Arriva dall’ingegneria genetica una nuova promettente arma nella lotta contro l’Aids. Un team di scienziati della Temple University Usa con la collaborazione di Pasquale Ferrante e Ramona Bella dell’Università Statale di Milano è riuscito per la prima volta a rimuovere il Dna del virus dell’Hiv da un tessuto vivente. Come illustrato in uno studio pubblicato su Gene Therapy, rivista del gruppo Nature, i ricercatori americani hanno adoperato una tecnologia di editing genetico per tagliare via il Dna del comune ceppo Hiv-1 da organi di topi infettati. Nei mesi scorsi la stessa equipe aveva dichiarato di aver eliminato con successo il virus da cellule umane fatte crescere in laboratorio. Adesso, il nuovo studio dimostra che un risultato analogo è possibile anche con un organismo vivente.

“Abbiamo dimostrato che la nostra tecnologia di gene editing può efficacemente raggiungere molti organi di un paio di piccoli animali, e asportare grandi frammenti di Dna virale dal genoma della cellula ospite”, sottolinea Kamel Khalili, a capo del gruppo di ricerca Usa. Per ottenere questo risultato, gli studiosi hanno utilizzato l’innovativa tecnica denominata “Crispr/Cas9” (Clustered regularly interspaced short palindromic repeats). Una sorta di taglia e cuci molecolare della doppia elica di Dna, che permette di spezzarlo in punti specifici e di riscriverne le sequenze geniche. Una metodica che, per le sue enormi potenzialità, è stata inserita dalla rivista Science in cima alla speciale classifica degli eventi scientifici del 2015.

Secondo gli ultimi dati rilasciati dagli specialisti alla vigilia dell’Icar2016 (Italian conference of Aids and antiviral research) – che si svolge in questi primi giorni di giugno a Milano – in Italia oltre il 25% dei sieropositivi non sa di esserlo. Nel nostro Paese sono circa 120mila le persone che convivono con l’Hiv, e ogni anno si registrano 4mila nuovi casi, soprattutto giovani tra i 25 e i 29 anni. Di questi, il 60% viene scoperto in una fase tardiva dell’infezione. Se, infatti, da un lato negli ultimi anni si è verificato un calo della mortalità, dovuto ai progressi della ricerca e alle nuove terapie, dall’altro si assiste sempre più a una drastica riduzione dell’informazione sulla malattia. Secondo il Bollettino del Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità (Iss), la maggioranza delle nuove diagnosi è, infatti, attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che rappresentano l’84.1% di tutte le segnalazioni. Inoltre, il 37% degli italiani non si è mai sottoposto al test Hiv e il 5% delle persone che vivono con Hiv non lo ha mai detto al proprio partner. Il 40% delle persone sieropositive, secondo il rapporto dell’Iss, non rivela ad esempio ai familiari di aver contratto il virus, e il 74% non lo dichiara nel contesto lavorativo.

Uno dei principali problemi legati all’infezione da Hiv è che il virus rimane nascosto nell’organismo, nei cosiddetti tessuti santuari, lasciando nel sistema immunitario tracce indelebili, come quando si cammina sul cemento ancora fresco. Per poi riemergere quando il paziente sembra essersi ripreso. Le comuni strategie di contrasto, basate sull’utilizzo di cocktail di farmaci antitetrovirali, sono infatti in grado di sopprimere la duplicazione del virus, ma non di eliminarlo dalle cellule infettate. “La nostra sperimentazione – spiega Khalili – potrebbe essere in grado di sradicare il Dna dell’Hiv-1 dai pazienti. Al tempo stesso, è estremamente flessibile, e si presta ad essere utilizzata in combinazione con farmaci antiretrovirali. Potrebbe, ad esempio – conclude lo scienziato -, essere adattata per contrastare ceppi mutati di Hiv-1”.

Lo studio Usa (leggi)

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