Sono stati sette nel corso del 2016 gli attentati in Turchia. Il 7 giugno scorso nei pressi di un commissariato nel quartiere centrale di Beyazit (parte europea della città sul Bosforo, vicino al Gran Bazar e all’università) un’autobomba era esplosa al passaggio di un autobus della polizia causando 12 morti. Le autorità turche avevano arrestato quattro persone sospettate di aver avuto un ruolo nell’attentato, mentre il presidente Recep Tayyp Erdogan aveva puntato il dito contro il Pkk. Il 27 aprile una donna si era fatta saltare in aria a Bursa, quarta città del Paese, vicino alla Grande Moschea e a un bazar. Probabile un’esplosione anticipata, che aveva limitato i danni: era infatti morta solo la kamikaze, mentre erano stati 13 i feriti lievi.
Lo scorso 19 marzo un kamikaze si era fatto esplodere provocando cinque morti (tra cui l’attentatore) e 36 feriti sul viale Istiklal in una delle zone dello shopping della città di Istanbul a poca distanza da piazza Taksim. L’attentatore fu identificato in un militante turco dell’Isis: Savas Yildiz, di 33 anni, originario di Adana nel sud del Paese, faceva parte della lista dei sospetti potenziali attentatori suicidi. Una settimana prima un convoglio militare era stato colpito ad Ankara, nel quartiere centrale di Kizilay: l’attacco aveva provocato 39 morti. Un funzionario della sicurezza aveva poi riferito all’agenzia Reuters che dalle prime indagini era emerso che l’attentato era stato compiuto da militanti curdi del Pkk o da un gruppo affiliato.
Il 17 febbraio furono 29 le vittime per un’altra autobomba esplosa ad Ankara vicino a un complesso militare, a poche decine di metri dal Parlamento e dal quartier generale dell’esercito. Il 12 gennaio un kamikaze a Sultanahmet, nel centro storico di Istanbul che ospita la Moschea Blu e il Topkapi Palace, fece strage di 12 turisti tedeschi; 16 i feriti. In quell’occasione il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan aveva detto che l’esplosione era stata causata da un “terrorista suicida di origine siriana“.