Tempi duri per i produttori di veicoli pesanti del vecchio continente. Almeno per quelli che, secondo il commissario per la concorrenza dell’Unione Europea Margrethe Vestager, avrebbero creato una sorta di cartello sui prezzi, ritardando oltretutto l’introduzione delle nuove tecnologie finalizzate al contenimento delle emissioni.
A sostenerlo è il Financial Times, venuto in possesso di carte che secondo il quotidiano provano il coinvolgimento in queste pratiche di sei tra i maggiori costruttori continentali: Daf, Daimler, Scania, Man, Iveco e Volvo, il cui comportamento è stato messo sotto la lente d’ingrandimento dagli ispettori europei nel periodo che va dal 1997 al 2011. Nei documenti Ue citati dal Ft sono descritti i modi e i tempi con cui i costruttori si mettevano d’accordo per stabilire il livello dei prezzi. Un cartello che, come sottolineato dal Commissario Vestager, poteva oltretutto influenzare i costi di qualsiasi bene, dal cibo alle forniture, dal momento che in Europa esistono ben 600.000 trasportatori divisi in piccole aziende.
L’indagine porterà probabilmente alla maggiore multa nella storia dell’Unione europea. Al punto che per farvi fronte i marchi coinvolti hanno già stanziato fondi pari quasi a 2,6 miliardi di dollari, così suddivisi: Daf 945 milioni, Iveco 500 milioni, Daimler 672 milioni e Volvo 444 milioni. Solo Scania, di proprietà Volkswagen, non ha accantonato nulla, ritenendosi “non in grado di quantificare l’impatto economico delle indagini”.
Messi insieme, i sei colossi citati in pratica monopolizzano il mercato europeo. E non è detto che lo stanziamento, benché ingente, sia sufficiente. Le regole dell’Unione prevedono infatti che in questi casi la multa possa arrivare fino al 10% del fatturato globale. In tal caso, si arriverebbe a una cifra pari a 10,7 miliardi di euro. E l’aria che tira a Bruxelles è quella di una stangata.
Anche se è la stessa Commissione a gettare acqua sul fuoco, chiedendo di aspettarne la decisione finale e ufficiale tramite il suo portavoce Margaritis Schinas. Non per ridimensionare l’accaduto ma per scongiurare un altro pericolo, quello che “molte delle cose che si leggono in giro basate su fughe di notizie, commenti o speculazioni possano anche essere legate a forti interessi commerciali con una posta in gioco”.