I cinque medici che ebbero in cura Stefano Cucchi non fornirono corretta assistenza e per questo il pg Eugenio Rubolino ha chiesto di condannarli per omicidio colposo senza attenuante generica, ribaltando la sentenza assolutoria. “Vittima di tortura come Giulio Regeni“, ha detto il procuratore generale nel corso della requisitoria del processo d’appello bis per la vicenda del geometra romano, arrestato il 15 ottobre 2009 perché trovato in possesso di sostanza stupefacente e morto una settimana dopo in ospedale. “Cucchi è stato pestato, ucciso quando era in mano dello Stato, ucciso da servitori dello Stato in camice bianco. Occorre restituire dignità a Stefano e all’intero Paese. Bisogna evitare che muoia una terza volta”.
In particolare, il rappresentante dell’accusa ha chiesto di condannare Aldo Fierro (il primario del reparto detenuti del ‘Pertini’ dove Cucchi morì) a 4 anni di reclusione; e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo a tre anni e mezzo ciascuno. In primo grado avevano avuto 2 anni il primario e un anno e quattro mesi ciascuno gli altri medici. “Mi rivolgo a voi perché Stefano Cucchi non muoia una terza volta”, ha detto il pg Rubolino nel corso della requisitoria, durata quasi tre ore, davanti alla Corte d’Assise d’appello. “Una prima volta Stefano è stato ucciso da servitori dello Stato in divisa, si tratta solo di stabilire il colore delle divise. La seconda volta è stato ucciso dai servitori dello Stato in camice bianco”.
Il processo che si celebra oggi è stato disposto dalla Corte di Cassazione che il 15 dicembre dello scorso anno annullò la sentenza con la quale la Corte d’Assise d’Appello mandò assolti i sanitari che ebbero in cura Cucchi. Parlando per tre ore il procuratore generale ha in sostanza sostenuto che Cucchi fin dal momento del suo ricovero nel reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini non ebbe le cure necessarie. Scarsa fu l’assistenza e nessuno si preoccupò di tenere costantemente sotto controllo Cucchi al quale tra l’altro non venne preso neppure il battito del polso né fu tenuta presente la sua condizione cardiaca tanto è vero che nulla è stato fatto per controllare la bradicardia in atto.
A novembre 2014, il Fatto Quotidiano ha lanciato la petizione “Chi sa parli” sulla piattaforma Change.org rivolta a tutte le autorità che hanno avuto in custodia Stefano Cucchi negli ultimi giorni di vita. La raccolta firme partendo dalle parole del presidente del Senato Pietro Grasso chiede che si rompa il silenzio su quanto accaduto nelle ntoti tra il fermo del ragazzo e la sua morte.