“Con lei gli americani scoprirono che il sesso poteva avere il sapore di un cono gelato”. Le parole di Norman Mailer sono per ricordare l’apporto erotico popolare dell’unica vera diva del cinema americano del dopoguerra: Marilyn Monroe. L’interprete di Niagara e A qualcuno piace caldo nacque proprio 90 anni fa, il 1 giugno 1926, a Los Angeles. Quel neo sopra la guancia sinistra, le labbra tumide e colorate di rossetto rosso, i capelli biondo platino, e quella gonna bianca che si alza quasi fin sopra la testa mostrando due paia di mutandine, più dalle foto dal set che dalla sequenze vere e proprie di Quando la moglie è in vacanza quando l’attrice passa sopra una grata, sono i tratti distintivi di un’icona sexy letteralmente intramontabile. Mai del tutto serena e completamente felice, depressa e ansiogena, matrimoni, amanti, psichiatri, governanti e microspie a inseguirla fin dentro al letto, Marilyn è destinata all’eternità del mito anche per via di una fine orrenda: il celebre e mai chiarito suicidio da barbiturici del 5 agosto 1962 nella sua casa di Brentwood, quando da quelle parti in quelle ore bazzicavano stranamente il ministro della giustizia di allora Bob Kennedy, il dottor Ralph Greenson e l’attore parente di JFK, Peter Lawford, oltretutto membro del Rat Pack del mai limpidissimo Frank Sinatra. Di Marilyn si ricordano parecchi aspetti professionali, soprattutto tante sequenze di film, ma la sua vita fu costellata nella vita privata di eccezionalità ed eccentricità, rinunce ed amori, episodi tragici, buffi ed eclatanti. Ne ricordiamo sette poco raccontati e descritti se non in qualche buona biografia per una carriera cinematografica durata nemmeno tredici anni (da Scudda Hoo!Scudda Hay! – 1947 – a The Misfits – 1961 – e all’incompleto Something’s Got to Give – 1962).
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