Quello che si annuncia è un “totale collasso della pubblica sicurezza, della sanità, dell’istruzione, della mobilità e della gestione ambientale”. Un quadro inquietante da affrontare per qualsiasi governo, che diventa emergenza di rilievo internazionale, se lo Stato in default è quello che dovrà in larga parte gestire un evento complesso e difficile come le Olimpiadi. Da mesi in gravissime difficoltà economiche, a 49 giorni dall’inizio dei giochi di Rio 2016, lo Stato ha alzato bandiera bianca, scaricando la responsabilità di ogni eventuale problema durante le Olimpiadi sul governo federale. Il governatore facente funzione, Francisco Dornelles, ha decretato lo stato di calamità pubblica con un’edizione straordinaria della gazzetta ufficiale diffusa lo scorso venerdì. E la notizia ha fatto in breve il giro del mondo. Le conseguenze nefaste del blocco dei servizi infatti, non si abbatterebbero solo sui cittadini di Rio, ma anche sulle migliaia di atleti provenienti da tutto il mondo per le prime storiche Olimpiadi in Sud America.
La dichiarazione di Dornelles “la grave crisi finanziaria ci impedisce di onorare gli impegni presi per la realizzazione delle Olimpiadi e Paraolimpiadi”, è da far tremare i polsi. Che si tratti di una mossa politica per scaricare sul governo centrale il grosso delle spese da affrontare per gestire l’evento e trasferire a Brasilia le responsabilità di un possibile caos, è sensazione di molti. Ma non sarà certo la consapevolezza di un’eventuale macchinazione politica a far rientrare la preoccupazione che resta altissima.
Lo Stato di Rio raschia il fondo del barile da tanto ormai e da molti mesi non paga più regolarmente neanche gli stipendi di tutti i suoi dipendenti. I salari arrivano parziali, rateizzati e sistematicamente in ritardo. Stesso discorso per le pensioni. Il debito accumulato è stimato in circa 19 milardi di Real. Aver puntato tutto sulle Olimpiadi in un’epoca nella quale la situazione economica complessiva era estremamente migliore, ha spinto a spendere oltre le proprie possibilità sia nella costruzione di infrastrutture olimpiche che in quelle di mobilità urbana. Senza dimenticare il piano di pacificazione delle favelas, fallito, e costato decine di miliardi.
La costante e continua crescita delle spese negli ultimi anni, è stata inversamente proporzionale alle entrate nelle casse dello Stato, soprattutto degli introiti dell’estrazione petrolifera. Ora che si è giunti a poche settimane dall’inizio delle Olimpiadi, tutti i nodi di una gestione ‘allegra’ sulla quale costante si è allungata l’ombra lunga della corruzione, sono venuti al pettine. Le imprese investigate nel maxigiro di tangenti Lava Jato, hanno infatti complessivamente intercettato il 73% dei 37,6 miliardi di Real stanziati per Rio2016.
Gli effetti del fallimento dello Stato, potrebbero aggravare ulteriormente la situazione in quelle aree da sempre storicamente in ritardo nel Paese. Già prima che la situazione si aggravasse, gli ospedali di Rio erano ben al di sotto di uno standard vagamente accettabile. Lo scorso mese di novembre, quando le casse dello Stato si scoprirono vuote per la prima volta, molti ospedali furono costretti a chiudere. Due furono municipalizzati. Attualmente si registrano sistematiche carenze di personale, medicinali e denaro per la gestione delle attività ordinarie.
Le scuole pubbliche, da sempre stabilmente in coda nelle classifiche di qualità internazionali, sono al collasso. Mancano strutture e insegnanti. Numerose sono le proteste e le occupazioni da parte di studenti che vengono sistematicamente represse nel sangue. Il quadro complessivo della sicurezza è da paura. La città è ostaggio della criminalità. Le forze dell’ordine non sono in grado di dare alcuna risposta. Da quando Rio è stata scelta come sede dei giochi olimpici, la polizia in servizio – come riportano gli studi di Amnesty International – è stata responsabile di circa 2.500 assassinii. Nonostante il costosissimo piano di pacificazione delle favelas, la situazione è di guerra ovunque. E può solo peggiorare. Lo Stato non sarà in grado di pagare gli straordinari ai poliziotti durante le Olimpiadi, questo limiterà il numero di agenti in strada e spingerà a un maggiore ricorso alle forze armate.
Le Olimpiadi che avrebbero dovuto contribuire a proiettare il Brasile nel cerchio delle grandi potenze, rischiano ora di avere un effetto boomerang e compromettere l’immagine del Paese in maniera irrecuperabile. Il tutto in un momento di grande trambusto politico e sociale, dovuto al processo di impeachment in corso per la presidentessa Dilma Rousseff. In molti avevano sostenuto che Rio non fosse in grado di ospitare un evento della portata delle Olimpiadi, ma forse neanche il peggiore dei pessimisti sarebbe riuscito probabilmente a immaginare un tale disastro.
Olimpiadi Rio 2016, Brasile a rischio default: sanità, mobilità e pubblica sicurezza al collasso
Da mesi in gravissime difficoltà economiche, a 49 giorni dall’inizio dei giochi il governatore facente funzione Francisco Dornelles ha decretato lo stato di calamità economica: "La grave crisi finanziaria ci impedisce di onorare gli impegni presi". Negli ospedali si registrano sistematiche carenze di personale, medicinali e denaro per la gestione delle attività ordinarie, mentre mancano i soldi per pagare gli straordinari alla polizia
Quello che si annuncia è un “totale collasso della pubblica sicurezza, della sanità, dell’istruzione, della mobilità e della gestione ambientale”. Un quadro inquietante da affrontare per qualsiasi governo, che diventa emergenza di rilievo internazionale, se lo Stato in default è quello che dovrà in larga parte gestire un evento complesso e difficile come le Olimpiadi. Da mesi in gravissime difficoltà economiche, a 49 giorni dall’inizio dei giochi di Rio 2016, lo Stato ha alzato bandiera bianca, scaricando la responsabilità di ogni eventuale problema durante le Olimpiadi sul governo federale. Il governatore facente funzione, Francisco Dornelles, ha decretato lo stato di calamità pubblica con un’edizione straordinaria della gazzetta ufficiale diffusa lo scorso venerdì. E la notizia ha fatto in breve il giro del mondo. Le conseguenze nefaste del blocco dei servizi infatti, non si abbatterebbero solo sui cittadini di Rio, ma anche sulle migliaia di atleti provenienti da tutto il mondo per le prime storiche Olimpiadi in Sud America.
La dichiarazione di Dornelles “la grave crisi finanziaria ci impedisce di onorare gli impegni presi per la realizzazione delle Olimpiadi e Paraolimpiadi”, è da far tremare i polsi. Che si tratti di una mossa politica per scaricare sul governo centrale il grosso delle spese da affrontare per gestire l’evento e trasferire a Brasilia le responsabilità di un possibile caos, è sensazione di molti. Ma non sarà certo la consapevolezza di un’eventuale macchinazione politica a far rientrare la preoccupazione che resta altissima.
Lo Stato di Rio raschia il fondo del barile da tanto ormai e da molti mesi non paga più regolarmente neanche gli stipendi di tutti i suoi dipendenti. I salari arrivano parziali, rateizzati e sistematicamente in ritardo. Stesso discorso per le pensioni. Il debito accumulato è stimato in circa 19 milardi di Real. Aver puntato tutto sulle Olimpiadi in un’epoca nella quale la situazione economica complessiva era estremamente migliore, ha spinto a spendere oltre le proprie possibilità sia nella costruzione di infrastrutture olimpiche che in quelle di mobilità urbana. Senza dimenticare il piano di pacificazione delle favelas, fallito, e costato decine di miliardi.
La costante e continua crescita delle spese negli ultimi anni, è stata inversamente proporzionale alle entrate nelle casse dello Stato, soprattutto degli introiti dell’estrazione petrolifera. Ora che si è giunti a poche settimane dall’inizio delle Olimpiadi, tutti i nodi di una gestione ‘allegra’ sulla quale costante si è allungata l’ombra lunga della corruzione, sono venuti al pettine. Le imprese investigate nel maxigiro di tangenti Lava Jato, hanno infatti complessivamente intercettato il 73% dei 37,6 miliardi di Real stanziati per Rio2016.
Gli effetti del fallimento dello Stato, potrebbero aggravare ulteriormente la situazione in quelle aree da sempre storicamente in ritardo nel Paese. Già prima che la situazione si aggravasse, gli ospedali di Rio erano ben al di sotto di uno standard vagamente accettabile. Lo scorso mese di novembre, quando le casse dello Stato si scoprirono vuote per la prima volta, molti ospedali furono costretti a chiudere. Due furono municipalizzati. Attualmente si registrano sistematiche carenze di personale, medicinali e denaro per la gestione delle attività ordinarie.
Le scuole pubbliche, da sempre stabilmente in coda nelle classifiche di qualità internazionali, sono al collasso. Mancano strutture e insegnanti. Numerose sono le proteste e le occupazioni da parte di studenti che vengono sistematicamente represse nel sangue. Il quadro complessivo della sicurezza è da paura. La città è ostaggio della criminalità. Le forze dell’ordine non sono in grado di dare alcuna risposta. Da quando Rio è stata scelta come sede dei giochi olimpici, la polizia in servizio – come riportano gli studi di Amnesty International – è stata responsabile di circa 2.500 assassinii. Nonostante il costosissimo piano di pacificazione delle favelas, la situazione è di guerra ovunque. E può solo peggiorare. Lo Stato non sarà in grado di pagare gli straordinari ai poliziotti durante le Olimpiadi, questo limiterà il numero di agenti in strada e spingerà a un maggiore ricorso alle forze armate.
Le Olimpiadi che avrebbero dovuto contribuire a proiettare il Brasile nel cerchio delle grandi potenze, rischiano ora di avere un effetto boomerang e compromettere l’immagine del Paese in maniera irrecuperabile. Il tutto in un momento di grande trambusto politico e sociale, dovuto al processo di impeachment in corso per la presidentessa Dilma Rousseff. In molti avevano sostenuto che Rio non fosse in grado di ospitare un evento della portata delle Olimpiadi, ma forse neanche il peggiore dei pessimisti sarebbe riuscito probabilmente a immaginare un tale disastro.
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(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.