Il contagiri nella plancia del Jolly Nero era incrostato e inservibile. Già in passato chi lavorava sulla Torre Piloti del Molo Giano del porto di Genova aveva avuto una forte sensazione di paura durante il passaggio delle grandi navi a distanza ravvicinata. Quindi la catena di comando del cargo della compagnia Messina, alle 23.05 del 7 maggio 2013, non aveva idea di come stesse girando l’elica del motore nei secondi precedenti allo schianto contro la torre. Eppure sulla checklist di partenza c’era la spunta che segnava come funzionante il contagiri, necessario durante una manovra delicata come quella costata la vita a 9 persone che prestavano servizio quella sera. E già nei mesi precedenti all’incidente, alcuni loro colleghi avevano espresso forti preoccupazioni per il passaggio ravvicinato di quei grattacieli del mare che arrivavano a sfiorare la torre del Molo Giano, per la cui progettazione ora sono indagate 4 persone in un troncone dell’indagine nata dopo la tragedia di tre anni fa.
Quei due elementi – il contagiri rotto e le segnalazioni ignorate – sono gli elementi chiave sui quali si baserà la richiesta danni punitiva ed esemplare che vogliono portare avanti i legali di Adele Chiello Tusa, la mamma di Giuseppe Tusa, uno dei militari deceduti dopo lo schianto del Jolly Nero contro la sala di controllo sospesa sull’acqua.
Ci sono anche le foto, pubblicate oggi in esclusiva da ilfattoquotidiano.it, a fare da architrave in questa vicenda. Gli avvocati Alessandra Guarini, Cesare Bulgheroni e Massimiliano Gabrielli, team specializzato nei disastri navali già in prima linea nei naufragi della Costa Concordia e del Norman Atlantic, ha annunciato che all’armatore del Jolly Nero verrà avanzata la richiesta per un maxi risarcimento ultracompensativo sulla base di quanto avviene nei Paesi anglosassoni. “In Italia – spiegano i legali – può essere risarcito un danno nei limiti dello stesso sulla base di tabelle di liquidazione nazionale”. All’estero, però, funziona diversamente e chi sbaglia rischia una sanzione economica estremamente maggiore: “La forma risarcitoria definita ‘danno punitivo o esemplare’ svolge una funzione di prevenzione – spiegano i legali a ilfatto.it – Il risarcimento viene moltiplicato in base alla gravità delle condotte di chi ha commesso quell’ingiustizia, soprattutto se era a conoscenza del potenziale pericolo o del malfunzionamento“.
Un caso di scuola è quello legato alle industrie automobilistiche che sono a conoscenza di un difetto di fabbrica di un loro prodotto, ma piuttosto che ritirare le autovetture preferiscono risarcire una singola persona nel momento in cui subisce un danno dovuto a quel difetto. “Se il giudice accerta che il fatto è avvenuto per una grave condotta legata al non aver risolto il problema, può applicare quel danno. Nel caso degli incidenti navali può esserci la mancata formazione dell’equipaggio o, come in questo caso a nostro avviso, una mancata adozione di un investimento per la salvaguardia degli incidenti e delle vite umane – spiegano ancora gli avvocati – Crediamo che nel caso del Jolly Nero il danno punitivo, sul quale c’è sempre più una palese apertura della giurisprudenza, sia perfettamente applicabile perché funziona da deterrente sulla logica del risparmio, una via maestra per molte compagnie marittime. Si può innescare un meccanismo virtuoso con funzione di prevenzione”.
Come già avvenuto con la Concordia e il Norman Atlantic, i legali hanno deciso di pubblicare su un blog buona parte dei materiali raccolti e i resoconti delle udienze, così da creare una piattaforma di confronto con esperti del settore e tenere costantemente aggiornate le persone interessate al processo. E proprio nel processo legato al naufragio del Giglio, il team di avvocati ha ricevuto un primo input positivo alla richiesta del danno punitivo: “I nostri clienti hanno deciso di partecipare al processo penale, saltando le transazioni con l’armatore, perché volevano giustizia. Nel processo di appello sono state aumentate loro le provvisionali fino al 50 per cento: attendiamo le motivazioni, ma riteniamo di aver dimostrato che vi siano stati tali e tanti elementi di responsabilità, oltre a quanto fa capo a Schettino, e che la corte ne abbia tenuto conto nella liquidazione dei danni. Una linea chiara verso il riconoscimento pieno del danno punitivo. L’unico modo per far ragionare chi parla solo la lingua del risparmio”.