Chiarisco subito che, pur essendo laureato in ingegneria, ho studiato al classico conservando un profondo amore per la cultura latina e greca, che ritengo alla base della nostra civiltà. Non proporrò quindi di sostituire lo studio del latino con quello dell’informatica, né di diminuire la formazione umanistica nella nostra scuola. Tutt’altro.
Parto dalla dichiarazione che la ministra Stefania Giannini aveva rilasciato in occasione dell’avvio del secondo anno di Programma il Futuro: “Il coding non è un’attività per informatici, ma una competenza trasversale che, come per le competenze linguistiche, è fondamentale acquisire fin dai primi anni di studio. Il coding è una nuova lingua, una lingua computazionale, e impararla è un modo straordinario per entrare nel mondo con il piede giusto. La scuola deve essere protagonista nella diffusione di queste nuove esperienze”.
Collego a queste considerazioni alcune riflessioni di un grande matematico francese, Cédric Villani, recentemente vincitore della Medaglia Fields, considerata il premio Nobel per la Matematica, anche lui un convinto sostenitore dell’importanza di insegnare l’informatica nelle scuole. In alcune sue recenti dichiarazioni egli confronta il linguaggio della programmazione e gli altri linguaggi. Villani accosta il linguaggio della programmazione a quello della matematica, come “lingue che aiutano l’uomo nella sua battaglia per la comprensione del mondo” e le distingue dalle lingue come l’inglese o il tedesco “che servono nella comunicazione tra le persone”.
Parla poi delle lingue come il latino che si imparano attraverso le regole (invece che attraverso il dialogo) per sottolineare come il loro valore formativo risieda “nella disciplina mentale che bisogna avere, nella ginnastica intellettuale che costringe ad integrare i vari insiemi di regole, combinazioni e configurazioni”. Questo esercizio, continua, è benefico per i nostri circuiti neuronali esattamente come quello praticato nello studio della matematica o nell’esercizio del pensiero computazionale. Questo termine è quello che usiamo quando vogliamo sottolineare gli aspetti culturali dell’informatica, indipendentemente dalla tecnologia digitale in cui essa si manifesta ormai dovunque intorno a noi. Ne ho recentemente discusso un esempio pratico.
Villani sottolinea poi un ulteriore vantaggio educativo che ha l’informatica: “È praticamente la sola disciplina che permette agli studenti di correggersi da soli”. Diversamente da altri linguaggi, nei quali in assenza di una correzione da parte del docente è facile perseverare nell’errore, un programma informatico che non raggiunge il suo obiettivo manifesta immediatamente il suo fallimento. Anche se questa osservazione non va considerata in modo assoluto (dal momento che – come accade in molti altri contesti – si può raggiungere l’obiettivo desiderato anche con un metodo scorretto) il fatto che, nel corso del processo di apprendimento si possano insegnare i concetti fondamentali del pensiero computazionale mediante attività didattiche che segnalano subito allo studente se sta procedendo o meno in modo corretto, è estremamente utile.
E, aggiungo io, è ugualmente vantaggioso, in termini di coinvolgimento degli studenti, che quest’apprendimento possa avvenire in modo visibile e costruttivo, muovendo un personaggio sullo schermo o un robottino sul pavimento della classe o – come accade nelle versioni non tecnologiche delle nostre attività didattiche – guidando un compagno ad attraversare un labirinto. Proprio questa capacità di feedback immediato è uno dei motivi dell’attrazione dei più giovani, che li ha indotti a partecipare numerosi al concorso Codi-Amo, una competizione basata sul pensiero computazionale e su come esercitarlo e formarlo.
Quasi 800 scuole e 1.200 docenti hanno lavorato, tra marzo ed aprile (mesi generalmente molto impegnativi nelle scuole), per inviare quasi 2.000 elaborati (con una mobilitazione quindi di circa 40.000 studenti) nei quali hanno realizzato storie, giochi e grafica, utilizzando la programmazione informatica. Nel corso dell’evento di chiusura del secondo anno di Programma il Futuro, sono stati premiati i 34 vincitori delle risorse messe a disposizione dai partner dell’iniziativa, ed assegnate numerose menzioni d’onore e di merito a classi, istituti e docenti che si sono particolarmente distinti per qualità ed impegno.
È stato anche il momento di tirare le somme della partecipazione al progetto: raggiunto e superato il milione di studenti che la ministra aveva auspicato all’apertura del secondo anno, ogni altro indicatore numerico segnala un risultato estremamente lusinghiero, a riprova del grande interesse di insegnanti e studenti agli aspetti culturali della programmazione informatica.
Vale la pena sottolineare che questi numeri corrispondono a quasi il 15% del sistema scolastico italiano. Riprendendo i termini introdotti da Everett Rogers per descrivere la diffusione delle innovazioni, è interessante quindi osservare che la propagazione del pensiero computazionale nelle scuole ha di fatto quasi superato sia la fase degli innovatori (i primissimi che si avventurano nell’usare le novità) che quella dei pionieri (la seconda ondata che colonizza le nuove terre). Considerando che l’adesione al progetto è lasciata alla libera scelta delle scuole, vuol dire che i nostri docenti sono in grado di reagire positivamente a stimoli culturalmente interessanti e che, forse, per i nostri studenti l’informatica può essere una disciplina più amata di latino e matematica per sviluppare le capacità cognitive razionali. Speriamo allora, con il prossimo anno, di riuscire ad arrivare al coinvolgimento della cosiddetta maggioranza anticipatrice, per trasformare quest’innovazione in un fenomeno di massa che possa contribuire ad un migliore futuro per l’Italia.