 ha indetto ripetutamente gare d’appalto per “esternalizzare” le intercettazioni della Polizia di Stato proprio attraverso questo apparecchio. A vincerle, in più occasioni, è stata la Italarms srl, società di Vittorio Maria Dell’Orto e Giovanni Battista Adani. La stessa protagonista della vendita sospetta in Albania.
Sotto tiro anche la missione interforze, una task force mista di polizia italiana e albanese, che avrebbe dovuto “amministrare” la questione IMSI Catcher. In Albania, si parla di un coinvolgimento diretto della moglie del capo della missione, Michele Grillo, nella vendita. Al momento, però, non ci sono prove, per quanto i rumor siano sempre più insistenti. In precedenza, quel ruolo era stato coperto da Anna Poggi, ex responsabile dell’ufficio trattazione atti a Genova Bolzaneto, condannata per le violenze del G8 del 2001 (sentenza confermata in Cassazione, ma prescritta). Il suo trasferimento in Slovenia è coinciso con un’altra spy story: un ex poliziotto di Valona, Dritan Zagani, nel 2015 ha chiesto asilo politico in svizzera perché sosteneva di essere braccato in patria a causa della scoperta di una rotta aerea della droga dall’Albania all’Italia, in cui sarebbero stati coinvolti anche parenti del ministro dell’Interno Tahiri. Anche questa storia attende ancora che qualcuno ne scriva un epilogo.