Il sistema di valutazione dei magistrati eletti in Parlamento così com’è non può andare avanti: va riformato. A dirlo, dopo le critiche indirizzate alle regole in vigore anche da illustri costituzionalisti (Valerio Onida, Gaetano Silvestri e Massimo Villone) e l’appello sottoscritto da oltre 30mila cittadini, è Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno che proprio in base a quel sistema è chiamato a giudicare l’operato delle toghe e a dare il via libera alle progressioni di carriera. Che, insieme a funzioni più alte e prestigiose, significano anche stipendi più ricchi e migliori trattamenti previdenziali.
CRITERI INADEGUATI Sulla necessità dell’intervento, Legnini non ha dubbi. “Naturalmente, non possiamo far carico a quei magistrati che, legittimamente hanno assunto incarichi elettivi, di una discutibile disciplina di valutazione di professionalità”, dice a ilfattoquotidiano.it il vicepresidente del Csm, “ma l’inadeguatezza dei criteri delineati dalla normativa in vigore è evidente. Se si vuole cambiare, occorre intervenire con legge prevedendo nuovi criteri e diverse modalità”.
CAMBIARE LE REGOLE Sotto accusa, dopo le nostre rivelazioni, è finito l’intero impianto delle valutazioni di professionalità delle toghe. Procedure che consentono di giudicare periodicamente l’operato dei magistrati impegnati nelle istituzioni -dal Parlamento al governo, dunque come deputati, senatori, sottosegretari e ministri, ma anche nelle Regioni, quali semplici consiglieri o anche addirittura come governatori- alla stregua dei colleghi che continuano ad indossare le toghe. Come se, invece dell’attività politica, stessero ancora svolgendo quella giurisdizionale. Una situazione che ha suscitato grande sconcerto e che ha spinto oltre 30 mila cittadini a sottoscrivere la petizione lanciata da ilfattoquotidiano.it che, tra le altre cose, chiede l’intervento immediato delle Camere per cambiare subito le regole.
BASTA FINZIONI Un intervento che adesso è anche il vicepresidente del Csm a sollecitare: “Non si può né improntare la valutazione di professionalita ad una sorta di finzione, come se i magistrati eletti svolgessero attività giurisdizionale”, aggiunge Legnini, “ né penalizzarli per il semplice fatto che hanno scelto di accedere nel rispetto della legge agli incarichi elettivi. Serve una regolamentazione che consenta di tener conto di questa pausa, chiamiamola così, nell’esercizio della funzione giudiziaria , evitando però che chi si trova in tale condizione debba ricominciare da capo quando decide di rientrare nei ranghi”.
FASE NUOVA Parole chiare, quelle del vicepresidente del Csm. E che gettano le premesse per l’apertura di una fase nuova sull’intera tematica degli impegni dei magistrati. “Ad essere integralmente riformata e ripensata tenendo conto della sensibilità nuova che abbiamo registrato”, aggiunge infatti il vicepresidente del Csm, “è l’intera materia del rapporto tra gli incarichi politici, elettivi e di governo, e la progressione di carriera dei magistrati. In sostanza, l’intera disciplina dell’accesso a tali incarichi da parte dei magistrati, così come il loro reingresso nei ruoli della magistratura, richiederebbe un intervento normativo organico. Su questo tema, come è noto, abbiamo già prodotto una precisa proposta con una delibera del plenum del Csm. Mi auguro che essa possa costituire uno stimolo per il legislatore”.
CALCIO DI RIGORE Il parere del Csm a cui si riferisce Legnini è stato reso ad una proposta di legge (la numero 2188), approvata dal Senato e che da ormai due anni giace in commissione Giustizia alla Camera. Commissione presieduta da uno dei magistrati eletti in parlamento, ossia Donatella Ferranti, esponente del Partito democratico. Palazzo dei Marescialli nel documento ha non solo auspicato un intervento per distinguere “nel merito e nel metodo” le valutazioni professionali applicabili a chi esercita effettivamente le funzioni giudiziarie da quelle per le toghe che svolgono attività di politica e di governo. Ma ha anche chiesto, tra le altre cose, di disciplinare con maggiore rigore la questione del rientro degli stessi in magistratura una volta terminato il mandato elettorale. “Potrebbe essere anche presa in considerazione – si legge nel parere – l’opportunità di individuare un termine massimo di durata del fuori ruolo politico-amministrativo, superato il quale sia precluso il ritorno all’esercizio della giurisdizione”. Ad avviso del Consiglio superiore della magistratura infatti “il troppo tempo trascorso lontano dall’impegno giudiziario e l’attività politica svolta verosimilmente compromettono il bagaglio tecnico, l’habitus mentale e l’immagine di imparzialità necessari per ius dicere”. Si tratterebbe quindi di farli transitare in ruoli dirigenziali della pubblica amministrazione che “senza pregiudizio dell’interessato, consentano un’adeguata valorizzazione della professionalità e dell’esperienza acquisita”.
MAL DI TESTO In attesa dell’intervento normativo non resta che affidarsi al Csm. Che, l’anno scorso, ha anche approvato proprio la riforma del testo unico della dirigenza con l’obiettivo di premiare i magistrati più meritevoli. Ciononostante, le polemiche sul sistema di valutazione professionale continuano. Con un Costituzionalista come Villone che pone una domanda provocatoria: ma i magistrati che continuano a svolgere l’attività giurisdizionale non hanno motivo per arrabbiarsi con i loro colleghi che ricevono queste valutazioni di professionalità pur essendo impegnati fuori dalle aule di giustizia? Anche su questo punto arriva la risposta di Legnini: “Il testo unico della dirigenza che abbiamo totalmente riformato –precisa il vicepresidente del Csm- prevede che le esperienze cosiddette fuori ruolo rilevano solo se tali attività comportano un concreto arricchimento del bagaglio professionale del magistrato. Il che implica la necessità di un discernimento: ci sono attività e funzioni che contribuiscono a questo arricchimento professionale, altre che non contribuiscono in questo senso. Si pensi all’attività parlamentare. E’ evidente che nella valutazione di un magistrato presiedere la commissione Giustizia è diverso che presiedere la commissione Attività produttive”.