Immagino non sia un mistero per chi segue questo blog che io sia un liberale europeista convinto. Proprio per questa ragione tifo Brexit.
L’apparente contraddizione è presto spiegata. I vari governi del Regno Unito succedutisi nei passati 40 anni, all’interno delle istituzioni europee si sono distinti soprattutto per una pertinace azione di sabotaggio. Talora subdola, talaltra gretta, spesso sguaiata e arrogante. Qualsiasi progetto che consentisse sostanziali passi in avanti verso un’Europa federale con un’assemblea legislativa che approvasse leggi cogenti su tutto il territorio dell’Unione, con un esercito europeo e con un governo sovranazionale (e dunque una politica fiscale sottratta agli stati) trovava nel governo di Londra, indipendentemente dal colore, un’opposizione intrisa di xenofobia e di becera retorica. Per di più sbandierata in modo rozzo, invocando un fantomatico interesse nazionale per imbonire, attraverso la cinghia di trasmissione dei tabloid, l’elettorato più retrivo ed ignorante.
Qualche anima pia si culla nell’illusione che l’influenza inglese abbia introdotto nelle direttive europee elementi di modernizzazione favorevoli all’economia di mercato e al libero scambio. Non escludo che in qualche isolata circostanza questo sia potuto accadere, ad esempio, quando erano in ballo gli interessi della City londinese e del settore finanziario. Oppure quando gli Usa hanno esercitato pressioni sul governo di Londra per sostenere la loro agenda grazie alla “relazione speciale” tra ex colonia e madrepatria (a parti invertite).
Ma in generale, dall’Unione monetaria al Trattato di Schengen, la pulsione incontrollabile al sabotaggio del progetto federale, avvolta in una patina di santimonia, è stata la stella polare delle autorità britanniche. Ci è toccato sopportare i calci di mulo di élite insulari, dedite alla necrofilia di una sovranità nazionale trascinata nei gorghi tragici della Seconda guerra mondiale e annichilita definitivamente con la globalizzazione.
Ci vengono propinate le farneticazioni sul fatto che l’Unione Europea impedisca al Regno Unito di approvare riforme pro mercato o di sburocratizzare l’amministrazione pubblica o di abbassare le tasse. Basta attraversare lo stretto braccio di mare che separa la Gran Bretagna dall’Irlanda o recarsi nei Paesi baltici per rendersene conto.
Purtroppo l’attuale assetto istituzionale europeo ha toccato un punto di degrado irrimediabile, impantanato in una pletora di bizantinismi vacui e privi di efficacia tipo il “six pack”, gli accordi sull’immigrazione, il fiscal compact (che un Renzi qualunque può permettersi di irridere impumente). E’ del tutto futile cercare di venirne fuori nel contesto di una mini Onu con 28 membri, la maggior parte dei quali ha dimensioni lillipuziane e ruolo internazionale da operetta. Solo per fare l’appello dei ministri nei cosiddetti vertici europei si perde mezz’ora.
E’ urgente mettere in cantiere una cooperazione rafforzata prevista dal Trattato di Lisbona per dare il soffio di vita ad un’Unione di stampo federale formata da pochi paesi coesi, sottratti al ricatto e alle tattiche ignobili di politicanti che in pubblico sfoggiano l’accento delle Università e delle scuole dalle pompose tradizioni, ma che in privato sobillano la teppa con slogan del tipo “One Meter, One Euro, one Reich”.
La Brexit peraltro produrrebbe una serie di indubbi benefici.
- Se davvero, come asseriscono i Nigel Farage e i Boris Johnson, tra un whisky e l’altro, il Regno Unito liberato da questi fantomatici lacci della bieca Europa dei burocrati trasmuterà nel fantastico nirvana della libera iniziativa, dell’innovazione, degli animal spirit e del libero scambio internazionale ci sarebbe di che gioire. Il Regno Unito diventerebbe il laboratorio di un esperimento economico il cui successo sarebbe fonte di ispirazione per l’UE (e per il resto del mondo).
- La Brexit spingerebbe ad analoghe iniziative altri paesi a cui l’UE sta stretta (dopo averne succhiato copiosamente le risorse per uscire dalla miseria nazional comunista) tipo la Polonia o l’Ungheria. Al contrario di quello che paventano gli europeisti da salotto, eliminare le serpi parassite rafforzerebbe l’Europa, esattamente come l’uscita della Grecia rafforzerebbe l’euro.
- La City londinese è un centro finanziario di dimensioni spropositate per un’economia di modesta taglia. Per di più è piagato da una supervisione arcaica ed inetta, affidata in prevalenza a emeriti incapaci, gonfi di sussiego. Nel 2008 l’intero settore bancario britannico (insieme a quello irlandese) crollò come una pila di barbabietole marce. Da allora, a parte il supporto pubblico ai bancarottieri, la piaga non è stata cauterizzata. Se la Brexit riducesse il peso di questo bubbone nell’architettura finanziaria globale si eviterebbe una pesante concentrazione di rischi per l’economia globale.
- Dal Regno Unito nel giro di un paio di anni si staccherebbero Scozia e Galles, che aspirano a rimanere nell’UE, lasciando che i nostalgici dell’Impero e i cultori delle parate militari a cavallo si rimirino estasiati l’ombelico.
Per cui, nel malagurato caso che nel referendum (il quale, detto per inciso, essendo consultivo, dal punto di vista giuridico vale quanto un rotolo di carta a due veli) prevalesse di misura il Bremain, andrebbe indetto un referendum nel resto dell’Unione Europea per chiedere ai cittadini se non sia opportuno mettere alla porta i sabotatori una volta per tutte.
Fabio Scacciavillani
Economista e asset manager
Zonaeuro - 23 Giugno 2016
Sono un liberale europeista convinto. Proprio per questo tifo Brexit
Immagino non sia un mistero per chi segue questo blog che io sia un liberale europeista convinto. Proprio per questa ragione tifo Brexit.
L’apparente contraddizione è presto spiegata. I vari governi del Regno Unito succedutisi nei passati 40 anni, all’interno delle istituzioni europee si sono distinti soprattutto per una pertinace azione di sabotaggio. Talora subdola, talaltra gretta, spesso sguaiata e arrogante. Qualsiasi progetto che consentisse sostanziali passi in avanti verso un’Europa federale con un’assemblea legislativa che approvasse leggi cogenti su tutto il territorio dell’Unione, con un esercito europeo e con un governo sovranazionale (e dunque una politica fiscale sottratta agli stati) trovava nel governo di Londra, indipendentemente dal colore, un’opposizione intrisa di xenofobia e di becera retorica. Per di più sbandierata in modo rozzo, invocando un fantomatico interesse nazionale per imbonire, attraverso la cinghia di trasmissione dei tabloid, l’elettorato più retrivo ed ignorante.
Qualche anima pia si culla nell’illusione che l’influenza inglese abbia introdotto nelle direttive europee elementi di modernizzazione favorevoli all’economia di mercato e al libero scambio. Non escludo che in qualche isolata circostanza questo sia potuto accadere, ad esempio, quando erano in ballo gli interessi della City londinese e del settore finanziario. Oppure quando gli Usa hanno esercitato pressioni sul governo di Londra per sostenere la loro agenda grazie alla “relazione speciale” tra ex colonia e madrepatria (a parti invertite).
Ma in generale, dall’Unione monetaria al Trattato di Schengen, la pulsione incontrollabile al sabotaggio del progetto federale, avvolta in una patina di santimonia, è stata la stella polare delle autorità britanniche. Ci è toccato sopportare i calci di mulo di élite insulari, dedite alla necrofilia di una sovranità nazionale trascinata nei gorghi tragici della Seconda guerra mondiale e annichilita definitivamente con la globalizzazione.
Ci vengono propinate le farneticazioni sul fatto che l’Unione Europea impedisca al Regno Unito di approvare riforme pro mercato o di sburocratizzare l’amministrazione pubblica o di abbassare le tasse. Basta attraversare lo stretto braccio di mare che separa la Gran Bretagna dall’Irlanda o recarsi nei Paesi baltici per rendersene conto.
Purtroppo l’attuale assetto istituzionale europeo ha toccato un punto di degrado irrimediabile, impantanato in una pletora di bizantinismi vacui e privi di efficacia tipo il “six pack”, gli accordi sull’immigrazione, il fiscal compact (che un Renzi qualunque può permettersi di irridere impumente). E’ del tutto futile cercare di venirne fuori nel contesto di una mini Onu con 28 membri, la maggior parte dei quali ha dimensioni lillipuziane e ruolo internazionale da operetta. Solo per fare l’appello dei ministri nei cosiddetti vertici europei si perde mezz’ora.
E’ urgente mettere in cantiere una cooperazione rafforzata prevista dal Trattato di Lisbona per dare il soffio di vita ad un’Unione di stampo federale formata da pochi paesi coesi, sottratti al ricatto e alle tattiche ignobili di politicanti che in pubblico sfoggiano l’accento delle Università e delle scuole dalle pompose tradizioni, ma che in privato sobillano la teppa con slogan del tipo “One Meter, One Euro, one Reich”.
La Brexit peraltro produrrebbe una serie di indubbi benefici.
Per cui, nel malagurato caso che nel referendum (il quale, detto per inciso, essendo consultivo, dal punto di vista giuridico vale quanto un rotolo di carta a due veli) prevalesse di misura il Bremain, andrebbe indetto un referendum nel resto dell’Unione Europea per chiedere ai cittadini se non sia opportuno mettere alla porta i sabotatori una volta per tutte.
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Paragon, “software spia era in uso ai Servizi italiani”. E l’azienda cancella il contratto. Opposizioni: “Governo smentito, ora spieghi”
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L’Unione Europea pensa alla marcia indietro sulle sole auto elettriche dal 2035: “Sì anche alle ibride”
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Si fingevano il ministro Guido Crosetto, oppure un generale o un sedicente funzionario del ministero della Difesa e provavano a truffare ingenti somme a degli imprenditori, cinque quelli a conoscenza dello stesso esponente di Fratelli d'Italia che ha denunciato la truffa. Due le vittime accertate, almeno tre gli altri professionisti che stavano cadendo nella rete di truffatori su cui indaga la procura di Milano guidata da Marcello Viola.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - "Ieri ancora una volta il governo è venuto in Parlamento e non ha detto la verità, non ha avuto il coraggio di assumersi le responsabilità delle sue scelte, si è contraddetto. Noi vogliamo sapere se per tutelare l’interesse nazionale il governo si affida anzi coopera o meglio è complice di una banda di tagliagole, di assassini, di stupratori. Io penso che questo non sia accettabile, che c’è un limite anche a quello che si definisce interesse nazionale. Mi pare del tutto normale che le opposizioni abbiano, in modo molto deciso, sottolineato le incongruenze e siano intenzionate a chiedere che ci siano risposte di verità". Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs parlando con i cronisti davanti a Montecitorio.
"Perché è inaccettabile che alla fine - aggiunge il leader di SI - la politica si infili in una discussione surreale sui cavilli e di cui diventa vittima la realtà, e quei corpi violati da aguzzini senza scrupoli, come si può vedere anche oggi in un nuovo e terribile video diffuso da Repubblica con un uomo legato al parafango e trascinato da un mezzo di quella polizia giudiziaria libica di cui è a capo Almasri gentilmente rilasciato da Nordio e Piantedosi".
"Così come è inaccettabile l’attacco devastante del governo alla Corte Penale Internazionale: ma come si fa a non vedere che ci troviamo in un mondo in guerra nel quale senza questi organismi, anzi senza il loro rafforzamento, senza ricostruire attorno a quegli organi una sorta di sacralità, l’unico elemento che resta in campo è la legge del più forte, della violenza, della violazione sistematica dei diritti? Questo governo - conclude Fratoianni - sta creando un disastro colossale, i cui costi saranno pagati dal nostro Paese".
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Il Governo ha condotto l’Italia al centro di uno scandalo internazionale, impedendo che il criminale libico venisse assicurato alla giustizia. Nordio e Piantedosi ieri si sono smentiti, Meloni è sparita. Ma non può continuare a scappare. Al di là di ogni aspetto giudiziario, deve risponderne sul piano politico, davanti al Parlamento e al Paese”. Così il democratico, Peppe Provenzano.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Sono passate 24 ore dal dibattito parlamentare sulla vicenda che riguarda il criminale AlMasri e che ha evidenziato le bugie dette da questo governo. Vicenda per la quale continuiamo e continueremo a chiedere che Giorgia Meloni venga in Parlamento a spiegare le motivazioni di una scelta, tutta politica, che ha gettato discredito sul nostro Paese, ancor di più dopo che le parole del ministro della Giustizia hanno di fatto aperto un conflitto senza precedenti con la Cpi. Nell’attesa di una risposta positiva ci chiediamo dove la Presidente del Consiglio, di solito loquace sui social e nelle dichiarazioni, sia oggi finita. E’ senza voce o si è nascosta?". Così il presidente di senatori del Pd Francesco Boccia.
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Sono due i professionisti milanesi rimasti impigliati nella truffa telefonica in cui l'interlocutore - usando un numero con il prefisso di Roma - spende il nome del ministro della Difesa Guido Crosetto riuscendo, puntando su messaggi plausibili ed efficaci, a farsi bonificare cifre da diverse decine di migliaia di euro.
Bonifici su cui ora, la procura di Milano, sta indagando cercando di bloccare i soldi elargiti dalle due vittime che hanno denunciato. Il fascicolo aperto per truffa, aggravata delle ingenti somme richieste, è affidato al pm Giovanni Tarzia. L'ipotesi è che siano molti di più i professionisti e gli imprenditori che potrebbero cadere nella rete.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Le parole pronunciate ieri da Nordio hanno aperto uno scontro senza precedenti con la Cpi, frutto delle contraddizioni del Governo e della scelta che Meloni non ha avuto il coraggio di spiegare". Così la segretaria del Pd, Elly Schlein.
"La verità è sotto gli occhi di tutti: Giorgia Meloni ha impedito che un criminale internazionale venisse assicurato alla giustizia, riaccompagnandolo con tutti gli onori laddove può continuare a commettere i suoi crimini. Quello che vogliamo ribadire, ancora una volta -continua- è che l'informativa di ieri non ha chiarito nulla, semmai ha aumentato lo sconcerto: Nordio e Piantedosi si sono presentati con due linee diverse e confliggenti l'una con l'altra".
"Per questo ancora una volta ribadiamo che è Giorgia Meloni a dover rispondere politicamente della vicenda. Davanti al Parlamento e al Paese, basta nascondersi, non parla ormai da giorni, è ora che finalmente chiarisca questa vicenda”, conclude Schlein.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - "Anche oggi il Pd è stato al fianco dei lavoratori della Dema. L’incertezza rispetto al futuro di questa realtà resta ancora troppo alta e per questo sosteniamo le richieste pervenute dai sindacati. Il piano industriale presentato non può essere accettabile, specie per quello che accadrebbe allo stabilimento e ai lavoratori di Somma Vesuviana. Rappresenterebbe inoltre l’ennesimo colpo al nostro territorio che già vive troppe crisi aziendali. Per questo continueremo a tenere alta l’attenzione in difesa del lavoro anche in vista dei prossimi tavoli del 13 e del 17 febbraio". Così i deputati democratici Marco Sarracino, membro della segreteria nazionale Pd, e Arturo Scotto, capogruppo in commissione Lavoro alla Camera.