L’All England Lawn Tennis and Croquet Club – nel cuore della periferia sudoccidentale di Londra – non è un solo un campo di tennis. E Wimbledon è molto più che una semplice competizione sportiva. Non a caso ama farsi chiamare “The Championships”: “I campionati”, in assoluto, senza complementi di specificazione. Perché Wimbledon è il torneo per eccellenza, simbolo e business della City. Lì non esistono sponsor, solo “partner”. E le aziende pagano per non essere viste: sarebbe un sacrilegio contaminare il tempio della racchetta di volgari marchi commerciali. Eppure, soltanto col suo nome Wimbledon vale centinaia di milioni: nell’ultimo decennio ha prodotto un utile di oltre 280 milioni di sterline. Soldi che vengono utilizzati per sviluppare il tennis in Gran Bretagna, per migliorare e accrescere ulteriormente il mito dei Championships. Una miniera d’oro, che adesso come tutta la Gran Bretagna dovrà fare i conti con la Brexit. E i primi a rimetterci saranno proprio i giocatori: Wimbledon 2016, che avrebbe dovuto essere l’edizione più ricca di sempre, si è svalutata insieme alla sterlina. Il montepremi ha raggiunto quota 28 milioni, di cui due a testa per i vincitori maschile e femminile. Ma il trofeo, dopo il crollo della moneta a causa della fuoriuscita dell’Europa, varrà circa 250mila euro in meno che si fosse disputato una settimana fa.
NIENTE SPONSOR, SOLO PARTNER – L’unicità del torneo, la sacralità di questo luogo, è ribadita visivamente dall’assenza pressoché totale di pubblicità. Gli Open d’Australia e degli Stati Uniti sono tappezzati di sponsor su ogni spazio possibile e immaginabile: il business deriva dalla moltiplicazione esponenziale dei loghi. Al Roland Garros tutto è grandeur francese: i pochi brand eletti sono onnipresenti e rigorosamente transalpini. A Londra neanche quello: gli sponsor praticamente non esistono. Gli organizzatori preferiscono chiamarli partner, e non è solo un modo di dire: le aziende che hanno un rapporto commerciale con l’All England Club (proprietario del torneo di Wimbledon) si contano sulle dite di due mani. E la relazione è sempre duratura, in certi casi secolare: negli ultimi 5 anni sono entrati nel circolo solo Jaguar e Stella Artois, rispettivamente macchina e birra ufficiale del torneo. Nessuno di loro compare in maniera appariscente, tutti si accontentano di fornire ai Championships i materiali di cui hanno bisogno. Quello che sembra un approccio antieconomico, diventa il segreto del successo di Wimbledon. La Rolex segna lo scorrere del tempo sull’erba londinese dal 1978, la Ibm si occupa della parte tecnologica dal ’90. La Slazenger provvede alle palline addirittura dal 1902. E ogni anno ne vengono usate circa 54mila. Fate pure i conti.
MERCHANDISING, BIGLIETTI E DIRITTI TV – Certo, non ci sono solo le multinazionali a foraggiare le casse del torneo. L’All England Club è un tempio, e come ogni pellegrinaggio richiede un souvenir: nel 2015 nei Wimbledon Shops sono stati venduti 30mila asciugamani, 8mila polsini, 7mila portachiavi. Poi ci sono gli incassi da gara. E qui la vendita dei biglietti segue due percorsi nettamente separati: il 75% viene venduto singolarmente, a prezzi tutto sommato popolari. Perché Wimbledon è il torneo degli inglesi, alla portata di tutti: si parte da 25 sterline per il semplice ingresso nel complesso (che dà diritto a vedere i match sui campi secondari). Ma la richiesta è sempre altissima, e infatti i ticket vengono messi a sorteggio: essere estratti nel ballot (rigorosamente separato per residenti Uk e stranieri) è come vincere alla lotteria. Poi ci sono i pacchetti quinquennali, per i più agiati: circa il 25% del totale, che per il periodo 2016-2020 hanno già fruttato la bellezza di 105 milioni di sterline. Ma non c’è dubbio che il grosso degli introiti deriva come sempre dai diritti tv: il torneo ormai viene seguito in 200 Paesi in tutto il mondo. Solo l’emittente statunitense Espn ha pagato 300 milioni di euro per trasmettere le prossime edizioni fino al 2022 negli Usa.
INCASSI RECORD E BREXIT – Facile capire come Wimbledon, oltre ad essere il tempio del tennis, sia anche una inarrestabile macchina da soldi: nella sua storia ultrasecolare (la prima edizione si è disputata nel 1877) ha prodotto un utile di 750 milioni di sterline, di cui 280 negli ultimi 10 anni. Trattandosi di un club privato, non sono disponibili cifre più dettagliate sul fatturato o sulla ripartizione delle entrate. Il 90% di questo “surplus” va alla Lawn Tennis Association, che lo reinveste nello sviluppo del tennis nel Paese e in infrastrutture ad ogni livello (non solo di vertice). E così sarà almeno fino al 2053, scadenza dell’attuale accordo. La situazione è talmente positiva che gli organizzatori, dopo aver inaugurato nel 2009 il tetto retraibile sul campo centrale (dal costo di 100 milioni di sterline) hanno già messo in cantiere la copertura anche del campo n.1, per un investimento di altri 103 milioni entro il 2019. Prima, però, arriverà la Brexit, che avrà delle conseguenze anche sullo sport britannico. Ma il tennis non è il calcio: niente club, leghe, vincoli sui tesseramenti di giocatori extracomunitari. Certo, anche qui potrebbero esserci pesanti ricadute sui contratti già stipulati in sterline per la svalutazione della moneta. E i primi a rimetterci saranno proprio i campioni, che vedranno impoverito il ricco montepremi nel cambio con dollaro e euro. Ma c’è da scommettere che questo non intaccherà l’importanza dei Championships: nessuno potrà permettersi di snobbarli per qualche centinaia di migliaia di euro. Wimbledon, in fondo, è sempre stato il torneo degli inglesi, a cui al massimo si viene accolti come ospiti educati. E tale resterà, con o senza Europa.
Twitter: @lVendemiale
Tennis
Wimbledon 2016, al via il torneo simbolo del tennis. Effetto Brexit: per chi vince 250mila euro in meno (per ora)
Non esistono sponsor, solo “partner”. E le aziende pagano per non essere viste: sarebbe un sacrilegio contaminare il tempio della racchetta con volgari marchi commerciali. Eppure, soltanto col suo nome, vale centinaia di milioni: nell'ultimo decennio ha prodotto un utile di oltre 280 milioni di sterline. Ma ora risentirà degli effetti del referendum per l'uscita dall'Ue
L’All England Lawn Tennis and Croquet Club – nel cuore della periferia sudoccidentale di Londra – non è un solo un campo di tennis. E Wimbledon è molto più che una semplice competizione sportiva. Non a caso ama farsi chiamare “The Championships”: “I campionati”, in assoluto, senza complementi di specificazione. Perché Wimbledon è il torneo per eccellenza, simbolo e business della City. Lì non esistono sponsor, solo “partner”. E le aziende pagano per non essere viste: sarebbe un sacrilegio contaminare il tempio della racchetta di volgari marchi commerciali. Eppure, soltanto col suo nome Wimbledon vale centinaia di milioni: nell’ultimo decennio ha prodotto un utile di oltre 280 milioni di sterline. Soldi che vengono utilizzati per sviluppare il tennis in Gran Bretagna, per migliorare e accrescere ulteriormente il mito dei Championships. Una miniera d’oro, che adesso come tutta la Gran Bretagna dovrà fare i conti con la Brexit. E i primi a rimetterci saranno proprio i giocatori: Wimbledon 2016, che avrebbe dovuto essere l’edizione più ricca di sempre, si è svalutata insieme alla sterlina. Il montepremi ha raggiunto quota 28 milioni, di cui due a testa per i vincitori maschile e femminile. Ma il trofeo, dopo il crollo della moneta a causa della fuoriuscita dell’Europa, varrà circa 250mila euro in meno che si fosse disputato una settimana fa.
NIENTE SPONSOR, SOLO PARTNER – L’unicità del torneo, la sacralità di questo luogo, è ribadita visivamente dall’assenza pressoché totale di pubblicità. Gli Open d’Australia e degli Stati Uniti sono tappezzati di sponsor su ogni spazio possibile e immaginabile: il business deriva dalla moltiplicazione esponenziale dei loghi. Al Roland Garros tutto è grandeur francese: i pochi brand eletti sono onnipresenti e rigorosamente transalpini. A Londra neanche quello: gli sponsor praticamente non esistono. Gli organizzatori preferiscono chiamarli partner, e non è solo un modo di dire: le aziende che hanno un rapporto commerciale con l’All England Club (proprietario del torneo di Wimbledon) si contano sulle dite di due mani. E la relazione è sempre duratura, in certi casi secolare: negli ultimi 5 anni sono entrati nel circolo solo Jaguar e Stella Artois, rispettivamente macchina e birra ufficiale del torneo. Nessuno di loro compare in maniera appariscente, tutti si accontentano di fornire ai Championships i materiali di cui hanno bisogno. Quello che sembra un approccio antieconomico, diventa il segreto del successo di Wimbledon. La Rolex segna lo scorrere del tempo sull’erba londinese dal 1978, la Ibm si occupa della parte tecnologica dal ’90. La Slazenger provvede alle palline addirittura dal 1902. E ogni anno ne vengono usate circa 54mila. Fate pure i conti.
MERCHANDISING, BIGLIETTI E DIRITTI TV – Certo, non ci sono solo le multinazionali a foraggiare le casse del torneo. L’All England Club è un tempio, e come ogni pellegrinaggio richiede un souvenir: nel 2015 nei Wimbledon Shops sono stati venduti 30mila asciugamani, 8mila polsini, 7mila portachiavi. Poi ci sono gli incassi da gara. E qui la vendita dei biglietti segue due percorsi nettamente separati: il 75% viene venduto singolarmente, a prezzi tutto sommato popolari. Perché Wimbledon è il torneo degli inglesi, alla portata di tutti: si parte da 25 sterline per il semplice ingresso nel complesso (che dà diritto a vedere i match sui campi secondari). Ma la richiesta è sempre altissima, e infatti i ticket vengono messi a sorteggio: essere estratti nel ballot (rigorosamente separato per residenti Uk e stranieri) è come vincere alla lotteria. Poi ci sono i pacchetti quinquennali, per i più agiati: circa il 25% del totale, che per il periodo 2016-2020 hanno già fruttato la bellezza di 105 milioni di sterline. Ma non c’è dubbio che il grosso degli introiti deriva come sempre dai diritti tv: il torneo ormai viene seguito in 200 Paesi in tutto il mondo. Solo l’emittente statunitense Espn ha pagato 300 milioni di euro per trasmettere le prossime edizioni fino al 2022 negli Usa.
INCASSI RECORD E BREXIT – Facile capire come Wimbledon, oltre ad essere il tempio del tennis, sia anche una inarrestabile macchina da soldi: nella sua storia ultrasecolare (la prima edizione si è disputata nel 1877) ha prodotto un utile di 750 milioni di sterline, di cui 280 negli ultimi 10 anni. Trattandosi di un club privato, non sono disponibili cifre più dettagliate sul fatturato o sulla ripartizione delle entrate. Il 90% di questo “surplus” va alla Lawn Tennis Association, che lo reinveste nello sviluppo del tennis nel Paese e in infrastrutture ad ogni livello (non solo di vertice). E così sarà almeno fino al 2053, scadenza dell’attuale accordo. La situazione è talmente positiva che gli organizzatori, dopo aver inaugurato nel 2009 il tetto retraibile sul campo centrale (dal costo di 100 milioni di sterline) hanno già messo in cantiere la copertura anche del campo n.1, per un investimento di altri 103 milioni entro il 2019. Prima, però, arriverà la Brexit, che avrà delle conseguenze anche sullo sport britannico. Ma il tennis non è il calcio: niente club, leghe, vincoli sui tesseramenti di giocatori extracomunitari. Certo, anche qui potrebbero esserci pesanti ricadute sui contratti già stipulati in sterline per la svalutazione della moneta. E i primi a rimetterci saranno proprio i campioni, che vedranno impoverito il ricco montepremi nel cambio con dollaro e euro. Ma c’è da scommettere che questo non intaccherà l’importanza dei Championships: nessuno potrà permettersi di snobbarli per qualche centinaia di migliaia di euro. Wimbledon, in fondo, è sempre stato il torneo degli inglesi, a cui al massimo si viene accolti come ospiti educati. E tale resterà, con o senza Europa.
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Roma, 14 mar. (Adnkronos) - In occasione della Giornata dell'Unità nazionale e del Tricolore, che ricorre lunedì prossimo, 17 marzo, sulla facciata di Montecitorio verrà proiettata la bandiera nazionale, dalla mezzanotte e nelle successive ore serali e notturne.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".