Le battute sulle riforme e la scissione del partito, l’impegno nei comitati per il “no” e le telefonate al critico d’arte corteggiato dai grillini. A pochi giorni dal ballottaggio a Roma, Milano, Torino e Bologna, il Pd va in pezzi sul caso D’Alema-Repubblica. L’ex presidente del Consiglio dice di essere “vittima di una montatura fatta da house organ del Partito del Nazareno”. Ma Repubblica conferma il retroscena secondo cui è pronto “a votare la grillina Virginia Raggi” e aggiunge che l’ex premier ha telefonato due volte al professore Tomaso Montanari per fare pressioni sul suo ingresso nell’eventuale giunta M5s. D’Alema conferma i contatti e dice: “Ho parlato con lui che mi ha chiesto un consiglio e ho ritenuto di dirgli che un suo impegno per Roma sarebbe certamente positivo per la città”. Intanto il candidato dem Roberto Giachetti cerca di chiudere la questione: “D’Alema aveva già espresso il suo giudizio su di me, sapevo qual era la sua opinione”.
Il caos è cominciato il 15 giugno, quando il quotidiano Repubblica ha pubblicato un retroscena in cui si diceva che l’ex presidente del Consiglio è pronto a votare anche “Lucifero” pur di mandare via Renzi, “figuriamoci Virginia Raggi“. Si aggiungeva inoltre che D’Alema ha intenzione di impegnarsi nei comitati per il “no” alle riforme. L’articolo ha provocato l’ira di D’Alema e della sinistra del partito: “Frasi false, frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti”. Oggi a La Stampa dice: “Non ho mai detto la parola Lucifero, perché è un termine che non appartiene al mio vocabolario: casomai, avrei detto Belzebù. Ma il punto è che le battute non sono dichiarazioni politiche”.
Oggi il quotidiano ribadisce la ricostruzione parlando di tre incontri in cui D’Alema a margine ha espresso la sua posizione contro Renzi e le riforme. Il giornalista di Repubblica Goffredo De Marchis aggiunge inoltre un altro particolare: D’Alema ha fatto pressioni perché Montanari accettasse l’offerta della Raggi di entrare in un’eventuale giunta M5s. Il critico d’arte, nonché firma di Repubblica, era entrato nella rosa dei probabili assessori 5 stelle, ma nelle scorse ore ha declinato l’invito. In un articolo pubblicato su Micromega ha motivato la sua scelta dicendo che “riconosce il valore politico della Raggi” e che al secondo turno l’avrebbe votata (non è residente a Roma), ma non può accettare proprio perché non è romano. De Marchis parla di “una riunione riservata con i suoi fedelissimi a Bari” e “tre giorni fa alla sua Fondazione”.
D’Alema dal canto suo continua a respingere ogni ricostruzione a parlare di una chiara strategia politica. L’ex primo ministro ridimensiona anche la frase che avrebbe pronunciato riguardo al voto di ottobre sulle riforme: “Se vince il sì al referendum, facciamo la scissione; se invece vince il no, ci riprendiamo il partito”. Secondo D’Alema si è trattato di uno scambio di battute. L’episodio viene fatto risalire alla fine dei lavori di un incontro con l’associazione Magna Carta: al momento dei saluti l’ex presidente dei Ds si è fermato a parlare con Gaetano Quagliariello chiedendogli “cosa avrebbe votato al referendum”. D’Alema ricorda di aver detto “che in caso di vittoria del sì, Renzi ci avrebbe cacciato dal partito. Ma si trattava chiaramente di una battuta, non di una dichiarazione politica. In più, non ho mai parlato della Raggi. Per questo dico che è una montatura. Anzi, si tratta di pura spazzatura da parte di un giornale che perde lettori, così come noi del Pd stiamo perdendo elettori”. Anche Gaetano Quagliariello, intervistato dall’Huffington Post, ammette che ci sia stato uno scambio di battute con D’Alema, un “siparietto” dove “non sono certo mancate le iperbole e le reciproche scherzose invettive”, ma “nulla di più”. Secondo D’Alema tutta la vicenda “dimostra e conferma il livello di degrado del giornalismo italiano. De Marchis, l’autore dell’articolo su ‘Repubblica’, non mi ha mai chiamato: ha telefonato a Massimo Bray, che gli ha detto in maniera inequivocabile che le frasi attribuitemi non erano vere. Scriverle lo stesso è stata dunque una menzogna, che ha come mandanti chi mi vuole adoperare come capro espiatorio”.