Chi sta leggendo le cronache del Roland Garros sul Fatto Quotidiano avrà notato come, a fronte dei pronostici (quasi) sempre giusti, stia sbagliando tutti quelli riguardanti Richard Gasquet. Ebbene, è così da sempre e c’è un motivo: gli voglio bene, e quando vuoi bene a una persona non sei mai pienamente lucido quando provi a prevederne le gesta. Gasquet è uno dei pochi tennisti che merita quasi sempre la visione. Chi ama solo i vincenti gli imputa di aver vinto troppo poco. Chi ama i circensi, coloro ovvero che io chiamo da sempre “orteghiani” per quel loro feticismo nei confronti del tennista che indovina due colpi a partita, gli rinfaccia di essere diventato troppo attendista e poco spettacolare.
Sia come sia, per quanto mi riguarda il “disastro” accadde a Montecarlo 2005. Gasquet aveva solo 19 anni, ma lo si conosceva già. Purtroppo per lui, da bambino i francesi lo avevano maldestramente definito “il Mozart del tennis“, dando per scontato che avrebbe vinto tutto e responsabilizzando troppo un ragazzo smisuratamente fragile. Fraintesero la bellezza dei suoi gesti, soprattutto di quel rovescio a una mano, per prova inconfutabile del suo essere Campione. Si immaginarono un nuovo McEnroe, quando era invece un nuovo Leconte. Erano i quarti di finale di Montecarlo e quel Federer non perdeva mai. Gasquet, giocando uno degli incontri più belli a cui abbia mai insistito, lo sconfisse 6-7 6-2 7-6. Bellezza pura. Da allora, io come milioni di appassionati, l’ho seguito con affetto. Affetto, ma anche rabbia. Le sconfitte, spesso con la stessa trama (inizio da leone e finale da coglione), sono state così tante che da qualche anno gli preferisco altri: magari Tsonga. Oppure Kyrgios: non meno umorale di lui, ahinoi. Si tende a dire: “Gasquet ha deluso le aspettative”. Vero, ma ha sbagliato lui o piuttosto erano sbagliate le aspettative? Parafrasando Rino Tommasi, Gasquet ha sempre avuto un gran motore ma un pessimo telaio. Si sono avvicendati gli allenatori al suo fianco, da Deblicker a Piatti e adesso Bruguera, ma i limiti fisici e mentali sono rimasti. A ciò va aggiunta una pavidità tattica che lo trasforma in “Riccardino Cuor di Telone“, un tennista potenzialmente sublime che però rema da fondo come un Čerkasov qualsiasi.
Si possono individuare due Gasquet: quello iniziale, estemporaneo e bellissimo, che aveva però un’autonomia limitata. E quello più attendista e pragmatico, benché comunque dotato di accelerazioni inaudite: il primo è durato fino al 2008, l’altro è nato dalla squalifica per doping. Oddio, “doping”: il famoso “bacio alla cocaina”. Al tempo – era il 2009 – tutti dissero che Gasquet non sarebbe tornato mai più al top: troppo fragile psicologicamente. In quel periodo Gasquet veniva anche preso malamente in giro per una sua presunta omosessualità. In Rete, spesso, il suo nome diveniva “Gaysquet” (ah, che simpaticoni). Con tenacia insospettata, Gasquet è invece tornato ai suoi livelli e da anni staziona a cavallo tra l’ottava e la 15esima posizione. Il suo best ranking è 7, ottenuto nel 2007 dopo le semifinali a Wimbledon: epica la sua vittoria al quinto su Roddick. Prima di questo Roland Garros era 12esimo, dopo i quarti di finale ottenuti ieri è potenzialmente ottavo.
E’ dunque tornato al suo apice: è poco? E’ tanto? E’ ora di rispondere una volta per tutte a questa domanda: è il giusto. Gasquet valeva, e vale, questa posizione. Se fosse nato dieci anni dopo come Kyrgios o Zverev, si giocherebbe la prima posizione al mondo. Sfortunatamente è nato quando Federer – 5 anni più grande di lui – era Federer e nello stesso anno di Nadal. E’ pure della stessa generazione di Djokovic e Murray, tutti molto più forti di lui. Al suo massimo Gasquet non poteva comunque andare oltre la quinta posizione al mondo. E non avrebbe mai potuto vincere uno Slam, perché i “miracoli Cilic” accadono una volta ogni dieci anni. La sua colpa non è stata non aver vinto Slam o non essere stato uno o due al mondo: era impossibile. La sua colpa è stata non avere una carriera stabilmente alla Berdych: ovvero da 5-8 al mondo fisso, con almeno una vittoria nei Masters 1000 e una finale (persa) Slam. E’ lì che Gasquet ha fallito, rivelandosi inferiore anche a Tsonga o Ferrer. Nel suo palmares ci sono 13 titoli, sì, ma tra questi nessun 500. Nessun 1000. Nessuna finale Slam. Tre semifinali Slam (due Wimbledon e uno Us Open). E due soli Masters (2007 e 2013)
Ieri, contro pronostico, Gasquet ha raggiunto per la prima volta i quarti di finale al Roland Garros. Lo ha fatto al 13esimo tentativo. Classe 1986, ha esordito a Parigi nel 2002. I primi anni era inchiodato dalla tensione, oppure saltava l’appuntamento per infortunio. Da anni si fermava agli ottavi. Ieri ce l’ha fatta, sfruttando quel talento cristallino ma anche un Nishikori che, dopo la sosta per pioggia, ha sbagliato davvero tantissimo. Gasquet è ancora quello di sempre. Servizio discreto, dritto dal movimento smisuratamente ampio (ma in grado di incenerire) e rovescio a una mano divino: lo preferisco anche a quello di Wawrinka, Kohlschreiber e Youzhny. Anche il gioco di volo, a cui ricorre troppo poco, è tra i migliori del circuito. Gasquet gioca sempre sul filo dell’implosione mentale: finché si sente sopra una nuvola è una meraviglia: può riuscirgli tutto. Basta però un inciampo e la magia svanisce. La sua kryptonite peggiore è Andy Murray. Con lui ha perso due tra gli incontri più dolorosi della sua vita, sempre avanti di due set e sempre battuto al quinto: ottavi a Wimbledon 2008 (servì per il match avanti due set e un break), primo turno al Roland Garros 2010 (era fuori dai primi 32 dopo la squalifica per doping). Ancora con Murray, che non batte da Roma 2012 e che lo domina 7 a 3 negli scontri diretti, perse agli ottavi proprio al Roland Garros un anno fa. Non ha alcuna chance di vincere domani. Se poi sbaglierò il terzo pronostico su tre, per punizione – anzi dalla gioia – andrò ospite da Barbara D’Urso.
In ogni caso: shine on, Richard.
Tennis
Roland Garros 2016, Richard Gasquet per la prima volta ai quarti: giocherà contro la sua bestia nera Andy Murray – Foto
Lo ha fatto al 13esimo tentativo, battendo Nishikori. Definito dai francesi il "Mozart del tennis", in carriera ha avuto due vite sportive: quella iniziale, come tennista estemporaneo e bellissimo, che aveva però un'autonomia limitata. E quella più attendista e pragmatica, iniziata dopo la squalifica per doping nel 2008. Il suo best ranking è 7, ottenuto dopo le semifinali a Wimbledon 2007
Chi sta leggendo le cronache del Roland Garros sul Fatto Quotidiano avrà notato come, a fronte dei pronostici (quasi) sempre giusti, stia sbagliando tutti quelli riguardanti Richard Gasquet. Ebbene, è così da sempre e c’è un motivo: gli voglio bene, e quando vuoi bene a una persona non sei mai pienamente lucido quando provi a prevederne le gesta. Gasquet è uno dei pochi tennisti che merita quasi sempre la visione. Chi ama solo i vincenti gli imputa di aver vinto troppo poco. Chi ama i circensi, coloro ovvero che io chiamo da sempre “orteghiani” per quel loro feticismo nei confronti del tennista che indovina due colpi a partita, gli rinfaccia di essere diventato troppo attendista e poco spettacolare.
Sia come sia, per quanto mi riguarda il “disastro” accadde a Montecarlo 2005. Gasquet aveva solo 19 anni, ma lo si conosceva già. Purtroppo per lui, da bambino i francesi lo avevano maldestramente definito “il Mozart del tennis“, dando per scontato che avrebbe vinto tutto e responsabilizzando troppo un ragazzo smisuratamente fragile. Fraintesero la bellezza dei suoi gesti, soprattutto di quel rovescio a una mano, per prova inconfutabile del suo essere Campione. Si immaginarono un nuovo McEnroe, quando era invece un nuovo Leconte. Erano i quarti di finale di Montecarlo e quel Federer non perdeva mai. Gasquet, giocando uno degli incontri più belli a cui abbia mai insistito, lo sconfisse 6-7 6-2 7-6. Bellezza pura. Da allora, io come milioni di appassionati, l’ho seguito con affetto. Affetto, ma anche rabbia. Le sconfitte, spesso con la stessa trama (inizio da leone e finale da coglione), sono state così tante che da qualche anno gli preferisco altri: magari Tsonga. Oppure Kyrgios: non meno umorale di lui, ahinoi. Si tende a dire: “Gasquet ha deluso le aspettative”. Vero, ma ha sbagliato lui o piuttosto erano sbagliate le aspettative? Parafrasando Rino Tommasi, Gasquet ha sempre avuto un gran motore ma un pessimo telaio. Si sono avvicendati gli allenatori al suo fianco, da Deblicker a Piatti e adesso Bruguera, ma i limiti fisici e mentali sono rimasti. A ciò va aggiunta una pavidità tattica che lo trasforma in “Riccardino Cuor di Telone“, un tennista potenzialmente sublime che però rema da fondo come un Čerkasov qualsiasi.
Si possono individuare due Gasquet: quello iniziale, estemporaneo e bellissimo, che aveva però un’autonomia limitata. E quello più attendista e pragmatico, benché comunque dotato di accelerazioni inaudite: il primo è durato fino al 2008, l’altro è nato dalla squalifica per doping. Oddio, “doping”: il famoso “bacio alla cocaina”. Al tempo – era il 2009 – tutti dissero che Gasquet non sarebbe tornato mai più al top: troppo fragile psicologicamente. In quel periodo Gasquet veniva anche preso malamente in giro per una sua presunta omosessualità. In Rete, spesso, il suo nome diveniva “Gaysquet” (ah, che simpaticoni). Con tenacia insospettata, Gasquet è invece tornato ai suoi livelli e da anni staziona a cavallo tra l’ottava e la 15esima posizione. Il suo best ranking è 7, ottenuto nel 2007 dopo le semifinali a Wimbledon: epica la sua vittoria al quinto su Roddick. Prima di questo Roland Garros era 12esimo, dopo i quarti di finale ottenuti ieri è potenzialmente ottavo.
E’ dunque tornato al suo apice: è poco? E’ tanto? E’ ora di rispondere una volta per tutte a questa domanda: è il giusto. Gasquet valeva, e vale, questa posizione. Se fosse nato dieci anni dopo come Kyrgios o Zverev, si giocherebbe la prima posizione al mondo. Sfortunatamente è nato quando Federer – 5 anni più grande di lui – era Federer e nello stesso anno di Nadal. E’ pure della stessa generazione di Djokovic e Murray, tutti molto più forti di lui. Al suo massimo Gasquet non poteva comunque andare oltre la quinta posizione al mondo. E non avrebbe mai potuto vincere uno Slam, perché i “miracoli Cilic” accadono una volta ogni dieci anni. La sua colpa non è stata non aver vinto Slam o non essere stato uno o due al mondo: era impossibile. La sua colpa è stata non avere una carriera stabilmente alla Berdych: ovvero da 5-8 al mondo fisso, con almeno una vittoria nei Masters 1000 e una finale (persa) Slam. E’ lì che Gasquet ha fallito, rivelandosi inferiore anche a Tsonga o Ferrer. Nel suo palmares ci sono 13 titoli, sì, ma tra questi nessun 500. Nessun 1000. Nessuna finale Slam. Tre semifinali Slam (due Wimbledon e uno Us Open). E due soli Masters (2007 e 2013)
Ieri, contro pronostico, Gasquet ha raggiunto per la prima volta i quarti di finale al Roland Garros. Lo ha fatto al 13esimo tentativo. Classe 1986, ha esordito a Parigi nel 2002. I primi anni era inchiodato dalla tensione, oppure saltava l’appuntamento per infortunio. Da anni si fermava agli ottavi. Ieri ce l’ha fatta, sfruttando quel talento cristallino ma anche un Nishikori che, dopo la sosta per pioggia, ha sbagliato davvero tantissimo. Gasquet è ancora quello di sempre. Servizio discreto, dritto dal movimento smisuratamente ampio (ma in grado di incenerire) e rovescio a una mano divino: lo preferisco anche a quello di Wawrinka, Kohlschreiber e Youzhny. Anche il gioco di volo, a cui ricorre troppo poco, è tra i migliori del circuito. Gasquet gioca sempre sul filo dell’implosione mentale: finché si sente sopra una nuvola è una meraviglia: può riuscirgli tutto. Basta però un inciampo e la magia svanisce. La sua kryptonite peggiore è Andy Murray. Con lui ha perso due tra gli incontri più dolorosi della sua vita, sempre avanti di due set e sempre battuto al quinto: ottavi a Wimbledon 2008 (servì per il match avanti due set e un break), primo turno al Roland Garros 2010 (era fuori dai primi 32 dopo la squalifica per doping). Ancora con Murray, che non batte da Roma 2012 e che lo domina 7 a 3 negli scontri diretti, perse agli ottavi proprio al Roland Garros un anno fa. Non ha alcuna chance di vincere domani. Se poi sbaglierò il terzo pronostico su tre, per punizione – anzi dalla gioia – andrò ospite da Barbara D’Urso.
In ogni caso: shine on, Richard.
SALVIMAIO
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Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Le scelte nello stile di vita possono avere un impatto significativo anche nella gestione della fibrillazione atriale, un disturbo del ritmo cardiaco che rischia di sviluppare 1 over 40 su 4 e che rappresenta una delle principali cause di ictus che colpisce milioni di donne e uomini in tutta Europa. Alcuni alimenti come alcol, caffeina o cibi piccanti possono scatenare un episodio di questa condizione cronica che spesso può passare inosservata: molti non ne sono consapevoli e non ricevono una diagnosi. Per aiutare le persone a comprendere meglio il legame tra alimentazione e fibrillazione atriale - riporta una nota - Daiichi Sankyo Europe ha ospitato a Milano oggi 'Beats and Bites', che gioca sul suono dei termini inglesi 'battiti e morsi'. All'evento, esperti di malattie cardiovascolari insieme alla European Nutrition for Health Alliance e Alice (Associazione per la lotta all'ictus cerebrale) Lombardia hanno affrontato le preoccupazioni comuni ed evidenziato le strategie di riduzione del rischio con la partecipazione dello chef italiano Ruben Bondì, che ha creato un menù di ricette semplici, gustose e salutari per il cuore.
"Gli operatori sanitari oggi devono fornire ai pazienti le giuste informazioni per comprendere il loro rischio di fibrillazione atriale e adottare misure proattive di prevenzione - spiega Daniele Andreini, direttore della Divisione di Cardiologia universitaria e Imaging cardiaco dell'Irccs ospedale Galeazzi Sant'Ambrogio di Milano - I cambiamenti nello stile di vita, come il movimento regolare e l'alimentazione equilibrata, svolgono un ruolo cruciale nel migliorare la salute del cuore". Tra le strategie alimentari da adottare, gli esperti consigliano: consumare 2 porzioni di pesce ricco di omega-3 alla settimana per gli adulti e ridurre il sale a meno di 5 g al giorno; fare attenzione alle dimensioni delle porzioni e gestire i livelli di stress e di sonno, che potrebbero portare all'obesità e complicare i problemi cardiovascolari se non gestiti correttamente. Infine, fare circa 2 ore di esercizio fisico di intensità moderata alla settimana - passeggiare, fare le scale o ballare - oltre ad un allenamento di resistenza, 2 giorni alla settimana.
"Eventi come 'Beats and Bites' forniscono un utile supporto, offrendo consigli pratici e mostrando l'impatto che semplici cambiamenti nella dieta e nel movimento possono avere nel ridurre il rischio di fibrillazione atriale - rimarca Giacomo Falzi, vicepresidente Alice Lombardia - E' incoraggiante vedere al centro dell'attenzione il benessere dei pazienti, con esperti e sostenitori che si uniscono per dare a individui e famiglie la possibilità di assumere il controllo della propria salute cardiovascolare".
Le lacune nella conoscenza e nella gestione della fibrillazione atriale lasciano molti pazienti senza le informazioni e il supporto di cui hanno bisogno. "Daiichi Sankyo Europa aspira ad arricchire la qualità della vita delle persone in tutto il mondo - afferma Ilaria Leggeri, direttore del Patient Engagement della farmaceutica - Per questo è necessario andare oltre la malattia, guardare alle persone che convivono con la patologia, alla loro qualità della vita, alle loro scelte di vita e ai risultati che contano per loro". L'evento 'Beats and Bites' fa parte della più ampia iniziativa dell'azienda 'Il tuo cuore, nelle tue mani: fibrillazione atriale', dedicata all'educazione e alla responsabilizzazione delle persone, affinché diano priorità alla loro salute cardiovascolare.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - In occasione della Giornata dell'Unità nazionale e del Tricolore, che ricorre lunedì prossimo, 17 marzo, sulla facciata di Montecitorio verrà proiettata la bandiera nazionale, dalla mezzanotte e nelle successive ore serali e notturne.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.