Trovarsi in una chiesa cattolica in un Paese arabo. Si può partecipare, se si vuole, a un rito religioso celebrato da un sacerdote. Con la tolleranza benevola dello Stato, anzi, con la “benedizione” dello Stato. Questa è la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, nel quartiere di Ruwi, ma ce ne sono altre tre. Quella dello Spirito Santo è sempre nella capitale, precisamente a Ghala, costruita su un terreno donato dal sultano. Che ci ha anche messo un organo, regalo personale. Quattro parrocchie, tutte edificate con i soldi dello Stato, una decina di sacerdoti e qualche decina di migliaia di fedeli lasciati liberi di professare il proprio credo. La tolleranza non è riservata solo ai cattolici. Anche gli altri cristiani, ortodossi o protestanti che siano, hanno i loro templi, così come gli induisti. E se qualcuno vuole inventarsi una religione nuova, no problem.
Il Paese è l’Oman, la capitale è Muscat e il sultano illuminato si chiama Qaboos bin Said al-Said. Così come te lo aspetti, ha barba, baffi e turbante. Si fa la sua conoscenza non appena si arriva: ritratti e gigantografie sono ovunque. Sembra che ogni tanto se ne vada in giro per le strade sull’auto scoperta, gettando banconote. Debolezze medievali da sultano. Ma forse è una leggenda metropolitana. Certo è un tipo fuori dagli schemi. Regna dal 1970, quando ha spodestato il padre, come succede tra sultani, visto che anche il padre aveva spodestato il nonno. Ha 75 anni, sposato e divorziato a stretto giro, senza figli (magari per non fare la fine del padre e del nonno…), non si ha notizia di harem affollati generalmente esibiti, o vantati, dai suoi pari. Anzi, si dice serenamente che sia gay. E sembra non abbia mai smentito. Nessuna notizia nemmeno di follie in Costa Smeralda o a Montecarlo, che dovrebbero far parte della dotazione minima di un sultano che si rispetti. Se ne ha combinata qualcuna l’ha fatto per dovere. O per marketing. Ha un paio di yacht, obbligatori, ormeggiati nel porto che ha il suo nome, presso Mutrah, uno vecchiotto a cui dev’essere affezionato, uno più nuovo, ma niente di clamoroso. Neanche questo è l’ultimo modello. Oggi pare sia molto malato, ma ha già segnato la strada per la successione. La sua influenza positiva dovrebbe avere effetto anche dopo di lui. Forse. Perché ci vuole anche il carisma, ci vuole l’autorevolezza. L’Oman è “schiacciato” sul mare dallo Yemen, complicato e medievale, e dai fantasmagorici Emirati Arabi e Arabia Saudita. Con il primo condivide i paesaggi aspri e montuosi, con gli altri il giallo del deserto. Per il resto non ha preso nulla dai vicini. Sicuramente non gli eccessi. Quando Qaboos bin Said al Said andò al potere, l’Oman aveva tre scuole e 10 chilometri di strade asfaltate. Le donne, naturalmente, erano escluse da tutto, ma lui disse che “se l’energia, le capacità e l’entusiasmo delle donne dovessero essere esclusi dalla vita attiva del Paese, il Paese stesso verrebbe privato del cinquanta per cento del suo genio”, facendo rivoltare nella tomba il padre Said bin Taymur, i capi tribù in cui era divisa la popolazione e probabilmente il 90 per cento della popolazione stessa. Ma non si diede per vinto. Oggi, qui, l’Islam è dolce e tutto è moderato, architettura compresa. Gli edifici non superano l’altezza di pochi piani. Minareti a parte, s’intende. Lo vuole una regola, che impone anche che le costruzioni abbiano qualcosa di tradizionale, che so una cupola o le finestre a graticcio. Le strade sono quelle di un Paese moderno e a scuola ci vanno anche le ragazze. Tolleranza. Certo, vai al mercato e incroci signore totalmente velate, neanche i fori o la fessura per gli occhi (vedono quel che vedono attraverso la trasparenza del tessuto), al seguito di marito e figli. O venditori di vecchi fucili, perché l’uomo armato è una figura necessaria. Ma davanti a una banca del centro di Muscat capita di vedere una donna in minigonna, moderata, e l’aria da manager europea. Basta guardare il palazzo reale, nella città vecchia, per capire chi è Qaboos. Non è la solita reggia maestosa. Sembra fatta con la plastilina colorata dei bambini. Lucidi pilastri di color azzurro, bianco e oro a forma di fungo stilizzato, o di valvole di un vecchio motore a scoppio montate al contrario, reggono un tetto piatto, quadrato. La Grande Moschea, inaugurata nel 2001 e capace di accogliere 20mila fedeli, rispetta tutti i canoni della tradizione, è ovvio. Quindi abbacinanti, candidi marmi, versetti coranici incisi, arabeschi, colonne, a coprire un’area di 416mila metri quadrati fra giardini, zone di rispetto e costruzioni. Nella musalla, cioè la principale sala di preghiera, c’è posto per 6.500 persone su un tappeto di 60 metri per 70, che pesa 21 tonnellate ed è fatto in un unico pezzo con 1.700 milioni di nodi. Il suq è il classico ritrovo delle vecchie generazioni. Quello di Mutrah è il più famoso e incasinato: decine di labirintici, intricati vicoli, dentro e tutt’intorno, centinaia di negozietti, milioni di oggetti d’ogni tipo, fra cui non mancano il khanjar (il pugnale ricurvo che è parte dell’abito tradizionale e compare nell’emblema dell’Oman) e il profumatissimo franchincenso. Qualche chilometri a sudest c’è la Old Muscat, silenziosa, serena, protetta dal mare, dalle alture e da ciò che resta della cinta muraria e dei forti portoghesi.
Said bin Taymur aveva commesso l’errore di mandare il figlio a studiare in Inghilterra. Qaboos ha appreso l’arte della diplomazia utilizzata dagli anglosassoni nella stagione in cui l’Oman è stato protettorato britannico, stagione conclusasi nel 1971. Fece diventare funzionari statali i capi tribù. come gli inglesi usavano i regnanti locali per governare. Niente conflitti, diplomazia. Anche le chiese cristiane e i templi induisti non sono lì per caso. Secondo gli ultimi dati, su una popolazione complessiva di oltre 4.400.000 persone, 2.014.000 (cioè il 45,5 per cento) sono expat. Il 6,5 per cento dei residenti complessivi è di fede cristiana, il 5,5 induista. Sono centinaia di migliaia, per esempio, i lavoratori filippini e indiani. Perché non permettere che pratichino la loro religione, piuttosto che costringerli a nascondersi? Certo, non tutto va il verso giusto. Le tensioni con l’Arabia Saudita, che rinfaccia a Muscat la sua neutralità militare nelle questioni esplosive del Golfo (vedi Yemen) e del Medio Oriente (vedi Siria) e le buone relazioni che il piccolo sultanato intrattiene con l’Iran, a volte raggiungono il livello di guardia. Mettendo a dura prova il suo status di “Svizzera della penisola arabica”. In più, la crisi del prezzo del greggio continua a ridurre le entrate. L’80 per cento dell’economia omanita si basa sull’estrazione e il commercio del petrolio. Vista la situazione, è stata annunciata una politica di austerità, che taglierà oltre il 15 per cento della spesa pubblica. In Oman non si pagano Iva e imposte sul reddito delle persone fisiche. Le sovvenzioni all’agricoltura e alla pesca – alla base dell’economia di sussistenza prima dello sfruttamento delle risorse petrolifere – non si contano. I giovani che mettono su famiglia e le donne sole (divorziate) possono ottenere un pezzo di terra gratis per costruirci la casa. L’assistenza sanitaria, che è a livello europeo, viene concessa con l’acquisto di un tesserino annuale del costo, tradotto, di 2 dollari e mezzo: un chilo di frutta costa di più. Le scuole sono gratuite fino al secondo grado e se sei bravo ti mandano a studiare all’estero. Benefici riservati ai cittadini, s’intende.
L’incubo di Qaboos è il petrolio che finisce. Le riserve mettono l’Oman al 24esimo posto nella classifica dei Paesi produttori, così il sultano non trascura la possibilità di sfruttare altre risorse. Per esempio il turismo. Gli ingredienti ci sono. Montagne magnificamente inquietanti, spoglie e cupe che ti sembra di essere agli albori del creato, o alla sua fine, un deserto ocra di dune e spianate infinite da far concorrenza in bellezza e pace al Sahara, una vivace capitale (in realtà Muscat è quasi una regione, che racchiude diversi agglomerati), qualche riserva naturale. E poi il mare e le spiagge. Se solo gli omaniti si preoccupassero di tenerle con più cura… Spesso trascurate, a parte quelle linde e perfette davanti agli hotel, che sono di lusso. E quelle della riserva naturale delle isole Daymaniyat. Nove piccole terre una decina di miglia al largo della città di Barka, che è a una sessantina di chilometri a ovest di Muscat. Un tragitto in barca per raggiungere quei cento ettari di paesaggi marini e spiagge perfetti. C’è da guardare il cielo, perché è zona di passaggio di uccelli migratori, e da frugare sotto l’acqua con maschera e pinne, perché capita di nuotare con due o tre tartarughe intorno. Mezzi veloci fanno la spola dagli alberghi 5 stelle: passare una giornata nel silenzio della natura è una prassi. Se non ci si accontenta delle piscine e delle spiagge privatissime degli hotel.
Poi le alture. Lasci Muscat e comincia a comparire una terra bruna che piano piano si alza, fino a diventare montagna. Una sosta o due per vedere un forte coloniale, sempre portoghese, ogni tanto un villaggetto sperduto. Un panorama grandioso, pietroso, larghi canyon, spuntoni, picchi, gole, qualche torrente, polvere. Al-Hamra è fatto di case di fango, le contadine sono a testa scoperta e portano abiti multicolori. I monti Al-Hajar, fra il Jebel Akhdar e il Jebel Shams, non scherzano: superano i 3.000 metri di altitudine. Freddo, anche un po’ di nebbia, un hotel che sembra un rifugio e intorno un paesaggio inquietante ma magnifico.
Poi il deserto. Due milioni e 220.700 chilometri quadrati dallo Yemen al Golfo, dall’Oman alla Giordania e all’Iraq; nell’area meridionale della penisola arabica c’è il Rub’ al-Khali, il “quarto vuoto”, che con i suoi 650.000 chilometri quadrati è la seconda più grande distesa di sabbia del pianeta. Si prende la fascia occidentale dell’Oman, dove ci sono anche le dune di Ash-Sharqiyah (Wahiba Sands), di Bawshar, di Ramlat Tawq. Nel sultanato o vivi a nord o vivi a sud. In mezzo deserto, che occupa l’80 per cento della superficie del Paese: 309.000 chilometri quadrati, appena più dell’Italia. La sabbia ocra chiaro sembra pettinata tutti i giorni, le piste piatte e veloci che ti pare di fare una Dakar. Ogni tanto un gruppetto di dromedari che spunta oltre il finestrino, la tenda di una famiglia beduina, una carovana di pick-up. La traversata da nord a sud è lunga e può essere faticosa, ma ti porta sicuramente al mare e nelle piacevoli città meridionali. Insomma, è un deserto addomesticato, ma che non perde il suo fascino. Una tenda di beduini è attrezzata a shop per turisti. Piccola concessione al business. Dentro è tutto reale. La titolare è vestita di abiti ricamati e ha il volto coperto dalla maschera in uso fra le beduine al posto del velo. Ogni tanto il deserto si eleva in dune magnifiche: le Wahiba Sands. Lì ci sono piccoli resort rustici, fatti di bungalow. Nel Khaluf niente bungalow, si pianta un campo di tende. Con il fuoco in mezzo, spiedini a cuocere, tè da bere alla luce della luna. Qui la sabbia non è più ocra, ma bianca come il latte.
Poi un altro giorno si va a vedere le tartarughe che depongono le uova. In un incredibile posto che si chiama Ras al-Jinz, uno spiaggione dove decine di tartarughe si ritrovano puntualmente. A debita distanza è stato costruito un villaggetto di bungalow con ogni confort, un ristorante discreto e un piccolo museo. Cascasse il mondo, vengono sempre qui le tartarughe. Un appuntamento fisso che attira migliaia di turisti. Lento come una tartaruga, si dice. Lento, ma inesorabile. Quando il petrolio sarà finito si punterà sulle tartarughe.
L’OMAN IN PILLOLE
Info: www.omantourism.gov.om
Sul sito si possono trovare informazioni utili (anche in italiano) per organizzarsi un viaggio: cosa fare, cosa vedere, come muoversi, sistemazioni alberghiere ecc.
Moneta: rial (OMR). 1 OMR=2,30 euro circa.
Fuso orario: + 3 ore rispetto all’Italia, + 2 quando è in vigore l’ora legale.
Documenti: passaporto con almeno 6 mesi di validità residua all’ingresso nel Paese e due pagine libere; visto, che può essere fatto direttamente all’arrivo (può essere anche richiesto online: https://evisa.rop.gov.om/voa). Costa 5 rial (poco meno di 12 euro) per 10 giorni, 20 rial (poco più di 46 euro) per 30 giorni. Naturalmente ci si può anche rivolgere all’ambasciata a Roma (Via Della Camilluccia 625, tel. 0636300517). Va utilizzato entro tre mesi dalla data di rilascio. Vel per un solo ingresso. Se si vuole raggiungere la regione di Musandam (exclave omanita negli Emirati Arabi Uniti) occorre verificare che sia registrata l’uscita dal Paese sul passaporto (in alcuni casi non c’è una vera frontiera).
Stagione migliore: fra ottobre e marzo aprile, quando le temperature scendono, cioè si aggirano intorno ai 30 gradi (qualcuno più, qualcuno meno) e le sere sono più fresche. Il sud, in particolare, conosce una stagione dei monsoni (in un Paese estremamente arido e dove non piove quasi mai) e quindi beneficia di estati fresche. Negli altri mesi il termometro supera frequentemente i 40 gradi.
VOLI
Oman Air
Collegamento diretto da Milano Malpensa per Muscat Seeb (6 ore e mezza-7 di volo).
www.omanair.com
Tutte le altre compagnie aeree fanno almeno uno scalo. Buone soluzioni sono proposte da Turkish, con stop a Istanbul (www.turkishairlines.com), ed Etihad (www.etihad.com/it-it), con scalo ad Abu Dhabi.
VIAGGI ORGANIZZATI
Sono molti i tour operator italiani che organizzano viaggi in Oman, di gruppo o tailor made. Eccone alcuni:
Azonzo, www.azonzotravel.com/destinazioni-medio-oriente/medioOriente/viaggi-in-oman/59/
Goasia, www.goasia.it/viaggi/localit%C3%A0_oman
Kel 12, www.kel12.com/risultati.aspx?o=i&n=68
Metamondo, www.metamondo.it/destinazioni/oman/tour.htm
Ruby Travel, www.rubytravel.it/destinazione/medio-oriente/oman
Tucano Viaggi, www.tucanoviaggi.com/index.php?option=com_zoo&task=item&item_id=612&Itemid=198
Viaggi dell’elefante, www.viaggidellelefante.it/medio-oriente/oman
Viaggi di Maurizio Levi, www.viaggilevi.com/stato/oman